Natale 2006, giorno amaro per Tobia
Verso sera Tobia per telefono mi chiama, perché al pomeriggio ero assente. Sta troppo male per venire a pregare insieme, non se la sente. Si lamenta molto perché si sente bastonato dal demonio e abbandonato da Dio. È tormentato da pensieri di sfiducia in Dio e negli uomini. Si vede ormai solo, abbandonato da tutti, da amici e parenti.
Si sente tagliato fuori dal mondo per il suo modo di pensare secondo Dio, non si sente compreso nei suoi solidi principi cristiani, neppure dalla sorella. Lo invito a respingere la tentazione della disperazione e a non lasciarsi prendere dallo scoraggiamento e sfiducia.
Si lamenta perché non sente più la presenza di Dio. Mi ricorda ancora che in passato, finché era in vita Renato Baron, recandosi a S. Martino spesso tornava sollevato per avere percepito il profumo, o un segno, per cui sentiva che la Madonna e nostro Signore non erano lontani, non si erano dimenticati di lui.
Dopo la morte di Renato avverte raramente il profumo, per cui gli sembra di essere solo e dimenticato da Dio e dagli uomini. Solo il demonio si ricorda di lui: più prega, più lo tortura e teme di non uscire più fuori dalla possessione. Vede passare gli anni senza potersi sposare, senza realizzare qualcosa, senza la fidanzata, senza amici.
Un tempo si avrebbe detto il proverbio: “È solo come un cane”. Oggi non più, perché i cani sono spesso nel cuore delle persone o al centro della casa. Non crede più ad un disegno di Dio perché vede solo la cattiveria del demonio di cui è vittima e Dio non lo aiuta ad uscirne, si è dimenticato di lui. Prega moltissimo, ma non si vede ascoltato.
Dopo averlo lasciato sfogare la sua rabbia interiore, pian piano cerco di invitarlo a ravvivare la fede e ad abbandonarsi nelle mani di Dio, anche se non vede segni della sua presenza e ascolto. Gli ricordo che Dio è Padre anche quando ci prova con la sofferenza. Lo invito a recitare insieme un’ave Maria per avere il dono della fede e per non darla vinta al demonio. A questo punto si fa vivo con arroganza il demonio, fa sparire la voce del giovane, interrompe la nostra conversazione di incoraggiamento. Come molte altre volte, mi dice che soffre molto; chiama in aiuto il collega Eurigma. Io cerco di mandarlo via, di insultarlo, di mandarlo all’inferno.
Sostengo la lotta in difesa dei diritti di Cristo e del giovane, gli ricordo la maledizione che ha avuto da Dio, e con l’autorità conferitami cerco di cacciarlo all’inferno. Ripete le sua solite motivazioni per rimanere nel posseduto. Mi dice che soffre molto, forse per commuovermi. Io gli ripeto che sono contento che soffra e gli comando di andarsene nel fuoco eterno preparato per il diavolo e i suoi seguaci.
E lui continua a ribadire la sua volontà e diritto di rimanere. Torna a lamentarsi che soffre molto, ma non vuole andar via perché all’inferno si soffre molto di più. “Bene, spero che tu ti stanchi, gli dico, e che te ne vada all’inferno”. Ma lui non vuole cedere. Continua a lamentarsi per la sofferenza, ma non vuole andarsene. Sostiene questa scena per interrompere e disturbare la preghiera e impedirmi di dare i buoni consigli a Tobia, perché non li gradisce.
Per allontanare l’inquilino abusivo, chiamo ripetutamente Tobia, e finalmente esce dalla trance, rientra nel possesso delle sue facoltà umane. Do qualche altro suggerimento a Tobia, lo invito ad abbandonarsi completamente nelle mani di Dio, di lasciare a lui a contare i suoi meriti. Spetta a Lui poi stabilire il tempo per concedere la grazia.
Gli ricordo: “Forse Dio ti ha già concesso la grazia della salvezza di tuo padre, e ora ne stai pagando il prezzo”!
Il giorno dopo gli telefono per un breve scambio di informazioni, per vedere come va, per dirgli una parola di incoraggiamento. Appena inizio il Padre nostro per dargli una benedizione, salta fuori il demonio per impedirci di pregare.
Mi chiede che cosa voglio. Ci scambiamo un po’ di insulti. Mi chiede di lasciarlo in pace. Do a Tobia la benedizione fra le lamentele di sofferenza del demonio. Gli dico di andarsene, ma lui non ci pensa neppure, vuole continuare a disturbare. Torno a chiamare Tobia. In quel momento sembra svegliarsi da un sonno profondo: dopo qualche preghiera insieme ci salutiamo.
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