mercoledì 15 aprile 2020

1962 RIVOLUZIONE NELLA CHIESANELLA CHIESA



’INIZIO DELLA CRISI


L’eresia modernista

Verso la fine del secolo diciannovesimo si era sviluppato, in seno alla Chiesa cattolica, il movimento modernista, nella prospettiva di promuovere un progressivo adattamento della dottrina e delle strutture della Chiesa alla mentalità relativista e democratica della cosiddetta società moderna, contro cui i Papi avevano invece intrapreso, già da circa un secolo, una serrata lotta.
Tra i principali esponenti del modernismo, un posto di primo piano era occupato dall’ abbé Alfred Loisy, dall’oratoriano p. Lucien Laberthonnière e dal gesuita p. George Tyrrel, mentre in Italia svolgevano una notevole attività, tra gli altri, soprattutto don Ernesto Buonaiuti, don Salvatore Minocchi, don Romolo Murri e, tra i laici, il conte Tommaso Gallarati-Scotti e lo scrittore e poeta Antonio Fogazzaro.
Ora, nonostante le diversità e le differenti sfumature del pensiero dei vari membri del movimento, va detto, fin da subito, che le tesi moderniste erano affette da un “peccato d’origine” comune, un relativismo filosofico di fondo, errore fondamentale che il Decreto Lamentabili, emanato dal S. Uffizio, avrebbe poi così riassunto: “La verità non è immutabile più di quanto lo sia l’uomo stesso, giacché essa si evolve con lui, in lui e per lui”.1
Non si trattava dunque di una cosa da poco, dato che il relativismo comportava necessariamente la completa rovina dei fondamenti della fede cattolica ( se non vi sono verità fisse ed immutabili, il concetto stesso di dogma svanisce) e la conseguente annichilazione della Chiesa.
A sua volta, il relativismo evoluzionista dei modernisti derivava dal concetto che questi ultimi avevano circa l’origine della religione, che essi facevano sgorgare esclusivamente dalla coscienza dell’uomo (errore dell’immanentismo). Ogni verità religiosa, infatti, non sarebbe stata altro che il semplice prodotto della coscienza individuale mossa dal sentimento religioso, sotto la spinta di una “Divinità” vaga ed indistinta, della quale l’uomo non poteva dire alcunché di certo e definitivo. Anche la religione cattolica diveniva quindi, nell’ottica modernista, un semplice prodotto umano, soggetto quindi a continuo cambiamento evolutivo, senza verità fissate una volta per sempre: “Il sentimento religioso, che per vitale immanenza si sprigiona dai nascondigli della subcoscienza - avrebbe poi denunciato Papa San Pio X - è (per i modernisti) il germe di tutta la religione... Ecco pertanto la nascita di qualsiasi religione, sia pure soprannaturale: esse altro non sono che semplici esplicazioni dell’anzidetto sentimento religioso. Né si creda che diversa sia la sorte della religione cattolica...”.2

Sempre su questa base, i libri della Sacra Scrittura, compresi ovviamente i Vangeli, venivano ridotti ad una raccolta di esperienze puramente interiori, nate dal sentimento religioso dei singoli scrittori sacri, ciò che comportava la negazione della storicità dei fatti soprannaturali ivi narrati. I miracoli e le profezie erano, infatti, declassati a semplici espedienti psicologico-letterari, a meri simboli, adoperati per muovere i lettori alla “fede” nella suddetta “Divinità”, nell’ambito di un altrettanto vaga ed indistinta religiosità naturale.

Altrettanto simbolico e non reale, come abbiamo già detto, diveniva il contenuto dei dogmi della Fede cattolica: 
“Le cose, che la Chiesa ci propone a credere come dogmi rivelati - scriveva ad esempio il capofila dei modernisti, l’ abbé Alfred Loisy - non sono verità venute dal cielo, conservate dalla tradizione nella loro forma originaria; per lo storico, sono soltanto un’interpretazione di fatti d’indole religiosa che il pensiero teologico ha raggiunto con faticoso lavoro”.3

Una volta accettati questi falsi presupposti e posta la coscienza umana al centro e all’origine della religione, i modernisti erano necessariamente condotti, con l’implacabile logica dell’errore, a considerare fondamentalmente vere tutte le religioni, nonostante le grandi diversità di dottrine, di riti e di regole morali. Queste differenze venivano infatti ritenute del tutto trascurabili perché considerate, nel sistema modernista, come semplici involucri esteriori dell’unico e identico sentimento religioso naturale comune a tutti gli uomini:
“Posta questa dottrina dell’esperienza - denuncerà infatti San Pio X - (…) ogni religione, sia pure quella degli idolatri, deve ritenersi come vera (...). Ed infatti i modernisti non negano, concedono anzi, alcuni velatamente, altri apertissimamente, che tutte le religioni sono vere”, opera di “uomini straordinari, che noi chiamiamo profeti e dei quali Cristo è il sommo”.4
In quest’ottica, i modernisti erano anche pronti a concedere che la religione cattolica fosse la più perfetta ma, si badi, non l’unica vera.
Una realtà che va tenuta ben presente fin d’ora per comprendere l’altrimenti incomprensibile attuale follia ecumenica della Gerarchia “conciliare”.

Da rilevare, infine, una particolare ed originale tattica messa in atto dai modernisti e che contribuisce a distinguere quest’eresia da ogni altra di stampo “classico”, vale a dire l’uso spregiudicato della simulazione e del linguaggio ambiguo, con lo scopo mirato di rimanere nella Chiesa per cambiarla dall’interno:
“Inoltre - scriverà a questo proposito San Pio X - nell’adoperare le loro mille arti per nuocere, nessuno li supera in accortezza e in astuzia: giacché agiscono promiscuamente da razionalisti e da cattolici, e ciò con così sottile simulazione da trarre agevolmente in inganno ogni incauto (...). E così essi operano scientemente e di proposito; sia perché è loro regola che l’autorità debba essere spinta, non rovesciata; sia perché hanno bisogno di non uscire dall’ambiente della Chiesa per poter cambiare a poco a poco la coscienza collettiva”.5
Tattica che, dopo cinquant’anni di frenetico lavorìo sotterraneo, ha fruttato il successo del ribaltone dottrinale operato dai Padri del Concilio Vaticano II mediante l’adozione di non poche tesi moderniste, puntualmente spacciate allo sprovveduto “popolo di Dio” come necessario aggiornamento della Chiesa ai mitici tempi nuovi. 
Dulcis in fundo, in questo clima di apostasia sorridente, dopo aver dissolto, nelle loro nebbie gnostiche, Gerarchia, Dogmi e Sacramenti, non v’è da meravigliarsi che almeno una parte dei modernisti si spingesse apertamente, “obbedendo assai volentieri ai cenni dei loro maestri protestanti”, a desiderare “soppresso nel sacerdozio lo stesso sacro celibato”.6
Classica ciliegina sulla torta di ogni modernismo - di ieri e di oggi - sedicente “riformatore”.

sac. Andrea Mancinella

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