giovedì 20 agosto 2020

FUGGITA DA SATANA



MICHELA


La mia lotta per scappare dall'Inferno



Una sfida con Dio

Di questioni religiose continuavo a occuparmene ben poco. Qualche volta mi era capitato di conoscere qualcuno che faceva parte di un gruppo ecclesiale e che mi aveva invitato a uno dei loro incontri. Avevo però trovato noiose tutte quelle riflessioni che facevano su Gesù Cristo e su come ci si dovesse comportare per vivere secondo il Vangelo. Gli dicevo: «Voi parlate una lingua che non conosco, perché la mia è la lingua del lavorare e dei soldi. Incontrarsi per leggere e discutere cose spirituali è una perdita di tempo, e io non ho tempo da sprecare in questo modo». Non faceva proprio per me, anche se ogni tanto sentivo nel cuore qualche interrogativo sul senso dell'esistenza. Ma poi con il sesso, la droga e l'alcol tacitavo ogni questione.

Nel 1991 ero stata assunta come chef nella cucina di un grande albergo in Liguria. Avevo fatto amicizia con un giovane che veniva a consegnare la carne e incominciai a frequentarlo. Ero convinta che sarebbe stato un ulteriore numero nella mia collezione di uomini, un'altra delle solite esperienze di stagione. Certo, avevo visto la corona del Rosario appesa allo specchietto retrovisore dell'automobile. Più di tanto, però, non ci avevo fatto caso. Dopo due o tre sere che uscivamo insieme, non eravamo ancora finiti a letto. Così gli dissi a bruciapelo: «Luca, ma che aspetti, che ti salto addosso io?». E lui mi spiegò che aveva avuto una vita difficile, ma che da qualche anno si era convertito e che perciò non avremmo avuto rapporti sessuali se non dopo il matrimonio.

Con il passare del tempo scoprii che mi stavo davvero innamorando di lui. Imparavo a guardarlo negli occhi, ad accarezzargli le mani, a comprenderne le emozioni. Con lui tutto diventava un reciproco dono: parlare del nostro lavoro, condividere le cose che ci erano accadute durante la giornata, sognare il futuro insieme. Per la prima volta, quando cambiai città continuai a restare fidanzata con lui, anche se non riuscivamo più a vederci molto spesso.

Una sera però lo vidi più serio del solito. Mi disse che doveva mettermi al corrente di una cosa molto grave: un paio d'anni prima aveva avuto un incidente stradale e nelle trasfusioni gli avevano dato sangue infetto. Le ultime analisi avevano confermato che era diventato sieropositivo. La notizia mi turbò moltissimo. Erano tempi in cui ancora non se ne sapeva granché. Non me la sentii di continuare il nostro rapporto, anche perché avevo il sospetto che all'origine del contagio potesse invece esserci una storia di tossicodipendenza che risaliva ad alcuni anni addietro.

Restai però legata a lui e, quando fu ricoverato in ospedale, andavo spesso a trovarlo. Un giorno mi disse che aveva un grande desiderio: quello di sposarmi. Io lo vedevo peggiorare costantemente. Insieme con il peso (alla fine arrivò a soli 31 chili), si vedeva di settimana in settimana che diminuiva sempre più il tempo della vita: ormai era entrato in Aids conclamato. Fra molte indecisioni, decisi di assecondare il suo desiderio, anche se non avremmo mai potuto vivere insieme il nostro matrimonio.

Nel frattempo avevo un'immensa rabbia dentro e litigavo con i suoi amici cattolici che mi parlavano della tenerezza del Creatore, del suo piano di salvezza per noi, di suo Figlio Gesù che era morto in croce... «Dov'è il vostro Dio?» li provocavo. «Il vostro Dio non mi ha fatto crescere in una vera famiglia, il vostro Dio mi sta togliendo Luca. Dove dovrei riconoscere la sua bontà, quella paternità di cui mi andate parlando?». Più cercavano di convincermi dell'Amore di Dio, più io mi arrabbiavo e bestemmiavo.

A metà settembre avevamo stabilito una data in cui sarebbe venuto in ospedale il sacerdote per celebrare il nostro matrimonio. Mancavano quattro giorni a quel- l'appuntamento, quando mi recai a fare un concorso per entrare in una grande struttura di ristorazione dove avrei dovuto lavorare soltanto sei ore al giorno per sei giorni alla settimana, in modo da avere più tempo per stargli accanto e accudirlo. Alla sera, quando tornai al suo capezzale, scoprii che era morto.

I funerali vennero celebrati dalla sua comunità come se fossero una festa, con canti gioiosi che io non riuscivo a sopportare. Il mio cuore era completamente intriso di odio. Al termine della cerimonia mi sono messa a camminare lungo la spiaggia di questa città di mare, spossata per il peso del mio dolore immenso. Ho guardato verso il cielo e ho lanciato il mio grido di sfida: 

«Dio, Se tu esisti io ti distruggo, ma se tu non esisti passerò la la vita a dire al mondo che tu non esisti». In quell'attimo è cominciata la mia vera guerra.

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