sabato 11 dicembre 2021

"Il mio animo è triste fino alla morte".

 


6 dicembre 1945, San Nicola 

Gesù, dopo aver preso con sè Pietro, Giacomo e  Giovanni, vien preso da paura e disgusto, tristezza e angoscia, e dice loro: "Il mio animo è triste  fino alla morte". Questa confessione pubblica di debolezza di Gesù sembra fatta per scandalizzarci:  è veramente Dio quello che, non solo soffre, ma  teme, si stanca, si abbatte, si inquieta?  Tutto ciò  è umano, non divino.  Lo stoicismo ci porterebbe più ad ammirare la forza d'animo di Gesù.  E  questa confessione, questo lamento, questa richiesta di soccorso: "Vegliate con me"?  Siamo tentati di dire: "Dov'è quello che incoraggiava gli altri?  Dov'è la fede nella Sua missione?  La Sua  fiducia in Dio?  É a dei poveri uomini che è ora  ricorso!"  Ah!  É che è venuta l'ora in cui sarà  abbandonato da Dio e dagli uomini. Noi non  sappiamo, noi che non conosciamo le dolcezze  dell'unione con Dio, quale immensa pena è per Gesù il sentirsi privato della presenza di suo Padre; è veramente la pena del danno, Gesù soffre come un dannato!  Se Egli è Dio, soffre in Dio: la Sua pena è infinita, immensa nei suoi termini.  Ma non è solo il Dio che  soffre in Gesù, è l'uomo. Può dunque l'uomo essere separato da Dio?  Evidentemente,  quel che c'è divino in Gesù può sostenere l'uomo se Lui lo vuole.  Ma... lo vuole?  Egli  vuol soffrire malgrado la ripugnanza che ne ha.  Dio è nel subcosciente di Gesù, e pertanto l'uomo è praticamente solo di fronte alla passione che si annuncia.  Peggio ancora,  quel che c'è di divino in Gesù gli ha mostrato in anticipo tutto ciò che doveva soffrire.   Quando ci troviamo all'inizio di un lungo periodo di prove, è un sollievo ignorarle; conoscerle, sarebbe soffrirne prima e più a lungo; ignorarle allora è meglio: a ogni giorno  basta la sua pena.  La prescienza di Gesù aggrava dunque notevolmente i tormenti dell'uomo Gesù: in anticipo vede l'orribile notte che dovrà passare tra le mani dei satelliti  dei sacerdoti che non sapranno più che supplizi inventare per torturarlo.  Egli conta i  colpi e le ferite, si vede, si sente flagellato dalla testa ai piedi, sente le spine penetrare  nella testa sotto i colpi del bambù, si torce nei tormenti della croce come fanno inconsciamente gli stimmatizzati, suoi sostituti.  Immaginiamoci all'entrata di un tunnel stretto le cui pareti sono armate di spade e che ci venga dato l'ordine di passare sapendo che  saremo feriti da ogni parte: ecco Gesù nell'ora di passione!  Allora, suo malgrado, la  carne trema e si ribella; si rifiuta di avanzare.  Quale sforzo di volontà non ci vorrà per  obbligarla!  Quale lotta!  Gesù potrebbe sottrarsi al supplizio: potrebbe lasciare l'orto  degli ulivi: ha almeno un'ora davanti.  Ma no.  Lui vuole con la volontà se la carne non  vuole ... e resterà, ma a prezzo di quali torture morali!  Se almeno potesse sperare qualche consolazione: la chiede ai suoi amici ma sà che non otterrà niente.  Se potesse contare che il suo sacrificio salverà tutti gli uomini, e soprattutto i suoi nemici accaniti!   Ahimè!  Sà già prima che i salvati saranno un piccolo numero! ... Ed è triste, profondamente triste!  La Sua passione è tuttavia il prezzo dei peccati... 

meditazioni, ritrovate tra i suoi scritti Fernand Crombette

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