L’inferno descritto da Josefa Menendez (1890 -1923)
in Invito all’amore, pp 243-245
«Nella notte da mercoledì a giovedì, 16 marzo, verso le dieci - scrive - cominciai ad udire, come nei giorni scorsi, un rumore confuso di grida e di catene. Mi alzai, mi vestii e tremante di paura mi misi in ginocchio, vicino al letto. Il rumore si avvicinava: uscii dal dormitorio e, non sapendo che fare, mi recai nella cella della nostra Beata Madre, poi ritornai al dormitorio. Lo stesso rumore terribile mi circondava. Ad un tratto vidi il demonio di fronte a me, che gridava: “- Incatenatele i piedi, legatele le mani!”.
«Improvvisamente non vidi più dove stavo e sentii che mi legavano strettamente e mi trascinavano via. Altre voci ruggivano: “ - Non sono i piedi che bisogna legarle, ma il cuore!”.
«Il demonio rispondeva: “ - Quello non mi appartiene.”
«Allora fui trascinata per una lunga strada che si addentrava nell'oscurità. Cominciai ad udire da ogni parte grida orribili. Nelle pareti di questo angusto corridoio, le une di fronte alle altre, si aprivano delle nicchie da cui usciva del fumo senza fiamma e un fetore intollerabile. Di là delle voci proferivano bestemmie e parole impure. Alcune di quelle voci maledicevano i loro corpi, altre i loro genitori. Altre si rimproveravano di non avere approfittato dell'occasione o della luce per abbandonare il male. Era una confusione di grida piene di rabbia e di disperazione.
«Fui trascinata lungo questo cunicolo interminabile. Poi mi si diede un colpo violento, che mi sprofondò piegata in due in una di quelle nicchie. Mi trovai come schiacciata tra assi incendiate e trafitta da parte a parte da aghi scottanti. Dirimpetto a me, accanto a me, c'erano delle anime che mi maledicevano e bestemmiavano. Fu ciò che mi fece soffrire più di ogni altra cosa. Ma quello che supera ogni tormento è l'angoscia dell'anima di sentirsi separata da Dio…
«Mi sembra aver trascorso lunghi anni in quell'inferno - proseguono gli appunti - e tuttavia non vi sono rimasta che sei o sette ore... Ad un tratto sono stata violentemente strappata di là e mi sono trovata in un luogo oscuro ove il demonio, dopo avermi battuta, è scomparso e mi ha lasciata libera... Non posso esprimere ciò che ho provato nell'anima mia quando mi sono accorta di essere viva e di poter ancora amare Dio!
« Per evitare quest'inferno, quantunque abbia una gran paura di soffrire, non so che cosa sarei pronta a sopportare! Vedo chiaramente che tutti i patimenti terreni sono un nulla a paragone del dolore di non poter più amare, poiché laggiù non si respira che odio e sete della perdita delle anime!»
Da allora Josefa sperimenta spesso questo strazio misterioso in quei lunghi soggiorni nel tenebroso “al di là”. Le discese vengono ogni volta preannunziate dai rumori di catene e dalle grida lontane che si avvicinano, la circondano, l'assediano. Essa tenta di fuggire, di distrarsi, di lavorare per sottrarsi a questa furia diabolica che finisce però con abbatterla. Ha appena il tempo di rifugiarsi nella sua cella, e tosto perde coscienza delle cose circostanti. Dapprima, si trova gettata in quello che chiama «luogo buio» di fronte al demonio, che trionfa su di lei e sembra credere di averla in suo potere per sempre. Egli ordina imperiosamente che sia gettata al suo posto e Josefa, legata strettamente, cade nel caos di fuoco e di dolore, di odio e di disperazione.
Riferisce tutto questo semplicemente e oggettivamente, come ha visto, inteso, sperimentato.
All'esterno solo un leggero sussulto dava indizio di tali misteriose discese. Nell'istante stesso il corpo di Josefa diventava del tutto floscio, senza consistenza, come quello di chi, da pochi momenti, non ha più vita. Il capo, le membra, non si sostengono più, mentre il cuore batte normalmente: essa vive come senza vivere!
Questo stato si prolunga più o meno, secondo la volontà di Dio che l'abbandona così all'inferno, e tuttavia la custodisce nella Sua sicurissima Mano.
Nel momento da Lui voluto, un altro impercettibile sussulto, e il corpo accasciato riprende vita.
Ma non è ancora liberata dalla potenza del demonio in quel luogo buio dove la ricolma di minacce, oltraggiandola prima che riesca a sottrarsi alla sua forza.
Quando infine la rilascia ed essa a poco a poco riprende contatto con i luoghi e le persone che la circondano, le ore trascorse in inferno gli sono sembrate durare secoli: «Dove sono... e voi chi siete? vivo ancora?» chiede. I suoi poveri occhi cercano di ritrovarsi in un ambiente che le sembra così lontano nel passato. Talvolta grosse lacrime scorrono dai suoi occhi silenziosamente, mentre il volto porta l'impronta di un dolore che non si può esprimere. Riconquista alla fine il senso pieno dell'attuale realtà e non è possibile esprimere l'emozione intensa da cui viene pervasa quando, ad un tratto, comprende di poter ancora amare!
Lo ha narrato più volte con semplicità incomparabile:
« Domenica, 19 marzo 1922, terza domenica di Quaresima. Sono nuovamente discesa in quell'abisso e mi è sembrato dimorarvi lunghi anni. Vi ho molto sofferto, ma il maggior tormento è di credermi per sempre incapace di amare Nostro Signore. Cosicché quando ritorno alla vita sono pazza di gioia. Mi pare di amarLo come mai L'ho amato e di essere pronta a provarglieLo con tutte le sofferenze che Egli vorrà. Mi sembra soprattutto di stimare ed amare pazzamente la mia vocazione.»
E, un po' più sotto aggiunge: «Quello che vedo laggiù mi dà un gran coraggio per soffrire. Comprendo il valore dei minimi sacrifici. Gesù li raccoglie e se ne serve per salvare anime. Accecamento grande è quello di evitare la sofferenza, anche nelle cose più piccole, poiché, oltre ad essere molto preziosa per noi, serve a preservare molte anime da così grandi tormenti.»
in Invito all’amore, p. 688
Josefa rilevò, altresì, le accuse che quelle anime scagliavano contro sé stesse:
«Alcune ruggiscono per il martirio che sostengono nelle mani. Penso che abbiano rubato poiché dicono: “Dov’è ora ciò che hai preso?... Maledette mani!... Perché quella ambizione di avere ciò che non mi apparteneva, e che non potevo possedere se non per qualche giorno?”.
«Altre accusano la propria lingua, gli occhi, ciascuna ciò che è stato causa del proprio peccato: “Ora paghi atrocemente le delizie che ti concedevi, o mio corpo!... e sei tu, o corpo, che l'hai voluto!” …» (2 aprile 1922)
«Mi sembra che le anime si accusino specialmente di peccati di impurità, di furti, di commerci ingiusti e che la maggior parte si siano dannate per questo.» (6 aprile 1922)
«Ho visto molti mondani precipitare in quell’abisso, e non si può dire né comprendere le grida che gettavano e i ruggiti spaventosi che mandavano: “Maledizione eterna! Mi sono ingannata, mi sono perduta! Sono qui per sempre, non c’è più rimedio, maledizione a te!” …»
«Alcune accusavano una data persona, altre una data circostanza, tutte accusavano l’occasione della loro perdizione.» (settembre 1922)
«Oggi ho visto precipitare in inferno un gran numero di anime: credo che fossero pers one del mondo. Il demonio gridava: “Ora il mondo è a buon punto per me… so qual è il mezzo migliore per impadronirmi delle anime!... quello di eccitare in loro il desiderio del piacere e quello di primeggiare… - io la prima in tutto! … e soprattutto niente umiltà, ma godere! Ecco ciò che mi assicura la vittoria, che le fa cadere qui in abbondanza!”.» (1 ottobre 1922)
in Invito all’amore, pp. 693-696
Come nelle precedenti discese in inferno, Josefa non accusa in sé alcun peccato che abbia potuto condurla a tale sventura. Nostro Signore vuole soltanto che ella ne provi le conseguenze come se fossero meritate. E proseguendo:
«In un istante mi trovai in inferno, ma senza esservi trascinata come le altre volte. L’anima vi si precipita da sé stessa, vi si getta come se desiderasse sparire dalla vista di Dio per poterLo odiare e maledire!
«L’anima mia si lasciò cadere in un abisso di cui non si poteva vedere il fondo perché è immenso!... Subito udii altre anime rallegrarsi vedendomi negli stessi tormenti. È già un gran martirio udire quelle terribili grida, ma credo non vi sia tormento da paragonare alla sete di maledizione che invade l’anima; e più si maledice, più questa sete aumenta! Non avevo mai provato questo tormento. Altre volte l’anima mia era rimasta affranta dal dolore udendo quelle orribili bestemmie, pur non potendo produrre alcun atto d’amore. Ma oggi era tutto il contrario!
« Ho visto l'inferno come sempre: i lunghi corridoi, gli antri, il fuoco... ho inteso le stesse anime gridare e bestemmiare, poiché, anche se non si vedono forme corporali, i tormenti straziano come se i corpi fossero presenti e le anime si riconoscono. E gridano: “Olà, eccoti quaggiù! ...Tu, come noi! Eravamo libere di fare e non fare i Voti... ma adesso...” E maledicevano i Voti.
« Allora fui spinta in una nicchia di fuoco e schiacciata come tra piastre scottanti, e come se dei ferri e delle punte aguzze arroventate si infiggessero nel mio corpo!».
Quindi Josefa espone i molteplici tormenti che non risparmiano alcun membro: «Ho sentito come se si volesse, senza riuscirvi, strapparmi la lingua, cosa che mi riduceva agli estremi, con un atroce dolore. Gli occhi mi sembravano uscir dall'orbita, credo a causa del fuoco che li bruciava orrendamente. Non c'è neppure un'unghia che non soffra un orribile tormento. Non si può né muovere un dito per cercare sollievo, né cambiare posizione; il corpo è come compresso e piegato in due. Le orecchie sono stordite dalle grida confuse che non cessano un solo istante. Un odore nauseabondo e ripugnante asfissia e invade tutto, come se si bruciasse carne in putrefazione con pece e zolfo... una miscela che non può essere paragonata a cosa alcuna del mondo.
« Tutto questo l'ho provato come le altre volte, e sebbene questi tormenti siano terribili, sarebbero un nulla se l'anima non soffrisse. Ma essa soffre in modo indicibile. Fino ad ora, quando discendevo in inferno, soffrivo intensamente perché credevo di essere uscita dalla religione, e di essere perciò dannata. Ma questa volta no! Ero in inferno col segno speciale di religiosa, di un'anima che ha conosciuto e amato il Suo Dio, e vedevo altre anime di religiosi e religiose che portavano lo stesso segno. Non saprei dire da che cosa si riconoscevano: forse dei particolari insulti che i demoni e i dannati scagliavano contro di loro. Anche molti sacerdoti erano là! E non posso spiegare che cosa sia stata questa sofferenza, assai diversa da quella che ho provato altre volte, poiché, se è terribile la pena di un'anima del mondo, è poca cosa in confronto di quella dell'anima religiosa. Senza posa, queste tre parole: povertà, castità, obbedienza, si stampano nell'anima come un rimorso struggente.»
«- Povertà! Eri libera e hai promesso! Perché allora ti sei procurata quel benessere? Perché eri attaccata a quell'oggetto che non ti apparteneva? Perché concedevi al corpo quella comodità? Perché ti prendevi la libertà di disporre di ciò che apparteneva alla Comunità? Non sapevi forse che non avevi più diritto alcuno di possedere? Che tu liberamente vi avevi rinunziato? Perché quelle mormorazioni quando ti mancava qualche cosa o ti pareva d'essere trattata meno bene delle altre? Perché?»
«- Castità! Tu stessa ne hai fatto il Voto liberamente e con piena conoscenza di ciò che esigeva. Tu stessa ti sei obbligata... l'hai voluto... E poi, come l'hai osservato?... Perché allora non sei rimasta là dove potevi concederti godimento e piacere?
« E l'anima risponde di continuo in una tortura inesprimibile: “Sì, ho fatto questo Voto ed ero libera… potevo non farlo, ma l'ho fatto proprio io, ed ero libera!”
« Non c'è espressione che uguagli il martirio di questi rimorsi unito agli insulti degli altri dannati», scrive Josefa. E prosegue:
«- Obbedienza! Tu stessa ti sei impegnata a obbedire alla Regola, ai Superiori, alle Superiore, liberamente. Allora perché hai giudicato ciò che ti si comandava? Perché disubbidivi alla voce del regolamento? Perché ti dispensavi da quell'obbligo della vita comune? Ricorda la soavità delle tue Regole... e tu le hai rigettate! “E ora, ruggiscono le voci infernali dei demoni, tu devi ubbidire a noi, non per un giorno, un anno, un secolo, ma per sempre, per tutta l'eternità!... L'hai voluto tu: eri libera!”.
« L'anima si ricorda continuamente che aveva scelto Dio per suo Sposo e che Lo amava sopra ogni cosa: che per Lui aveva rinunziato ai piaceri più legittimi e a tutto quello che aveva di più caro al mondo, che al principio della vita religiosa gustava la dolcezza, la purezza di questo Amore divino; e ora per una passione non dominata... deve odiare eternamente quel Dio che l'aveva scelta per amarLo!
« La necessità di odiare è una sete che la consuma... non un ricordo che possa darle il più leggiero sollievo...
Nessun commento:
Posta un commento