Ira e amore
Tuttavia, ripensando al quadro del venerdì santo tratteggiato dal Bossuet, lo spettacolo dell'ira del Padre che si abbatte e si concentra su Gesù non può non provocare in noi un certo disagio. Pure ammettendo che il Padre ci ha risparmiati, continueremo a chiederci perché mai l'ira si sia riversata sul Figlio; perché, nell'ora della passione il Padre non abbia avuto per suo Figlio che uno sguardo di collera, nascondendo il suo volto dolce e paterno.
Osserviamo subito che nella Scrittura non vi è nulla che ci autorizzi a pensarlo. Mai l'opera redentrice e la morte di Cristo vi sono rappresentate come il frutto dell'ira divina; mai vi si parla di una vendetta che avrebbe colpito Cristo in vece nostra. Quando Bossuet ci mostra Cristo sul Calvario « sotto i colpi ripetuti e moltiplicati della vendetta divina », si vale di un'immagine letteraria che non risponde esattamente al modo in cui gli autori sacri intendono la passione. Egli cita, è vero, le parole di Dio nell'Antico Testamento: « A me la vendetta! Io saprò render loro ciò che è loro dovuto! »1. Ma quando san Paolo riprende queste parole, intende affermare che gli uomini non possono ricorrere alla vendetta, perché questa è riservata a Dio, ed aggiunge che invece di vendicarsi essi devono rendere bene per male: « Se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere ». Si tratta di vincere l'ostilità con la generosità; di non rispondere al male col male, ma « trionfare del male mediante il bene ».
Ora, si dirà che Dio agisce in modo del tutto diverso e che impone alle sue creature una linea di condotta opposta alla sua? Si dirà che egli si riserva la prerogativa di compiere la propria vendetta, vietando agli altri di farlo? e che per questo egli ha voluto assolutamente vendicarsi del peccato degli uomini, e che ha esercitato questa vendetta su Gesù, secondo le parole di Bossuet : « Poiché aveva posto in lui i nostri peccati, egli doveva porvi anche la giusta vendetta »? No, non si può attribuire al Padre un simile atteggiamento. Quando Cristo ha insegnato ai suoi discepoli il precetto dell'amore per i nemici, ha loro mostrato nel Padre non il detentore del monopolio della vendetta, bensì il modello di quell'amore: « Amate i vostri nemici e pregate per coloro che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro dei cieli, perché egli fa levare il sole sui cattivi e sui buoni e fa cadere la pioggia sui giusti e sui perversi ». Se dunque il Padre si é riservato una vendetta, non può trattarsi che di vendetta della bontà. Egli ha elargito anche ai nemici i benefici del sole e della pioggia, e Cristo con questa immagine ha voluto indicare la benevolenza più larga.
Non é dunque possibile supporre che il Padre abbia fatto dell'opera che ci ha valso la salvezza un atto di vendetta e che l'abbia, inoltre, rivolto non contro un nemico ma contro il proprio Figlio. Attribuirgli simili sentimenti sarebbe un fare ingiuria al suo cuore paterno. Egli, che ci viene presentato come l'esempio perfetto di bontà, avrebbe risposto con l'ira all'offesa fattagli, ira che avrebbe gravato sopra un innocente! No, il Padre non ha mai abbandonato il suo volto dolce e paterno, soprattutto, davanti al peccato degli uomini. La sua reazione non è consistita nel riportare su Gesù vendetta e collera, bensì nel riportare sugli uomini lo sguardo d'amore e di compiacenza che posava sul Figlio suo.
Agli occhi suoi Cristo non è mai stato e non avrebbe potuto essere oggetto d'ira. Per definire il Redentore quale appariva agli occhi del Padre san Paolo si è servito dell'espressione « colui che è stato (perfettamente) amato », il Diletto. Il Padre ha sempre considerato come Figlio diletto « colui che ci ha procurato col suo sangue la redenzione, la remissione dei peccati ».
Perciò, quando l'apostolo parla di Cristo che si è fatto per noi maledizione al fine di riscattarci dalla maledizione della legge, non dobbiamo concludere semplicemente che Cristo e' stato maledetto dal Padre. Si è fatto maledizione, dice san Paolo: cioè ha voluto prendere su di sé quello che sarebbe stato maledizione per noi. Allo stesso modo quando scrive «Colui che non conosceva il peccato Dio l'ha fatto peccato per noi, affinché diveniamo giustizia di Dio in lui », egli non vuol dire che agli. occhi del Padre Cristo è divenuto un peccatore e che come tale è stato trattato, ma semplicemente ch'egli è stato caricato delle conseguenze della nostra colpa al punto che noi possiamo riconoscere nel supplizio del Calvario l'effetto terribile del peccato. Agli occhi del Padre Cristo è sempre rimasto « colui che non aveva conosciuto il peccato ».
Noi commettiamo un errore quando, pensando al dramma del Calvario, ci raffiguriamo Cristo sotto lo sguardo corrucciato del Padre, considerato da lui come peccatore o maledetto. In quel dramma non c'era che amore, l'amore reciproco del Padre e del Figlio, che è indissolubile e inalterabile. Il Padre continuava dunque ad amare il Figlio; e se questi si trovava a patire una sofferenza che aveva l'aspetto della maledizione e del castigo del peccato, era dovuto al fatto che il Padre ed il Figlio avevano amato tanto gli uomini da decidere di assumere, nell'umanità di Gesù, le conseguenze più umilianti delle colpe umane. Nelle espressioni forti e lapidarie di san Paolo: « Cristo si è fatto per noi maledizione », « Dio lo ha fatto peccato per noi », dobbiamo dunque vedere come un eccesso dell'amore, un amore che ha avuto la violenza dell'ira. Questa avrebbe provocato una maledizione, e l'amore non è stato da meno prendendo su di sé i tristi effetti di quella maledizione, che voleva trasformare in benedizione. Il Padre ha, in certo modo, attinto nel suo cuore, come in quello del Figlio, una forza mirabile di bontà, più radicale e più esplosiva di una vendetta. La forza irresistibile e paurosa che avrebbe potuto usare nella vendetta il Padre l'ha usata per amarci, sacrificando per noi il Figlio suo.
Di Jean Galot s. j.
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