COLUI CHE PARLA DAL FUOCO
L'ora è suonata in cui Josefa udrà per la seconda volta un invito solenne.
Il giovedì 24 febbraio ella narra l'apparizione del Maestro durante l'adorazione del pomeriggio. Già le aveva espresso il desiderio che ogni venerdì fosse per lei un giorno di offerta con speciale unione al suo Cuore. Ora viene per ricordarglielo.
«- Domani tu offrirai al Padre mio tutte le tue azioni unite al Sangue che ho sparso nella mia Passione. Procurerai di non perdere un solo istante la divina Presenza e di rallegrarti per quanto ti sarà possibile di tutto ciò che dovrai soffrire. Non cessare mai di pensare alle anime, ai peccatori. Sì, ho sete di anime!». «Mi offrii per consolarlo e dargli anime... Signore! non dimenticare però che la mia è la più ingrata e la più miserabile di tutte!...».
«- Lo so, ma io la lavorerò!».
«E partì. Io mi offersi ancora una volta a Lui per tutto quello che volesse fare di me, e compresi che mi aveva presa in parola: O Gesù mio! so bene che avrai pietà di me e mi darai forza...
«La sera, all'ora santa, pensavo ai peccatori che sono in numero così grande... Ma la Sua Misericordia è ancora più grande... Ad un tratto è venuto e, con voce solenne, come quella di un re, mi ha detto:
«- Il mondo ignora la misericordia del mio Cuore! Voglio servirmi di te per farla conoscere!»
Presa da timore Josefa esclama:
«Ma, Signore, dimentichi dunque che sono tanto debole e che cado al minimo ostacolo?...»
Come se non l'avesse neppure udita, Gesù proseguì solennemente:
«- Ti voglio apostola della mia Bontà e della mia Misericordia. Ti insegnerò ciò che questo significa: tu dimenticati!».
«Lo supplicai - scrive, - di aver compassione di me e di lasciarmi senza queste grazie di predilezione a cui non so corrispondere, e di scegliere altre anime più generose di me». Gesù rispose soltanto:
«Dimentichi forse, Josefa, che sono il tuo Dio?».
Tuttavia il suo Cuore non è offeso. Sa troppo bene che ella Gli appartiene nel più profondo dell'anima e che gli stessi timori sono una prova dell'umile diffidenza di sé, così cara al Suo Amore. Già fin dal giorno seguente, venerdì 25 febbraio, durante la Messa, Egli torna pieno di bontà.
«Mi ha guardato - scrive, - e L'ho supplicato di lasciarmi come tutte le mie consorelle, senza cose straordinarie, poiché così non posso vivere!».
«- Se tu non lo puoi, Josefa, lo posso Io!».
«Ma io non lo voglio - ella timidamente prosegue; - vorrei essere come le altre!».
«- E Io lo voglio: non ti basta ciò?».
Poi soggiunge con forza:
«- Dove sta il tuo amore?
«Ama e non temere nulla. Io voglio ciò che tu non vuoi, e posso ciò che tu non potrai! A te non tocca scegliere, ma abbandonarti!».
Quante lotte questa sottomissione ai disegni dell'amore costerà all'anima di Josefa!... Dio le permette, senza dubbio, per attestare con più evidente certezza l'autenticità della sua azione ed eliminare, agli occhi di tutti, ciò che avrebbe potuto suscitare il dubbio, o anche solo prestar motivo di equivoco. Si può dire con verità che Josefa non cesserà mai di temere questa missione e i tre anni che seguiranno saranno continuamente segnati dalle alternative dolorose tra un abbandono che essa vuole e i timori che sempre risorgono.
Qualche giorno dopo la data memorabile del 25 febbraio 1921, nota con confusione che non ha il coraggio di dire ciò che Gesù le comanda di trasmettere.
«Allora ella aggiunge, - Egli è scomparso».
Si può facilmente immaginare il dolore di Josefa, dopo una tale partenza. Si sforzò, lì per lì, di dissimulare, ma il demonio sfruttò il suo silenzio convincendola che ormai tutto era inutile e perduto per lei. La parola «martirio» che usa non sembra troppo forte per mostrare la potenza diabolica alla quale Dio lascia tanta libertà in quelle ore di tenebre.
«Oh, Madre mia, che martirio! - ella scrive qualche giorno dopo: - non ne potevo più... non so che cosa sarei stata capace di fare se la fede non mi avesse sorretta».
E prosegue rendendo conto particolareggiatamente di quella lotta umiliante:
«La sera del 3 marzo stavo per venire da lei per chiederle il perdono, che già avevo implorato da Gesù, e cominciai subito a vedere le cose in modo diverso... So bene che Egli è sempre disposto a perdonarmi perché conosco il Suo Cuore!...
«Durante l'ora santa (era il giovedì della terza settimana di Quaresima), mi gettai ai Suoi piedi e non so ciò che Gli dissi... Ma mi sentii sollevata, benché l'anima mia restasse fredda come una pietra».
Il giorno seguente, primo venerdì, 4 marzo, mentre la pace e la luce ritornavano in quell'anima, il demonio tenta uno sforzo che vorrebbe definitivo.
Josefa si trova in giardino a cogliere qualche fiore per la cappellina di cui è sacrestana, quando improvvisamente si sente urtata con violenza e cade su di una vetrata che si spezza sotto di lei. Il sangue sgorga dal braccio destro profondamente ferito. Le cure immediate arrestano a poco a poco l'emorragia, ma il braccio rimane immobilizzato per vari giorni. Durante questo tempo, fedele all'obbedienza, ella detta gli appunti che non può scrivere di sua mano. Vi si legge, in data del mercoledì 9 marzo (quarta settimana di quaresima):
«Durante l'adorazione è venuta la Madonna tanto buona e compassionevole: teneva le braccia aperte come una madre. Le ho chiesto perdono e Le ho detto il mio desiderio di sapere se potrò ancora consolare Gesù e guadagnargli delle anime».
Il suo pensiero dominante è sempre questo:
«Poiché - ella aggiunge, - conoscendo il Suo Cuore non posso dubitare del Suo perdono!».
«- Sì, figlia mia, tu sei perdonata, - risponde la Madre celeste. - Però la rabbia infernale ti prepara nuovi agguati... Ma, coraggio, non soccomberai...».
«Mi diede la sua benedizione e disparve».
Questa materna visita si ripete due giorni dopo, il venerdì 11 marzo: «Stavo ridicendo alla Madonna quanto vorrei che Gesù dimenticasse tutto, quando, all'improvviso, è venuta e così buona! Teneva le mani incrociate sul petto. Mi sono inginocchiata e mi ha detto:
«- Sì, figlia mia, Gesù t'ama come prima, e vuole che tu Gli dia delle anime». Poi, alludendo al braccio malato:
«- Se il demonio avesse potuto ucciderti l'avrebbe fatto, ma non ne aveva il potere!».
Gesù stesso non tarda a mostrare alla figliola prediletta che il Suo Amore e la sua predilezione rimangono immutati. La grande quindicina della passione e della settimana santa si apre opportuna per dare occasione a Josefa di riparare e partecipare alle sofferenze redentrici del divino Maestro.
«Il 14 marzo, lunedì di passione, dopo la Comunione, Egli è venuto, - scrive. - Il suo sguardo penetrante e compassionevole mi fece molta impressione.
«- Non posso più resistere alla tua miseria» mi disse.
«Poi, dopo un istante di silenzio, aggiunse:
«- Non dimenticare che la tua piccolezza e il tuo nulla sono la calamita che attira il mio sguardo verso di te».
«La sera stessa mi trovavo in Cappella, sempre sotto l'impressione ricevuta dallo sguardo di Gesù».
(N. Signore a Josefa - 24 febbraio 1921).
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