martedì 16 marzo 2021

Il Crocifisso di Cevo - AVEVA RAGIONE DON LUIGI VILLA!

 


Questo crocifisso, fatto esporre dalla Gerarchia bresciana, il 20 settembre 1998, in un campo sportivo di Brescia, era il simbolo della “beatificazione” e della “canonizzazione” di Paolo VI che Giovanni Paolo II, in quell’occasione, aveva presentato come date per certe e scontate.


PAOLO VI 

 a vent’anni dalla morte (1978 - 1998)

***

Durante la solenne “Concelebrazione Eucaristica”, presieduta da Giovanni Paolo II domenica mattina, 20 settembre 1998, a Brescia, nello stadio, per la “beatificazione” di Giuseppe Tovini e per la conclusione delle celebrazioni centenarie della nascita di Paolo VI, i punti nodali della Sua omelia, a riguardo di Paolo VI, si possono ridurre a questi: «(…) Pietro, mi ami? Possiamo dire che la vita di Paolo VI sia stata tutta una risposta a questa domanda di Cristo: una grande prova di amore a Dio, alla Chiesa ed agli uomini». «(…) Volle essere servo di una Chiesa evangelizzatrice dei poveri, chiamata con ogni persona di buona volontà a costruire quella “Civiltà dell’Amore”, nella quale non vanno agli ultimi soltanto le briciole del progresso economico e civile, ma dove devono regnare la giustizia e la solidarietà».  

Dunque, è questo il senso delle parole di Giovanni Paolo II a riguardo di Paolo VI. Parole che furono come un pane girico per una Sua futura e certa “beatificazione” e “canonizzazione”. Ma questo, però, il Papa lo disse prima ancora che sia avvenuto l’esame della dottrina di Paolo VI e del Suo Pontificato, prima che sia stato espresso un giudizio sulla riuscita o non del Vaticano II, e prima che Paolo VI abbia fatto i “miracoli” prescritti, e ancora prima che venisse provata la Sua presunta “santità”!.. Insomma, un vaticinio di “beatificazione” che è stato senz’altro tutto il rovescio da quello che il sottoscritto ha scritto nel suo libro: “Paolo VI… beato?”. Perciò, quanto detto da Giovanni Paolo II, a Brescia, in quella occasione, mi suggerisce alcune riflessioni che qui sottopongo, sul tema: “Paolo VI è da beatificare”? Inizio col sottolineare che la “notificazione” che aprì l’istanza diocesana del “processo di beatificazione” di Paolo VI, ebbe luogo a Brescia il 13 maggio 1992. Fu una data scelta o casuale? Se scelta, non poteva essere più sbagliata! Non fu, forse, Paolo VI quell’ostinato profanatore e avversario delle “Apparizioni” Mariane avvenute a Fatima, e delle “domande” poste dalla Vergine, per la Quale Egli non ebbe mai né un pensiero piacente, né una parola serena, né una preghiera umile e devota? Anche quando Paolo VI si recò a Fatima, il 13 maggio 1967, in occasione del 50.mo delle “Apparizioni”, parve che quell’andata avesse tutto il sapore di una sfida a Colei che chiedeva la “Consacrazione al Suo Cuore Immacolato”, condizione “sine qua non” per la conversione della Russia! Infatti, non si può dimenticare che l’allora Mons. Montini, “Sostituto” della Segreteria di Stato di Pio XII, che Egli tradiva, spudoratamente, lavorando sotto banco con Mosca e suoi satelliti, mentre Pio XII lavorava, proprio al contrario, per fare argine allo straripare dell’immenso male morale e materiale che il marxismo-comunismo recava a tutto il mondo cristiano e non, mentre mons. Montini trattava segretamente con Mosca, per allacciare contatti e collaborazioni, che saranno, poi, divenuto Egli Papa, la Sua infausta e diabolica “Ost-politik”! La scelta del 13 maggio, quindi, per l’apertura del “processo di beatificazione” non poteva non richiamare quel lavoro “pro e contro” a quel comunismo già marchiato da Pio XI come “intrinsecamente perverso”, e, dalla Madonna di Fatima, come un “Satana” che avrebbe “diffuso nel mondo i suoi errori”! Una brutta partenza, perciò, quel 13 maggio 1992, per quell’apertura del “processo di beatificazione” che poi, dopo un anno, veniva portato a Roma, diventando, così, “causa romana”, e addirittura con quel termine sbalorditivo: “IL PROFETA DELLA “CIVILTÀ’ DELL’AMORE!”. 

Un “profeta”, quindi, da “canonizzare” al più presto possibile! Ma comunque, questo “processo”, che fu aperto a Roma pure il 13 maggio dell’anno successivo, 1993, dovrà pur esaminare e la “pratica eroica delle virtù” e la “reputazione di santità” della Sua vita; e questo mediante un Tribunale che non sia “compiacente”, bensì rigoroso! Una causa di “beatificazione”, infatti, è una dichiarazione ufficiale della Chiesa che proclama una “persona defunta” già “beata nei Cieli”; una prima tappa, questa, sulla ancora lunga strada che conduce fino alla proclamazione di “santità”; una proclamazione che, dal secolo XII, è monopolio solo dei Papi. Ora, una procedura ad hoc esige che il candidato alla santità sia processato da giudici ecclesiastici, compito che appartiene alla Congregazione per la causa dei Santi. Un processo che è lungo e difficile. Un funzionario di questa Congregazione, detto popolarmente “avvocato del diavolo”, deve scrutare la vita e gli scritti del candidato per spulciarvi tutti quegli elementi che potessero opporsi alla sua canonizzazione. Anche quando si tratta di un Capo della Chiesa cattolica romana, benché lo si chiami “Santo Padre”, quel titolo, tuttavia, non è affatto nel senso dottrinale, né si accompagna necessariamente al suo ufficio così elevato. Tutta la storia dei Papi lo sta ad attestare. Sono ben pochi, infatti, i Papi santificati! L’ultimo Papa a salire sugli altari fu S. Pio X (103-1914).

Ora, nel quadro della procedura necessaria per stabilire “l’eroicità delle virtù”, c’è un preliminare indispensabile: le “testimonianze” di chi l’ha conosciuto e la verifica di un certo numero di “miracoli” post mortem, attribuiti all’intercessione celeste del candidato. E questa é una procedura legale, definita, che bisogna seguire. Ne andrebbe dell’onore della Chiesa! Derogare da essa, infatti, vorrebbe dire aprire la via a tanti abusi! Ma sarà così anche per Paolo VI? Perché la fama di virtù in Giovanni Battista Montini non fu mai ineccepibile, anzi!.. e questo la “Congregazione per le cause dei Santi” non può ignorarlo, e il Tribunale per la Sua “beatificazione” lo deve conoscere! Certo, si può tollerare che si faccia qualche elogio di Lui – ormai defunto! – in certe circostanze ufficiali, purché non si mentisca! Ma prevenire un “giudizio di Tribunale”, pronunciandosi per una Sua sicura beatificazione, è certamente un atto di imprudenza, che può turbare, anche per lungo tempo, l’esercizio di chi attende a una severa giusta causa. Ed è ancora più sconveniente che la si presenti ai fedeli come cosa già fatta, perché sarebbe come stornare i fedeli dalla giusta nozione della verità divina, della vera santità degli eletti e della stessa virtù, senza la quale non si può piacere a Dio! “Chiesa viva” *** Aprile 2014

***

del sac. dott. Luigi Villa


Nessun commento:

Posta un commento