MICHELA
La mia lotta per scappare dall'Inferno
In cerca di una nuova adepta
Dopo alcuni mesi di partecipazione alla setta, durante un rito del sabato il Sacerdote si rivolse direttamente a me: «Lucifero sarà contento se riuscirai a portare un nuovo adepto fra noi. È questo il tuo nuovo compito». Mi chiese se accettavo e io, sempre tramite la Dottoressa, gli risposi di sì, ma aggiunsi anche che non avevo idea riguardo a chi coinvolgere. Lui mi tranquillizzò: «Non preoccuparti di questo. Ti verrà detto». E in effetti, dopo la seduta di ipnosi del lunedì successivo, la Dottoressa mi spiegò che aveva individuato la persona giusta, fra quelle poche conoscenze che ancora continuavo a frequentare (sempre ovviamente con il suo permesso).
Si trattava di una ragazza di quattro anni più grande di me che avevo conosciuto ai tempi della scuola di cucina internazionale. Era molto bella e dotata di notevoli capacità intellettive, proveniva da una famiglia benestante e si era da poco lasciata con il fidanzato. Insieme con altri insegnanti e allievi ci eravamo ritrovate ogni tanto a mangiare una pizza e avevamo legato abbastanza.
Qualche tempo prima ne avevo parlato alla Dottoressa e lei mi aveva chiesto di fargliela conoscere.
La scusa che avevo trovato era che la psicologa che mi stava seguendo aveva utilità nel poter confrontare alcune sue idee con qualche mia amica. Lei accettò e così un pomeriggio la portai con me allo studio. Dopo un po' che parlavamo, la Dottoressa mi chiese di uscire dalla stanza e il colloquio fra loro due continuò per un'altra ventina di minuti. Non so che cosa si siano dette. Alla fine chiesi alla mia amica come fosse andata e lei rispose che l'aveva trovata un tipo molto in gamba e piacevole.
Evidentemente anche la Dottoressa l'aveva trovata di proprio gradimento, perché mi disse di avviare con lei vero e proprio lavoro di seduzione, mediante tecniche che probabilmente mi aveva rinforzato nell'ipnosi. In ogni occasione di incontro valorizzavo le sue qualità, la facevo sentire importante, le dicevo che mi sarebbe piaciuto fare il suo lavoro... In realtà io di carattere non sono assolutamente così, non sono un tipo espansivo. Con lei però mi veniva facile, anzi ero intrigata dall'idea di farle ogni tipo di complimenti, di sedurla.
Una sera le ho telefonato per proporle di uscire insieme. Siamo andate al ristorante e abbiamo parlato del più e del meno. Al ritorno, durante il tragitto in automobile, tentai il primo approccio: «Ma qualcuno ti ha mai detto che sei veramente carina?». Ho visto nei suoi occhi che la mia frase l'aveva turbata e nel contempo incuriosita. Allora proseguii: «Sono sola a casa. Ti va di salire da me a bere qualcosa?». Non ha fatto fatica a dirmi di sì. Senza bisogno di troppe parole, siamo finite a letto e abbiamo avuto un rapporto sessuale. Poi lei e tornata a casa sua, dove viveva con i genitori.
Il giorno dopo, la Dottoressa mi dettò alcune frasi: «Mi dispiace per quello che è successo. Anche per me era la prima volta. Mi sono sentita importante per te», e concludevo: «Ti aspetterò all'uscita. Se desideri che ci vediamo ancora, sali sulla mia macchina. Se no, vai verso l'autobus. Io rispetterò la tua decisione e non ti cercherò mai più». Le feci recapitare il biglietto a scuola e, all'orario d'uscita, ero parcheggiata lì davanti. Lei salì in macchina e da quel giorno ci vedemmo ogni pomeriggio per fare sesso e per ascoltare le sue confidenze: io ovviamente mantenevo il silenzio totale sulla nostra attività nell'ombra.
Sua madre aveva intuito che fra noi c'era qualcosa di strano e aveva cercato più volte di ostacolare quella relazione. Lei però stravedeva per me e non intendeva ragioni. Nell'estate del 1996 era in vacanza con i genitori sul litorale tirrenico e io la raggiunsi, pur senza essere stata invitata. Il compito che mi era stato dato era infatti di stare il più possibile a stretto contatto. La mamma mi chiese di andare via e lei minacciò che in tal caso se ne sarebbe venuta con me. A quel punto mi fu permesso di rimanere lì, ma dopo qualche giorno fui io stessa a indurla ad andarcene in Puglia, in un villaggio turistico dove avevo un amico che lavorava come chef. Furono due settimane di passione, nelle quali io ero sempre in collegamento con la Dottoressa mediante il cellulare.
Devo dire che a quel punto anch'io ero talmente entrata nella storia da aver perso la testa per lei. Forse il fatto di essere stata lasciata dal fidanzato, con cui era stata per una decina d'anni, l'aveva ferita al punto da toglierle qualsiasi inibizione. Sta di fatto che i nostri rapporti erano molto intensi, anche perché le avevo insegnato delle tecniche sessuali nelle quali dolore e piacere si fondevano e ci rendevano totalmente complici. Per di più, la Dottoressa mi aveva anche dato una boccetta con delle gocce che dovevo somministrarle di nascosto, che probabilmente avevano un effetto stimolante.
Il momento del suo ingresso nella setta era previsto subito dopo l'uccisione di Chiara. Al mattino presto di quel famoso 17 gennaio, quando scappai verso Trigoria, sono andata sotto casa sua e le ho fatto gli auguri per il suo onomastico, che capitava proprio quel giorno. Le dissi anche che ci saremmo incontrate la sera per festeggiare. Da quel momento non l'ho più rivista. Un mesetto dopo le ho fatto una telefonata per rassicurarla e lei è sbottata: «Tu mi hai rovinato la vita!». Poi mi ha sbattuto giù la cornetta.
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