martedì 7 gennaio 2020

PADRE PIO E IL DIAVOLO



Gabriele Amorth racconta...


Tradimenti 

In un'occasione specifica, il 24 febbraio 1939, un'altra lettera avverte: questa sera  mentre state a cena Padre Pio aprirà la Chiesa. É l'ora di cena. Dopo alcuni bocconi, Padre  Pio avverte il padre vicario che deve assentarsi ed esce. Racconta padre Raffaele: «Salgo su nel corridoio; mi levo i sandali e a piedi nudi - faceva freddo - vado dietro la porta del coro per assicurarmi che Padre Pio fosse ancora là; e con mia somma sorpresa e grande umiliazione sento che il povero Padre, tanto calunniato da anime vendute al diavolo, si disciplinava dicendo il Miserere a voce abbastanza chiara... Dopo osservo dal finestrino della stanzetta a fianco del coro per vedere se nel piazzale vi fosse qualche persona; ma non vi era anima vivente. Allora mi persuado essere opera puramente diabolica, all'unico scopo di diffamare il Padre». 

Ma le voci e le calunnie fecero premio sull’evidenza. Si decise di installare dei microfoni,  per controllare che cosa accadeva nella celletta di Padre Pio, e nella foresteria, la stanzetta  dove il religioso riceveva privatamente figli e figlie spirituali. Secondo la relazione stesa per  la Positio da padre Amedeo Fabrocini, Provinciale di Foggia, «furono collocati due soli microfoni, uno nella cameretta n. 5 di Padre Pio, l'altro nel parlatorio o foresteria (una stanza presso la porta d'ingresso del convento). L'idea di collocare i microfoni venne in mente al padre Giustino Gaballo (il confratello incaricato dell'assistenza a Padre Pio, compito che in realtà assolveva con fraterna dedizione), che l'effettuò segretamente con la collaborazione del fratello non chierico fra Masseo Cannilo. Il padre Giustino e il suo collaboratore, non essendo demoni" non si permisero mai, per quanto mi consta, di registrare una confessione sacramentale (ma su questo punto le opinioni, a cominciare da quella di Padre Pio, sono  molto diverse. N.d.A.): a essi interessavano solo i colloqui del Padre con le tre "pie donne" e quanto gli andava a riferire settimanalmente (precisamente ogni sabato) il comm. Battisti, delegato amministrativo di Casa Sollievo della Sofferenza. Alla domanda che cosa volessero dirmi, padre Giustino rispose che il giorno precedente aveva segretamente registrato una conversazione di Padre Pio con le “pie donne", tenuta privatamente nella foresteria, e avendovi appreso con dolorosa sorpresa cose gravi, era necessario che io l'autorizzassi di continuare a registrare tali colloqui riservati. Alle mie insistenze di volermi prima riferire che cosa precisamente avessero rilevato, non risposero. Quando, innervosito dal loro silenzio, esclamai: “Per amor di Dio, spiegatevi... ho diritto di sapere... perché allora siete venuti da me?”, intervenne padre Emilio: “Si tratta di un bacio”. “Bacio... ma di che natura?” soggiunsi. 
Un’alzata di spalle fu la risposta. Riprese la parola padre Giustino: “Ripetiamo che siamo venuti perché ci autorizzi a continuare a registrare i colloqui riservati di Padre Pio. É assolutamente necessario". 

“Non posso permetterlo”, risposi. 

“Allora” ribatté con tono serio “tenga per certo che poiché il nome di Padre Pio ha risonanza dovunque, di tutte le gravissime conseguenze che deriveranno dalla negata autorizzazione, lei ne porterà le tremende responsabilità di fronte all’Ordine, alla Chiesa, al mondo”.» 

L’iniziativa di padre Giustino «fu fatta propria da un’alta autorità romana», di cui padre  Amedeo ignora l'identità. 

Padre Amedeo ebbe l’ordine di mettersi a disposizione di padre Umberto Terenzi,  rettore del Santuario del Divino Amore, e si recò a trovarlo una sera a Roma. 

«... Disposto il nastro su un registratore, vi si sedette accanto e m’invitò a fare altrettanto, dicendo: “Ora ascoltiamo questa conversazione di Padre Pio... in silenzio... e dopo i commenti”. 
L’apparecchio mandava un sottilissimo filo di voce; per quanto io tenessi vicino l’orecchio, non riuscii a cogliere che qualche parola isolata, mai una frase di senso completo. Lui invece sembrava che capisse tutto. A un certo punto mi fece notare: “Ecco, qui c’è un bacio”. Si ascoltò più volte la registrazione; ma sempre con lo stesso risultato, per me. Staccato lo spinotto dalla presa di corrente lui esclamò sdegnato: “Cose gravi, padre mio, cose tristi... Costituiranno una spina per la Chiesa. Quale delusione e quale scandalo per innumerevoli anime... e anche per me che gli ero affezionatissimo. Ma è necessario affrontare subito la brutta faccenda, con provvedimenti severi, efficaci. Anche il confessore di Padre Pio avrà quello che si merita: verrà esiliato in Africa”.» 

Don Terenzi agiva, disse, «per mandato ricevuto dal Sant'Uffizio (allora retto dall'arcivescovo Parente, perché assente il cardinale Ottaviani). Tutto quanto dispongo, lo stabilisco di accordo con la Suprema Congregazione». Ricordiamo che fu Padre Pio a  chiedere che finisse l'esilio di padre Giustino. Riferisce padre Carmelo, durante questo episodio: «Nel 1964 ebbi un incontro con S. Eminenza: argomento del colloquio Padre Pio. A un dato punto della conversazione riguardante l'uso dei registratori, l'eminentissimo a bruciapelo mi domandò: “Padre Carmelo, poi come mai Padre Pio volle vicino a sé Padre Giustino, chiedendone tramite voi il ritorno da Malta?”. Mi sentii umiliato e mortificato, comprendendo la gravità di quell'interrogativo, e abbozzai una risposta: “Eminenza, ma prima padre Giustino voleva bene a Padre Pio, poi...” stavo per continuare quando il cardinale, riprendendosi e rispondendo da se stesso al suo interrogativo, scandì: “Già, del resto anche Gesù ebbe il suo Giuda nel collegio apostolico!... Così pure Padre Pio ha avuto il suo Giuda”». 

MARCO TOSATTI 

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