Gesù parla della Corredentrice negli scritti di Maria Valtorta
Non dimentichiamo, poi, il discorso che Gesù tiene nella sinagoga di Nazareth sul testo biblico di Isaia, 61,1-3. I nazarethani, punti sul vivo, tumultuano e infuriati lo cacciano fuori della città, lo inseguono fin sul ciglio di un monte…, ma Gesù passa incolume in mezzo a loro. Anche questo fatto penoso fu certamente una spada per il Cuore di Maria, a Nazareth, dove erano maldisposti verso di Lui persino i parenti che lo giudicavano un pazzo, un attaccabrighe…
Quando pensiamo a Maria, meditiamo il suo dolore di 34 anni, culminato ai piedi della croce. Ella l’ha sofferto, per noi! Per noi, le derisioni della folla che la giudicava la madre di un pazzo.. Per noi, i rimproveri dei parenti e delle persone notabili. Per noi, l’apparente sconfessione di Gesù: “Mia Madre e i miei fratelli sono coloro che fanno la Volontà di Dio”. Ma chi più di Lei la faceva, ed una Volontà tremenda che le imponeva la tortura di vedere suppliziare il Figlio? Per noi, le fatiche di raggiungere Gesù qua e là. Per noi, i sacrifici: da quello di lasciare la sua casetta e mescolarsi alle folle, a quello di lasciare la sua piccola patria per il tumulto di Gerusalemme. Per noi, il dover essere a contatto con colui che covava nel cuore il tradimento. La pura, l’umile, la distaccata dalle ricchezze terrene non poteva non avere ribrezzo di quel serpe, come del resto lo ebbe Gesù per quasi tre anni.
Altra fonte copiosa di pene per il Cuore della Corredentrice era costituita dall’ostilità dei sacerdoti, scribi e farisei, volpi astute che cercavano di spingere Gesù nella loro tana per sbranarlo. Per noi, il dolore di Maria di vedere accusato il Figlio suo di possessione diabolica e di eresia. Tutto, tutto per noi!… Quanto ha sofferto Gesù di veder soffrire sua Madre, di doverla condurre, come agnella mansueta, al supplizio, di doverla straziare con tanti adii: a Nazareth, prima dell’evangelizzazione; nell’imminenza della Passione; prima della Cena pasquale; in quello atroce sul Calvario. (“Poema”, vol. IX, p. 16-17).
Pablo Martín Sanguiao
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