Nella notte dei sensi l’anima rimane vuota e spogliata, nei sensi, da qualsiasi attaccamento sensibile alle creature. Qui invece viene svuotata dalle facoltà dell’anima. L’intelletto non vede né distingue, la volontà è titubante (vuole e non vuole). L’anima si sente piena di tristezza, come persa in un deserto. Povera anima! Piange e geme... Come se si trovasse in un lago buio dove non può nemmeno pronunciare il dolce Nome di Gesù. Il demonio l’attacca con tentazioni terribili. Le sembra di essere stata abbandonata perfino dalla misericordia di Dio. E grida come Gesù: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Nonostante le mie grida la mia preghiera non arriva fino a Te» (Sl 21, 1). L’anima soffre tenebre enormi nell’intelletto, grandi aridità ed angustie nella volontà e un gravoso ricordo della propria miseria nella memoria... senza trovare sollievo in nessuna cosa, né un pensiero che la conforti e senza neppure innalzare il cuore a Dio... È impossibile descrivere quello che l’anima soffre in questo periodo; è di poco inferiore alle pene del purgatorio (Ll 1, 20-21).
È circondata dalle tenebre e le sembra di non avere fede. Tuttavia è contenta di soffrire per Gesù. Ci sono momenti in cui Dio rialza un po’ la buia coltre e fa sentire leggermente all’anima il sole perché questa si riposi e non si disperi, ma poi torna di nuovo l’oscurità più fitta. Le sembra di essere precipitata in un pozzo profondo in cui non vede e non sente niente, come se dopo questo mondo esistesse soltanto il freddo e il nulla. Inoltre ha l’impressione che Dio la disprezzi e la rifiuti. E, nonostante tutto, confida ancora in Lui e non dispera anche se a volte le sembra di stare per crollare. In alcuni momenti l’anima prova in sé le sofferenze mortali di Gesù nel Getsemani o sul Calvario: la solitudine, lo sgomento, la flagellazione o la corona di spine... In questa totale oscurità avverte profondamente la sua nullità e il suo peccato, i suoi difetti e la sua miseria. Il patire è talmente grande che può ben definirsi come un purgatorio in vita. E il peggio è che si crede condannata all’inferno in eterno per i suoi peccati.
Ciò nonostante il suo cuore innamorato lancia grida d’amore: Aiutami Gesù! Aiutami, Amore mio! Non ce la faccio più! Ti amo Gesù! Fammi morire d’amore!.
Disgraziatamente molte anime si spaventano, si scoraggiano e abbandonano il cammino. Si rassegnano a non essere sante e si accontentano della mediocrità. Quanto soffre Gesù per questi abbandoni! Quanto danno causano a tutta la Chiesa! Per questo è così importante non fare marcia indietro e consegnarsi totalmente all’azione divina. A volte questi fallimenti avvengono perché le anime non trovano una guida saggia che le sappia orientare o perché hanno paura della sofferenza o si stancano di essa poiché, infatti, può durare anni. Ma se si continua ad andare avanti nel tunnel, anche senza vederne l’uscita, lottando contro ogni speranza... arriverà il giorno in cui la tempesta finirà, l’anima si sarà purificata e il suo amore avrà raggiunto dimensioni insperate. Riconoscerà con umiltà la sua infinita miseria e la incapacità di operare il bene; il suo cuore amante si sarà trasformato in un giardino di delizie meravigliosamente profumato che farà innamorare il suo Creatore.
Alla fine del crudo inverno inizia una nuova primavera che la porterà al Matrimonio spirituale. Allora lo Sposo e la sposa saranno uniti con lo stesso amore delle TRE PERSONE DIVINE. Lei sarà come una regina, senza altro pensiero se non quello di amarlo, di farlo amare e di salvargli anime che lo amino eternamente.
La notte dello spirito è come un tunnel lungo e buio, ma alla fine ci sarà la luce di Gesù che ci aspetta per il Matrimonio spirituale. San Giovanni della Croce scrive:
«In una notte oscura,
con ansie, in amori infiammata,
- oh Felice ventura! -
uscii, né fui notata,
stando già la mia casa addormentata.
Al buio uscii e sicura,
per la segreta scala, travestita,
- oh felice ventura! -
al buio e ben celata,
stando già la mia casa addormentata.
Nella felice notte,
segretamente, senza esser veduta,
senza nulla guardare,
senza altra guida o luce
fuor di quella che in cuore mi riluce.
Questa mi conduceva,
più sicura che il sol del mezzogiorno,
là dove mi attendeva
Chi bene io conosceva
E dove nessun altro si vedeva.
Notte che mi hai guidato!
O notte amabil più dei primi albori!
O notte che hai congiunto
L’Amato con l’amata,
l’amata nell’Amato trasformata!
Di questa notte scriveva anche suor Cecilia del Natale:
Oh notte cristallina,
che unisti con quella luce splendida
in una unione divina
lo Sposo e la sposa,
facendo di ambi una stessa cosa!
Padre Angel Peña
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