Scritto di Madre Trinidad de la Santa Madre Iglesia,
del 15 settembre 1974,
Dio è infinitamente perfetto e, per la perfezione della sua stessa natura, tiene in sé, suto, posseduto e terminato, quanto è e quanto vive nell’abbraccio della sua Eternità.
L’eternità in Dio è l’Atto infinitamente perfetto che, nel compendio del suo abbraccio, contiene racchiusa tutta la capacità potenziale di Dio nell’esuberanza pletorica della sua inesauribile perfezione.
Il tempo è la possibilità che Dio ha dato alla creatura di realizzare una cosa e portarla al suo compimento. E quando la perfezione di colui che la realizza o la sua capacità di realizzarla è maggiore, necessita di meno tempo per consumarla.
Dio, che è la Perfezione infinita, non ha bisogno del tempo per essere quanto è in sé; perché, per la potenza della sua perfezione onnicomprensiva, è capace di essere quanto può essere nella realizzazione pletorica della sua vita infinita, in un atto consumato e terminato di eterno possesso. Poiché, anche se Dio è infinitamente fecondo nella diversità dei suoi attributi, per la pienezza di quanto contiene, è anche infinitamente abbracciato nel compendio compatto della sua ricchezza. E così vive tutta la realtà del suo essersi intercomunicazione trinitaria di vita ridonativa, in un atto Sapienziale di Amorosa Esplicazione, nel mistero trascendente del suo eterno silenzio.
La perfezione dello spirito abbraccia il compendio di tutti i tempi, più o meno, secondo l’unione o la partecipazione che abbiamo dell’Eternità.
Cristo, in tutto quello che vive e fa, è la più perfetta immagine, come creatura, della Perfezione infinita. Per cui è capace di contenere in sé, e nello stesso istante dell’Incarnazione, tutto il piano di Dio riguardo alle creature, compiuto e abbracciato, benché, per manifestare quel piano e per farcelo captare, si sia valso del tempo.
Quando volle manifestarci il suo amore eterno, si fece Via e, insegnandoci la sua Verità, ci conduce palpabilmente alla Vita. E per questo scelse il tempo che Egli ritenne necessario affinché la nostra capacità potesse comprendere il piano della sua infinita misericordia in effusione su di noi.
Avvalendosi del tempo, ci si è consegnato a Betlemme come espressione palpabile del suo amore, ci ha insegnato con il suo esempio e la sua parola, è morto sulla Croce ed è risorto manifestandoci pure che Egli era la Resurrezione e la Vita che ci portava al seno del Padre.
Volendo restare con noi finché dureranno i secoli, è rimasto nell’Eucaristia come espressione massima della sua consegna paterna in idillio d’amore; e, nel giorno del Giudizio Universale, verrà a raccoglierci affinché contempliamo la gloria del Figlio dell’uomo nel suo trionfo su tutto il creato.
Gesù è in sé l’abbraccio consumato e terminato di tutto il piano divino in relazione all’uomo, essendo, davanti a Dio, la glorificazione perfetta dell’uomo allo stesso Dio e, davanti agli uomini, l’espressione dell’Infinito Amore in effusione su di loro. Per cui tutta questa realtà che Cristo racchiude, non soltanto è vissuta da Lui, ma è manifestata affinché la viviamo.
Nell’istante dell’Incarnazione, l’anima di Cristo, per la grandezza della sua perfezione, fu capace di vivere, contenere ed abbracciare, nell’esperienza gustosa o dolorosa del suo essere, tutto il suo atteggiamento sacerdotale di ricezione dell’Infinito e di risposta in ridonazione allo stesso Infinito; di Ricettore della donazione di Dio per tutti gli uomini e di Ricapitolatore in se stesso di tutti loro, essendo la Risposta di tutto ciò che è creato davanti alla Santità Eterna.
Non so se potrò dire, con le mie poverette parole e le mie limitate espressioni, il compendio compatto che il mio spirito, introdotto dalla mano amorosa di Maria nel mistero dell’Incarnazione, scopre della perfezione che Cristo è in sé per la contenzione di tutto il piano di Dio che, in Lui e per Lui, è operato in relazione allo stesso Dio e agli uomini.
Quando il mio essere piccolino non sa né può decifrare le grandezze che, oltrepassando le mie capacità, io scopro dell’Eterno nel suo essersi e nel suo agire, cado in adorazione e, tremante d’amore, aderendo a Cristo, tento, unita a Lui, di adorare, di rispondere e di glorificare Dio nella minuta capacità della mia piccolezza.
Come la nostra mente, senza essere introdotta da Dio, non può assaporare con godimento la penetrazione dell’attributo dell’Eternità, perché questo è infinitamente distante dalla possibilità della nostra captazione, così neanche possiamo capire che Cristo, per la grandezza della sua perfezione, come creatura creata ad immagine dell’Eternità e come espressione della stessa, sia capace di vivere in un istante il compendio compatto del suo atteggiamento sacerdotale nell’abbraccio completo di tutto ciò che racchiude, secondo la pienezza che il suo sacerdozio gli diede nell’Incarnazione.
Cristo ha abbracciato nel suo spirito tutti i tempi di tutti gli uomini, vivendo con tutti e con ciascuno di loro in tutte e ciascuna delle loro circostanze. E come per manifestarci la realtà compatta che Egli conteneva di amore, di consegna, di insegnamento, di donazione, di vittimazione in necessità di glorificare il Padre e di donarsi agli uomini, si è avvalso di trentatré anni, così per trasferirsi al nostro tempo, vivere con noi e farci vivere con Lui, si è avvalso della Chiesa, la quale, innestandoci in Cristo, attraverso la liturgia, ci fa vivere, per mezzo della fede, della speranza e della carità, la realtà pletorica del Verbo infinito Incarnato, nel suo essere e nel suo operare.
E, nel Sacrificio dell’Altare, ci viene dato tutto il mistero di Cristo nella sua vita, morte e resurrezione, viene fatto vivere anche a noi questo Sacrificio insieme a Cristo, per Lui e in Lui, per la gloria del Padre e per il bene di tutti gli uomini, perpetuandosi per noi nell’Eucaristia la presenza reale del Verbo Incarnato con tutto ciò che è, vive e manifesta.
O mistero meraviglioso della perfezione di Cristo, che è capace di realizzare l’irrealizzabile per l’uomo!, rendendo possibile che io nel mio tempo, nel Sacrificio dell’Altare, viva la stessa realtà che hanno vissuto coloro che sono stati con il Verbo fatto Uomo.
Ed è così splendente la donazione infinita di Dio in effusione di amore verso di me, che, durante tutte le Messe di tutto il mio tempo, quella realtà, misteriosamente, viene attuata per me attraverso la liturgia. Ed io, quando sono con Gesù nel tabernacolo, per il potere della sua grazia, vivo nel modo in cui Egli visse con me durante i suoi trentatré anni, nella manifestazione del suo gaudio e della sua pena, della sua consegna e del suo amore. Ancora di più, i miei tempi di tabernacolo, nella mia vita di fede, sono la realizzazione di quel tempo di Cristo nel mio tempo, che mi rende capace di vivere il tempo di Cristo davanti al mio tabernacolo.
È così grande la ricchezza della Chiesa, così forte il potere della grazia che attraverso di essa in noi si realizza, che, come nell’Eternità, per la magnificenza della sua pienezza, non abbiamo bisogno del tempo, né esiste la distanza per vivere Dio -pur essendo l’Infinita Perfezione di inesauribile realtà- così, per la perfezione del mistero della Chiesa, manifestazione espressiva di Dio, neanche il tempo e la distanza sono un impedimento per vivere in qualsiasi momento della nostra vita tutto il compendio compatto e pletorico della ricchezza che la Chiesa in sé contiene. Poiché il mistero che la Chiesa racchiude non è un mistero di ricordo, ma di realtà viva e vivente che, prescindendo dal tempo e dalla distanza, è adagiato nel suo seno affinché veniamo ad abbeverarci alle sue fonti come e quando la nostra anima-Chiesa ne abbia bisogno per l’appagamento delle sue ansie.
Il tempo, come dicevamo all’inizio, è il mezzo del quale ci serviamo per ottenere una cosa; quando ciò che vogliamo realizzare è compiuto nel perfezionamento di quanto è, esso si mostra o si dà nella consumazione della sua perfezione.
Così il mistero di Cristo, con tutta la sua realtà, si mantiene nella Chiesa, compiuto nella sua infinita perfezione, ed è mostrato e comunicato agli uomini nel tempo o nella circostanza in cui ciascuno di noi, introdotto nel seno della stessa Chiesa, ha bisogno di viverlo e di possederlo.
La Chiesa è anfora preziosa ricolma di divinità che contiene tutto il mistero di Dio in sé e tutto il mistero di Dio in relazione a noi, che, vissuto e comunicato da Cristo, diviene per noi realtà, grazie al nostro inserimento in Lui, in tutti e in ciascuno dei momenti della nostra vita.
Io, per essere Chiesa, sono inserita in Cristo in tutti e ciascuno dei misteri della sua vita, che io vivo nel mio spirito con maggiore o minore profondità, con maggiore o minore partecipazione, a seconda di come la mia fede, speranza e carità me li rendano presenti. E per Lui sono inserita anche con il Padre e lo Spirito Santo e con tutti gli uomini di tutti i tempi.
E come Cristo durante i suoi trentatré anni visse realmente la mia vita, caricandosi dei peccati che io avrei commesso dopo venti secoli e presentandosi con essi davanti al Padre come realtà presente, così anch’io, quando inserita in Cristo mi presento davanti al Padre, non mi presento con un Cristo di ricordo, ma con il Cristo vivente che, nel seno della Chiesa, contenendo nel suo tempo tutta la mia realtà, mi fa vivere, nel mio tempo, tutta la sua realtà.
Cristo visse con me ed io vivo di Lui. Togliamo i secoli che separano la sua vita dalla mia, e resta soltanto la sua unione con me ed il mio inserimento in Lui; e, resi una cosa sola nell’amore dello Spirito Santo, Egli si dà a me tale qual è nel suo tempo e nel mio, ed io mi do a Lui pure nel suo tempo e nel mio con tutto ciò che sono.
Cristo è l’Unto di Dio per tutti i secoli; e quest’Unto di Dio è unzione piena di tutta la sua realtà per me nel mio secolo e nel mio tempo. Ciò che mi separa dal possesso dell’Eternità è il tempo che mi manca per incontrarla; ma, per vivere il mistero di Dio nella Chiesa, non esiste altra distanza che il peccato. Scomparso questo, non ci sono impedimenti, e la vita della grazia mi rende capace di vivere il mistero di Dio in sé e con noi, attraverso Cristo.
Durante i suoi trentatré anni, Gesù è stato il Cristo palpabilmente penante che, in vittimazione, viveva nel suo spirito pure di Eternità; e, nel mio tempo, è il Cristo glorioso che, unendomi a Sé per la fede e venendo a me attraverso la liturgia, mi fa vivere della sua vittimazione dolorosa, della sua richiesta sanguinante e della sua immolazione silente.
Gesù è la Gloria infinita del Padre, per la sua Persona divina, ed è l’Adoratore perfetto di questa stessa Gloria, nella sua natura umana; per cui Egli racchiude nella sua realtà il Cielo e la terra, la creatura e il Creatore, l’uomo e Dio, l’Eternità e il tempo. Ed Egli essendo, nella sua natura umana, l’immagine o l’espressione più perfetta di Dio in tutti i suoi attributi e perfezioni, fu capace di vivere nel suo spirito, ad uno stesso tempo e in un modo perfettissimo, la gloria dell’Eternità e l’abbraccio della sua stessa vita e di quella di tutti gli uomini.
Cristo raccolse nella sua vita tutti i tempi riducendoli a trentatré anni, perché Egli è la capacità che li abbraccia tutti. Avvalendosi dei suoi trentatré anni, fu e si manifestò come il Cristo penante che, arrivando alla vittimazione cruenta, viveva allo stesso tempo di Eternità; e durante tutti gli altri tempi che Egli fu capace di contenere in sé per la perfezione del suo essere, si manifesta a noi attraverso la liturgia come il Cristo glorioso che contiene in sé la vittimazione della sua stessa vita con la realtà vivente di tutti gli uomini.
Gesù è abbraccio di tutti i tempi in diversità di circostanze; e così come gli Apostoli videro patire cruentemente Lui che è la Gloria del Padre, noi vediamo ora godere gloriosamente Lui che è la Vittima immolata. È però uno stesso Cristo, che, abbracciando i tempi con tutte le loro circostanze, si rende a noi presente o palese in un modo o nell’altro, contenendo in sé tutta la sua ricchissima realtà.
Poiché non possiamo dubitare che, quando Cristo si manifestò agli Apostoli sul Tabor apparendo con la luminosità della sua gloria, non cessò per questo di essere la Vittima che racchiudeva nel suo cuore la penante tragedia di tutti gli uomini; come neanche il giorno del suo trionfo universale cesserà di essere il Sacerdote offerto al Padre per la salvezza di tutti.
Per cui, quando io, nei miei tempi di tabernacolo, ascolto il lamento di Gesù che, penando, mi chiede amore e riparazione, non vivo di un ricordo né di un’immaginazione passata, ma della realtà che Cristo, riguardo a me, visse nel tempo della sua manifestazione.
Quando io prego ai piedi del Tabernacolo, sto con Cristo com’è: con la sua vita, morte e resurrezione, con le sue tragedie e le sue pene, le sue glorie e le sue gioie; vivendolo nella possibilità che il tempo ha dato a me. E questa possibilità, per la perfezione dell’effusione dell’Amore Infinito, è per me così reale, così totale, così integra e così compiuta, che tutto ciò che hanno vissuto nel loro tempo coloro che sono stati con Gesù, io lo vivo nel mio; proprio lo stesso, né un pochino in più né un pochino in meno, giacché Gesù è il Cristo di tutti i tempi, che si è manifestato in un tempo, ma che si è perpetuato in tutti i secoli tale qual è per la perfezione del suo splendore.
Ma accade che, come la nostra mente non è capace di captare che tutta la realtà infinita dell’Infinito Essere, nella compattezza coeterna della Famiglia Divina, sia vissuta, per la perfezione della sua natura, in un solo atto di essere, così neanche siamo capaci di comprendere, nemmeno di intravedere, il modo splendido con il quale la magnificenza di Dio ci rende vivibile, captabile e reale, tramite il mistero della Chiesa, tutta la vita, morte e risurrezione di Cristo.
Quando sono davanti al Tabernacolo, sto con Cristo tale qual è. So che adesso è glorioso e sta nel seno del Padre vivendo con me tutta la realtà sanguinante che, nel suo tempo, vivendo Lui questo istante, realizzò per me. Ed alcune volte godo con la sua gloria, ed altre volte soffro con il suo penare, il penare che Cristo nel vivere la mia realtà, il mio tempo e le mie circostanze patì, rispondendo così a Lui nella necessità che, dinanzi al suo vivere con me, io ho di vivere con Lui.
La fede è al di sopra del tempo; e la liturgia, insignorendosi di tutte le circostanze, è così ricca e così estensiva, che non soltanto trasferisce Cristo al mio tempo, ma trasferisce me al suo; per cui l’Eucaristia è un’espressione vivente del Senzatempo, in manifestazione di amore eterno agli uomini.
Quel tempo contenne Cristo vittimato palpabilmente che viveva di Eternità; e questo tempo mi dà Cristo glorioso che è la Vittima immacolata. E quando io, per la perfezione onnicomprensiva della mia vita di fede, per ricevere il mistero di Cristo, mi metto di fronte a Lui, prescindo dal tempo e, guardandolo fissamente, vivo quanto è, nel modo piccolino che la mia capacità mi dà; ma più o meno onnicomprensivamente, più o meno realmente, secondo la partecipazione che la vita della grazia mi offre in esperienza assaporabile dei misteri di Dio.
Una volta che ho compreso, nel mio modo piccolino di captare, qualcosa dell’eccellenza dell’Eternità, e qualcosa pure della perfezione espressiva di Cristo che manifesta l’attributo dell’Eternità nel suo modo di darsi a noi, per me il tempo è diventato come l’eco che una campana potrebbe lasciare dopo il suo rintoccare. Non esiste il tempo per me; esiste soltanto Dio ed il suo piano, vivendo Egli la sua realtà con me ed io la mia realtà con Lui.
Anima cara, togli dalla tua captazione, nella misura in cui puoi, tutto ciò che ti possa separare dalla vita di Cristo. Taglia il tempo, se puoi, nella tua immaginazione, come taglieresti la corda che va dal fondo fino alla bocca di un pozzo; togli la corda, prendi l’anfora con la mano, e dimmi che cosa te ne separa.
Dio si è sottomesso al tempo, ma il suo amore infinito è stato così grande e così perfetto nella donazione della sua consegna, che, per mezzo della liturgia, ha unito misteriosamente le nostre vite a quella di Cristo. Per cui io non ho bisogno di nulla per saziare la mia sete direttamente alla bocca del Getto della Vita, ma mi abbevero alle sue acque, saziandomi nelle sue sorgenti con la stessa fluidità, freschezza e vitalità di coloro che sono stati con Gesù, perché io sperimento che sono con Cristo come loro e che Lui è con me come con loro. Sento la freschezza della Parola infinita Incarnata, il battere del suo cuore, il palpitare del suo petto, la carezza del suo sguardo, il lamento della sua agonia, il penare della sua solitudine, il dolore davanti all’incomprensione di coloro che non lo vogliono riceveSre…; ed ascolto, nell’amarezza del mio petto addolorato, le frustate dei flagelli, lo scricchiolare dell’incoronazione di spine, la desolazione del tradimento di Giuda. Che cosa vivrà Cristo che io non viva con Lui, prescindendo dal tempo, nel compendio compatto della sua perfezione e nella captazione del mio amore che, in risposta, si consegna come può…!
Il tempo non è altro che una risata beffarda che tenta di distruggere e di lasciare solo nel ricordo la realtà viva e vivente della manifestazione palpabile dell’amore infinito di Dio nei confronti dell’uomo che, in tutti ed in ciascuno dei momenti della nostra vita, ci si dà nel seno della Chiesa per la forza del suo potere.
Gesù, nel Tabernacolo, è il Cristo del Padre che contiene in sé il Cielo e la terra, il divino e l’umano, la vita e persino la morte, il gaudio ed il dolore; e questo lo è così come lo è nel modo ricchissimo e splendente, magnifico e splendido che Egli ha per la perfezione compatta della sua contenzione di essere.
Nei miei tempi di Tabernacolo, presso le porte dell’Eternità, mi si mostra la Gloria del Padre, la Figura della sostanza dell’Eterno in Espressione canora, che è il Verbo. E nei miei tempi di Tabernacolo pure, accanto alle porte dell’Eternità, per la manifestazione dello splendore della gloria di Dio, mi si dà Cristo penante e sofferente che reclama il mio cuore per placare la sua sete, mi chiede la mia consegna per calmare le sue ansie e mi dice le sue pene affinché io lo consoli.
L’anima-Chiesa è così grande, tanto, tanto!, che, per il suo inserimento nel Sommo ed Eterno Sacerdote, come membro del Corpo Mistico, vive con Lui ed in Lui tutto il mistero della sua vita, morte e risurrezione, insieme a tutti gli uomini che, inseriti in Cristo, sono sue membra; i quali, a loro volta, misteriosamente uniti alle altre anime, posseggono tutta questa grande meraviglia e splendente realtà. Com’è grande essere Chiesa e quanti pochi lo sanno!
Quando Cristo mi unisce a Sé per il mistero dell’Incarnazione nel suo tempo, e si unisce a me nel mio attraverso il battesimo, restando inserita in Lui, divento membro del suo Corpo, del quale Lui è il Capo; e così scompaiono, per la vita di grazia, gli impedimenti del tempo per vivere la realtà del Sommo ed Eterno Sacerdote nella pienezza di quanto è, vive e manifesta.
Ma ancora di più. Quando sono cosciente della mia realtà, sento in me i dolori di Cristo che mi crocifiggono, l’abbandono del suo Getsemani, divenendo la sua vita la mia vita; per cui i suoi sentimenti, le sue appetizioni, le sue urgenze e perfino le sue glorie, passano partecipativamente al midollo del mio cuore, potendo dire con San Paolo: “Vivo io, ma non più io, è Cristo che vive in me”. Egli vive in me ed io in Lui. Per questo, la sua gloria è la mia gloria, la sua pena è il mio morire e, impregnata del palpitare della Chiesa, che, nel compendio di tutte le sue membra, è il Corpo Mistico di Cristo, ho bisogno di essere eucaristia, rendimento di grazie, adorazione a Dio, donazione a tutti gli uomini per essere mangiata da tutti, avendo fame di essere tutta per tutti e che noi tutti siamo uno nella carità dello stesso Spirito Santo.
E così come, per partecipare delle divine Persone, io non debbo andare all’Eternità, perché Dio è venuto da me introducendomi in Lui, che è l’Eternità, così, per vivere Cristo, io non ho bisogno di trasferirmi ai suoi trentatré anni, perché Lui, superando il tempo per mezzo del mistero della Chiesa, è venuto a me con tutto il compendio compatto della sua realtà misteriosa.
Dov’è un’anima che il tempo sia capace di separare da me? Lo spirito, unito a Dio, abbraccia tutte queste realtà; per cui, nella partecipazione dello stesso Infinito, io sono nel seno di Dio, vivendo con Cristo nell’unione dello Spirito Santo, con tutti gli uomini.
Ah se noi uomini vivessimo di Dio… se trascendessimo i concetti creati…, se assaporassimo quelli eterni, divenendo capaci di captare la trascendente trascendenza di tutti essi…!
Dov’è mai creatura, tempo o distanza, che mi possa separare anche di un apice dal Verbo infinito Incarnato, in quanto è, vive e realizza? Soltanto il mio “no” al piano divino aprirebbe una distanza e forse un abisso insondabile tra Lui e me; ma, nella misura in cui io sono adesione, nel modo più perfetto che mi è possibile, all’effusione infinita della sua divina volontà su di me, in questa stessa misura Lui ed io siamo uno nell’unione dello Spirito Santo.
Anima cara, chiunque tu sia dentro l’ampio seno della Santa Madre Chiesa, vivi la tua realtà di membro del Corpo Mistico di Cristo, assimila tutti i movimenti dell’anima di Gesù, ed abbi la sicurezza che, nel compendio compatto che ti dà il tuo essere Chiesa, andrai scoprendo la semplicità schiacciante, vivificatrice e captabile di tutto il piano di Dio, attraverso Cristo, nei confronti dell’uomo.
Io mi sento l’’Eco della Chiesa mia’ perché tutto il palpitare del suo cuore -che è Cristo che vive con lei- è raccolto nel mio petto e ripetuto nella minuta capacità della mia vibrazione per l’impulso dell’Amore Infinito, che, essendo il mio Sposo divino, mi fa rompere pure, come frutto del suo amore, in effusione di maternità spirituale.
Figlio della mia anima-Chiesa, ascolta il gemito del mio cuore: entra nella profondità profonda del petto di Cristo, ricevi il palpitare del suo doloroso Getsemani prescindendo dal tempo e dalle circostanze che ti circondano. Perché per il cristiano, nella dimensione della sua capacità, non esistono né il tempo né la distanza, essendo, con Cristo, universale, ad immagine e riflesso della perfezione di Dio che manifesta l’attributo dell’Eternità in Cristo, e che, per Lui ed in Lui, lo fa ripercuotere in tutte le sue membra.
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