Il Dogma dell'Inferno.
MOSTRATO DA FATTI
Ora vediamo come il Figliuol di Dio ci parla dell'Inferno
«Guai al mondo per causa degli scandali. Imperocché necessaria cosa è che sianvi degli scandali; ma guai all'uomo, per colpa del quale viene lo scandalo. Che se la tua mano e il tuo piede ti serve di scandalo, troncali e gettali via da te: è meglio per te di giungere alla vita con un piede e una mano di meno, che con tutte due le mani e tutti due i piedi essere gittato nel fuoco eterno. E se l'occhio tuo ti serve di scandalo, cavatelo e gittalo via da te: è meglio per te l'entrare nella vita con un sol occhio, che con due occhi esser gittato nel fuoco dell’Inferno». (S. Matt. XVIII. 7 ss. e V. 29 )
«Non temete coloro che uccidono il corpo, e non possono uccidere l'anima; ma temete piuttosto colui, che può mandar in perdizione e l'anima e il corpo nell'Inferno». (Id. X. 28.)
«Morì anche il ricco, e fu sepolto nell'Inferno. E alzando gli occhi suoi, essendo nei tormenti, vide da lungi Abramo, e Lazzaro nel suo seno. Esclamò, e disse; Padre Abramo, abbi misericordia di me, e manda Lazzaro, che intinga la punta del suo dito nell'acqua per rinfrescar la mia lingua; imperocché io sono tormentato in questa fiamma». (S. Luc. XVI. 22. ss.).
«Allora il Giudice dirà anche a coloro che saranno alla sinistra: Via da me, maledetti, al fuoco eterno, che fu preparato pel diavolo e pe' suoi angeli». (S. Matt XXV. 41)
«E vi dico che molti verranno dall'oriente e dall'occidente e sederanno nel regno dei cieli; ma i figliuoli del regno saranno gittati nelle tenebre esteriori; ivi sarà pianto c stridore di denti». (Id. VIII. 11, 12).
«Ma entrato il re per vedere i convitati, vi osservò un uomo, che non era in abito da nozze. E dissegli: Amico, come sei tu entrato qua, non avendo la veste nuziale? Ma quegli ammutolì. Allora il re disse a suoi ministri: Legatelo per le mani e per li piedi, e gettatelo nelle tenebre esteriori: i vi sarà pianto e stridore di denti» (Id. XXII. 41 ss.)
«E il servo inutile gettatelo nelle tenebre esteriori: ivi sarà pianto e stridore di denti». (Id. XXV. 50.)
«Ma io vi dico che chiunque si adirerà contro del suo fratello, sarà reo in giudizio. E chi gli avrà detto stolto, sarà reo del fuoco della geenna». (Id. V. 22)
«Il Figliuolo dell’uomo manderà i suoi Angeli; e torranno via dal suo regno tutti gli scandali e tutti coloro che esercitano l'iniquità. E li getteranno nella fornace di fuoco: ivi sarà pianto e stridore di denti». (Id. XIII. 41-42.)
«Se la tua mano ti scandalizza, troncala: è meglio per te giungere alla vita con solo una mano, che avendone due andare all'Inferno in un fuoco inestinguibile; dove il loro verme non muore, e il fuoco non si smorza. E se il tuo piede ti scandalizza, troncalo: è meglio per te il giungere alla vita eterna con solo un piede, che avendo due piedi essere gettato nell'Inferno in un fuoco inestinguibile; dove il loro verme non muore, e il fuoco non si smorza. E se il tuo occhio ti scandalizza, cavatelo: è meglio per te l'entrare con un solo occhio nel regno di Dio, che avendo due occhi essere gettato nel fuoco dell'inferno; dove il loro verme non muore, e il fuoco non si smorza». (S. Marc. IX. 42. ss.).
«Qualunque pianta non porti buon frutto, si taglia e si getta al fuoco» (S. Matt. VII. 19.)
«Io sono la vite, voi i tralci: chi si tiene in me, e in chi io mi tengo, questi porta gran frutto. Quei che non si terranno in me, li gitteranno sul fuoco a bruciare». (S. Giov. XV. 5, 6)
«Figliuole di Gerusalemme, non piangete sopra di me; ma piangete sopra voi stesse, e sopra i vostri figliuoli. Poiché verrà giorno che cominceranno a dire alle montagne: «Cadete sopra di noi; e alle colline: Ricopriteci. Imperocché se tali cose si fanno del legno verde, del secco che sarà?» E vuol dire: Che sarà dei peccatori, destinati come il legno secco a bruciare? (S. Luc. XXIII 28. ss.)
«La scure sta già alla radice degli alberi. Qualunque albero adunque, che non fa buon frutto, sarà tagliato e gettato nel fuoco. Quegli che verrà dopo di me, è più potente di me; egli vi battezzerà collo Spirito Santo e col fuoco. Egli ha la sua pala nella sua mano: e purgherà affatto la sua aia; e radunerà il suo frumento nel granaio; ma brucierà le paglie con fuoco inestinguibile». Parole del santo precursore. (S. Matt. III. 40 ss.)
«E fu presa la bestia, e con essa il falso profeta, che fece prodigi, coi quali sedusse coloro che ricevettero il carattere della bestia e adorarono la sua imagine. Tutti due furono messi vivi in uno stagno di fuoco ardente di zolfo. Saranno tormentati dì e notte nei secoli de' secoli. E chi non si trovò scritto nel libro della vita, fu gettato nello stagno di fuoco». (Apoc. XIX 20, XX 10, 15)
A fronte di tali testimonianze è manifesto, che chi vuole dubitar dell'Inferno, vuol dubitare della infallibile parola di Dio; vuole ascoltare il linguaggio dei libertini anzichè la dottrina infallibile della Chiesa. La Chiesa insegna che vi è l'Inferno; il libertino lo nega; a questo vorrete credere? Emilio Scauro nobile Romano, costretto a scolparsi dinanzi al popolo da un'accusa mossa gli da certo Varo, uomo senza fede e onore, parlò così: Romani, voi conoscete Varo e conoscete me: or egli mi accusa come reo, io mi protesto innocente: egli dice sì, io dico no; a chi crederete voi? Il popolo applaudì, e l'accusatore se ne andò confuso.
Anche la ragion naturale conferma il dogma dell'Inferno. Un empio si vantava di non credervi; ma un uomo di buon senso e modesto stimò suo dovere di chiuder la bocca al fatuo ciarlone con questa semplice domanda: «I re della terra hanno prigioni a castigo dei loro sudditi ribelli, e Dio re dell'universo non le avrà per gli oltraggiatori della sua maestà?» Il malvagio non ebbe replica.
L'empio che nega l'Inferno rassomiglia proprio al ladro che volesse negar la prigione. Ad uno dì questi si minacciava il giudice ed il carcere: l'insensato risponde: «Che giudice, che prigione? non ve ne sono». Non avea finito, che il pubblico ufficiale lo ghermì e lo tradusse al giudice. Ecco l'imagine dell'empio, insensato a segno da negare l'Inferno. Giorno verrà, in cui egli sorpreso dalla Giustizia divina vedrassi precipitare nell'abisso da sé ostinatamente negato, a riconoscerne per forza la formidabile realtà!
L'empio che nega l'Inferno è somigliante all'aghirone di Africa, sciocco uccello, del quale si dice che vedendosi dietro i cacciatori, ficca il capo nell'arena e si tiene così al sicuro, perché non iscorge più l'inimico; ma ben presto viene a disingannarlo il dardo che lo trafigge. Allo stesso modo confitto nelle terrene cose si dà il peccatore a credere che non è a temere l'Inferno; ma viene poi la morte fargli conoscere per funesta esperienza quanto sia stato grande il suo inganno.
La verità dell'Inferno è sì chiaramente rivelata, che l'eresia non osò mai di negarla. Perfino i protestanti, che per poco hanno abbattuto ogni dogma, innanzi a questo ristettero. Laonde una signora cattolica, stimolata da due di quei ministri a farsi dei loro, ebbe a dare tale spiritosa risposta: «Signori, voi avete per verità una bella riforma: avete tolto via il digiuno, la confessione, il purgatorio; ma per mala sorte avete conservato l'Inferno: togliete via questo, e sono dei vostri». Sì, o signori miei, liberi pensatori, togliete l'Inferno, e noi pure saremo dei vostri. Ma sappiate che a tal effetto non basta il dire: Non lo credo.
E non è inconcepibile follia l'esporsi a cader nell'Inferno, appoggiandosi ad un misero forse? Due increduli entrarono un dì nella cella di un anacoreta, ed alla vista de' suoi strumenti di penitenza, lo chiesero perché menasse vita così austera. Per meritarmi il Paradiso, egli rispose. E quelli sorridendo: O buon padre, ti saresti bene illuso, se dopo morte non evvi niente! Ed il sant'uomo, volgendo loro uno sguardo di compassione: Molto peggio sareste illusi voi, se vi è qualche cosa.
Un giovine olandese di famiglia cattolica ebbe la disgrazia per le sue malvagie letture di perdere al tutto la fede, il che ai parenti, e sopra tutti alla pia genitrice, tornò di amarissimo dolore. Invano questa novella Monica gli porgeva i più sani ammonimenti; invano lo esortava, caldamente piangendo, a tornare a Dio; a tutto il male arrivato figliuolo si mantenea sordo ed insensibile. Alla fine per contentare la madre si piegò ad entrare in una casa religiosa, per farvi alcuni giorni di Esercizii, o com'egli dicea, per riposarsi fumando a piacer suo, Ascoltava dunque sbadatamente le prediche, e tosto dopo ripigliava il fumare, senza pensar più a quello che avea udito. Anche alla meditazione dell'inferno parve contenersi come alle altre; ma rientrato in camera, mentre al solito fumava, una riflessione a mal suo grado gli sorse in meni e: «E se fosse vero che vi è l'Inferno? Se uno ve ne ha, evidentemente sarebbe per me! E di vero, come so io che non vi è l'Inferno? Convien dirlo, non ne ho certezza di sorta; solo mi va per la mente un forse! E con un forse arrischiarmi a bruciare in eterno, per fermo sarebbe stranezza al di là d'ogni termine. Se altri può tanto, io non mi sento spoglio di ragione a segno di seguirlo». Con questo si mette a pregare, la grazia gli penetra l'anima, i suoi dubbii svaniscono, ed egli si alzò convertito.
Racconta un pio autore il grave castigo, onde fu colpito un empio diniegatore dell'Inferno, cui per riguardo alla famiglia dà il finto nome di Leonzio. L'infelice faceasi vanto di sfidare il Cielo e l'Inferno, da lui spacciati quali chimeriche superstizioni. Un dì che dove a tenere un convito nel proprio castello, volle traversarlo con un amico il cimitero, ed avendo a caso urtato in un teschio, lo respinse da sè, dicendo empiamente: Via di qua, ossa infette, vani avanzi di ciò che non è più! Il compagno, che era di ben altro pensare, gli oppose: Fate male così parlando. Conviene rispettare le spoglie dei trapassati, per riguardo alle lor anime, che vivono sempre, e verranno a riprenderle nel giorno della risurrezione. Leonzio rispose volgendo al cranio cotale sfida: «Se lo spirito che ti animò esiste ancora, vengami a recar notizie dell'altro mondo, che io l'invito per questa sera al mio banchetto». All'ora posta sedutosi a mensa con numerosi amici, raccontava l'avventura del cimitero, ripetendo le medesime empietà; quand'ecco un repentino fracasso si fa udire, e quasi al tempo istesso appare in sala con ispavento indicibile dei convitati un orrendo spettro. A tal vista Leonzio, smessa ogni audacia, impallidisce e trema, come fuori di sè; vorrebbe fuggire, ma lo spettro gli è sopra come folgore, e afferratolo pel collo, gli fracassa il capo contro la parete. - Io non so fino a che punto sia il racconto autentico; ma il certo si è, che verrà giorno, nel quale sarà la superbia degli empii abbattuta, e stritolato il loro capo dal Giudice dei vivi e dei morti: Egli giudicherà le nazioni, le riempirà di cadaveri, conquasserà il capo di molti a terra. (Salm CIX, 6.)
Or ecco un altro evento, quasi contemporaneo, riferito da un autore degno di fede. Due giovani, già condiscepoli ed amici di collegio, che per mantenere il secreto io chiamerò Eugenio ed Alessandro, l'uno era rimasto in famiglia, spendendosi in opere di carità nella pia opera di S. Vincenzo; l'altro entrato nella milizia vi avea conseguito il grado di colonnello, ma perduto ogni traccia di religione. Tornato questi dopo gran tempo a rivedere i suoi, ritrovossi una domenica anche coll'amico Eugenio. Il quale ad un certo punto del prolungato colloquio: Amico, dice, è ora di
lasciarvi. Ed Alessandro: Per dove sì sollecitamente? Prima alla benedizione; poi ad una seduta di beneficenza. - Povero Eugenio! Credete ancora al Paradiso e all'Inferno? Chimere, vi dico, superstizioni, fanatismo... - Caro Alessandro, non dite così voi, che meco già imparaste, come le verità della fede si appoggiano a fatti incontrastabili. - Chimere, vi ripeto, alle quali io non credo più. Se inferno vi è, acconsento di andarvi oggi stesso. Venite, venite meco a teatro. - Caro amico, accomodatevi; ma non provocate la giustizia di Dio. Ma Eugenio parlava a sordo che udir non volea salutari avvisi; quindi coll'animo amareggiato se ne andò. A tarda notte però, essendo egli già coricato: Su, presto, gli corrono a dire, da Alessandro, ricondotto da teatro con un male che fa spavento! Vola Eugenio, e lo trova agitato da violenti convulsioni, colla bocca schiumosa ed il torbido sguardo errante! Al primo ravvisarlo: O Eugenio, esclamò l'infelice, tu dici che vi è l'Inferno, e dici vero! Sì, vi è l'Inferno, e io ci vado; già vi sono; già ne sento il supplizio e la rabbia! Indarno l'amico si provò a calmarlo; che lo sciagurato non rispose se non con urli e bestemmie. Ne suoi furibondi trasporti si lacerava con morsi le braccia, sputando i brani di carne contro di lui, contro la madre, contro le sorelle; ed in questi orrendi accessi spirò! La madre se ne morì di dolore; le due sorelle entrarono in religione, ed Eugenio ancora voltò le spalle al mondo, rinunziando una splendida fortuna, per evitar, consecrandosi a Dio, l'Inferno.
del R. P. SCHOUPPES S.J.
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