giovedì 18 marzo 2021

IL PROBLEMA DELLA “PACE”

 


È un problema che direi “teologico”, sia perché non ci possono essere delle “guerre sante”, sia perché la Chiesa di Cristo rifiuta ogni dottrina guerriera, come rifiuta, però, anche il “pacifismo”. C'è, dunque, una dottrina cristiana della pace e, quindi, una vera “teologia della pace”. Basta approfondire lo studio dell’Antico e del Nuovo Testamento, e si vedrà da esso scaturire una ”teologia biblica” della “pace”. Il “va in pace!”, l’andate in pace!”, detto dal sacerdote alla fine della Messa, è la “pace” del regno di Cristo! Perché non c’è pace per il peccatore, l’empio, (“non est pax impiis, dicit Deus” - Is. 22, 57-21); per ritrovarla, il peccatore deve rinnovellarsi con Cristo e riconciliarsi, con Cristo, coi fratelli. Di conseguenza, la pace, o la guerra, dipendono dalle relazioni dirette che si hanno con Dio. La pace, cioè, non dipende dai risultati di avvenimenti umani, né da sviluppi e relazioni di società umane, ma solo da un dono, da una disposizione interiore verso Dio, da un atto d’amore che si ha verso Dio! La pace, quindi, si può dire che è una emanazione della spiritualità dell’uomo! 

  LA PACE: UN PROBLEMA 

La “pace” è certo l’aspirazione di tutti i popoli. È un’aspirazione naturale, ingenita, profonda, in ogni persona; e con essa vuole il Progresso, la Libertà, la Scienza... È un sentire cristiano, soprattutto, perché il Cristo è “principe della pace”. Fin dal suo nascere su questa terra, gli Angeli la proclamarono: “pace agli uomini di buona volontà!”. Perciò, Pio XI poté dire:

«Principe e Fondatore della pace, tale è il carattere del Salvatore e Redentore di tutto il genere umano. La sua alta e divina missione è di stabilire la pace tra ciascun uomo e Dio, tra gli uomini stessi e tra i popoli»1. Quindi, senza LUI, il CRIST0, anche la “pace è impossibile. Lo disse pure Pio XII: «Il nodo del problema della pace è d’ordine spirituale... Ispirare una tale persuasione è, per eccellenza, un dovere della Chiesa»2. Cristo e la Pace, quindi, si identificano tra loro, perché la pace è come impregnata di LUI, per cui è da stolto laicismo cercare di accaparrare e incanalare sul proprio terreno politico l’aspirazione popolare della pace; una nozione, invece, che appartiene solo al patrimonio più prezioso della Chiesa. E la Chiesa, per questo, non ha mai mancato di parlarne chiaramente e a voce alta. È un suo dovere. E lo fece soprattutto attraverso la voce dei Papi. Da Leone XIII a Pio XII e a Giovanni Paolo II, i Papi hanno elevato la loro voce sempre più alta. I loro appelli alla pace si sono moltiplicati, sempre più pressanti. La dottrina della Chiesa sulla Pace si è fatta più precisa, e gli impulsi dati ai cattolici sono stati fatti sempre più forti. Benedetto XV, ad esempio, nella sua “Esortazione alla pace”3 del 1° agosto 1917, formulava i princìpi di un regolamento internazionale conforme alla giustizia. Al tempo della seconda guerra mondiale, Pio XII anticipò, su la “Carte de l’Atlantique”4, che è del 14 agosto 1941, e su la “Carte des NationsUnies” del 26 giugno 1945, e su la “Declaration universelle des droits de l’home”5 del 1948; ma aveva già parlato con la sua “Allocution de Noel au Collège des cardinaux” del 24 dicembre 1939 e del 24 dicembre 1940. Anche durante la guerra, e dopo, in occasione del Natale, Pio XII parlò sempre delle condizioni per la pace. Certo, questa pace cristiana non appartiene solo al mondo sopra-terrestre, perché non è estranea alle aspirazioni degli uomini. La Chiesa, per la sua essenza, è sopra-nazionale, ma questa sua sopra nazionalità non la rende inaccessibile e intangibile e al di sopra delle Nazioni; al contrario, come Cristo che scese tra gli uomini, la Chiesa pure si trova in mezzo agli uomini di tutti i popoli, e contiene in Essa tutto ciò che è autenticamente umano per farne una sorgente di forza soprannaturale che lo salva. Ma le idee penetrano lentamente, anche oggigiorno. I Papi sanno che anche tra i cristiani è lenta la loro comprensione verso i loro doveri internazionali. Il grosso della truppa, poi, non segue nemmeno! Comunque, c’è un problema della “pace” anche per i cristiani, e nessuno può sottrarsi!

LA DOTTRINA CRISTIANA DELLA PACE

 La questione internazionale della “pace” e della “guerra” è una questione pratica, ma che, tuttavia, non può essere disgiunta dalla metafisica, né tanto meno dalla dottrina religiosa. E questo anche perché il detto problema, come un qualunque altro problema morale, oltre che metafisico è pure frutto delle circostanze in cui è nato, per cui è impossibile ignorarne l’esistenza e neppure sbarazzarsene. Ora, “il problema della pace”, o “la pace come problema”, è nato nel VI° e V° secolo avanti Cristo, nel periodo della democrazia greca, formulato dai sofisti. Infatti, indebolitasi la gerarchia tradizionale, Atene si trovò nelle mani di faziosi, e le altre città, private ormai di un potere centrale, capace di imporre l’unità, per evitare lo smembramento delle forze dovettero cercare un accordo pacifico tra loro per non finire con una guerra che sarebbe stata la distruzione e la rovina di tutti. In Occidente, oggi, siamo allo stesso punto: si pone il problema politico della pace; ed ecco, allora, sorgere il “Concert des Nations Européennes”; poi, la “Sociètè des Nations”; poi, le “Nations-Unies”, l’ONU... tutte, però, con la prevenzione massonica contro ogni ingerenza religiosa in quelle Organizzazioni che pretesero e pretendono tuttora di essere per la “pace”!

LA “PACE” NELLA BIBBIA

 È ovvio che la “pace”, nell’idea cristiana, è di tutt’altro genere di quello in senso laicale. La Bibbia, infatti, pur parlando molto della pace, non è mai sulla linea della democrazia greca. La parola è la medesima, ma il contenuto, no! Quella laica è più astratta, superficiale; essa corrisponde a uno stato d’equilibrio che è raro e precario, perché deve subire tutti gli impulsi che hanno i Partiti, non sempre equilibrati. Le forze che generano le guerre, sono sempre in attesa di esplodere, sia per le aspirazioni dei popoli, i bisogni materiali e non, le rivendicazioni, le passioni e le varie civilizzazioni che vogliono vivere o sopravvivere. Quindi, non è solo questione di discutere, né di buon senso. Il problema politico della pace, cioè, ha sempre di fronte aspetti morali e religiosi, per cui le ricette, solo pratiche e tecniche, non hanno sufficiente presa per arrivare a una pace vera, giusta e definitiva. Per questo, la pace cristiana deve contemplare anche la pace temporale e politica. L’oggetto proprio della teologia della pace, perciò, è il pensiero che Dio ha su tale soggetto, ed è sul “come” Dio agisce sul mondo da Lui creato.

Ora, la Chiesa, che Egli ha introdotto nel corso della storia, è l’espressione del Suo disegno che la modifica e la trasforma. La Sua Chiesa, quindi, deve influenzare, necessariamente, le relazioni internazionali. Essa deve aggiustare le altre forze umane. Solo il giorno in cui il mondo intero sarà cristiano, tutte le questioni saranno risolte, in chiave evangelica. La Chiesa, perciò, deve apportare i suoi orientamenti e i suoi impulsi per la realizzazione del “Regno di Dio” attraverso la realizzazione concreta della Volontà divina, come Pio XII l’aveva ripetuto con insistenza. La nostra Fede in un solo Dio, Creatore e Redentore, ci obbliga a cercare e trovare ogni convergenza tra le aspirazioni umane autentiche e le parole del Vangelo. Quindi, tra la dottrina della Chiesa e i movimenti della storia non ci può essere che complementarietà, non solo nel credere ma anche nell’agire.


I TESTI BIBLICI SULLA “PACE” 

Ne ho raccolti, dalla Bibbia, oltre 300 e la lettura di essi ci obbliga a riflettere sui princìpi teologici di quella “pace” che tutti ansiosamente invocano da Dio! Il Concilio di Trento ci dice che la Bibbia è “la sorgente di tutte le verità che conducono alla salvezza e di tutta la formazione morale”6. Tuttavia si deve fare una esegesi che sia giusta sul pensiero degli Scrittori sacri e sul senso ispirato delle Sacre Scritture, come lo vuole l’enciclica “Divino Afflante Spiritu” di Pio XII sugli studi biblici7. La Bibbia contiene un senso che vale per tutti i tempi della storia umana. Perciò, noi possiamo usare le parole della Bibbia anche per i problemi attuali della pace. È innegabile che il Nuovo e l’Antico Testamento recitano frequentemente la parola “pace”, benché il termine ebraico “shalôm” e “eiréne” non abbiano esattamente il medesimo senso. Infatti, spesse volte, nei due Testamenti, il lor significato non è di “pace”, ma bensì di totalità, di universalità, di martirio, di pazienza, di povertà, ecc. Comunque, è nella Bibbia che troviamo i princìpi per una “teologia della pace”, i cui temi, però, sono più teologici che esegetici, perché sorpassano la stessa conoscenza degli Autori. Essi sono: il tema della pace perpetua; il tema dell’universalità della salvezza; il tema della potenza di Dio, oltre la debolezza degli uomini. È solo la Bibbia, quindi, che ha creato l’idea di una pace perpetua, come ideale progettato nel futuro, concreto, possibile, perché non è né sogno né utopia. Così pure è della Bibbia l’idea di una riunione di tutte le nazioni, eguali tra loro, seppur differenti, chiamate ad una medesima vocazione. Ed è anche della Bibbia l’idea che la potenza di Dio è infinitamente superiore alla debolezza umana! Ora, tutto questo costituisce una dottrina teologica, quale fu già elaborata e giustificata specialmente da Pio XII. Il che ci incoraggia a dire che l’azione della Chiesa, anche in campo sociale-politico, è una continuità dei princìpi biblici, i quali consolidano i lavori dei teologi sui fondamenti solidi e indistruttibili delle Sacre Scritture!

IL SENSO DELLA PAROLA “PACE” 

Solo nella Bibbia la parola “pace” ha il significato di “shalôm” e di “eiréne”, come abbiamo già detto. La versione latina si è allineata al termine ebraico-greco, ed anche le versioni moderne hanno usato il termine “pace” in tale senso: “Va in pace!”, “La pace sia con te!”, “l’alleanza della pace”, ecc. Ma questa “pace” significa uno stato di tranquillità, di riposo, di calma, uno stato d’animo: la pace dell’anima, la pace eterna. I moralisti definiscono la “pace” sulla scia di Sant’Agostino: “la tranquillità nell’ordine”, ossia nella giustizia, e “la concordia nell’ordine”8. Ora, questa è una definizione di pace ideale, di pace da considerare come valore. Il linguaggio corrente, però, non è così preciso, perché esso impiega il termine “pace” per indicare solamente uno stato di tranquillità e nient’altro, uno stato, in fondo, di natura politico, non di grazia, non un “dono”. Ricorda quella “Pax Romana” che era piuttosto un simbolo dell’unità dell’Impero Romano. Nella Bibbia, invece, si trova che questa idea di una pace definitiva, stabile, perpetua, è una possibilità, e non costituisce affatto un accessorio della religiosità, benché intimamente legato al dinamismo della religione biblica. Il libro del “Deuteronomio” è il più incisivo su questo: l’ideale della “pace”, cioè, farebbe parte della costituzione stessa d’Israele9. Nelle sue pagine, possiamo dire che vi si trovano, però, se non il contenuto, almeno le strutture fondamentali dell’idea cristiana della pace. Il Nuovo Testamento s’appoggia, quindi, sull’Antico con le stesse forme di pensiero. Esso, infatti, parla di pace, sia pure senza definirla, ma ne parla come di una cosa ben conosciuta, riferendosi, in effetti, alla pace dell’Antico Testamento10. Da notare, poi, che la pace della Bibbia è una pace nella storia, ma non una pace della storia. La Bibbia, cioè, non si aspetta la pace né dalla politica, né dalla evoluzione dei fattori storici, ma bensì solo da Dio, quale Maestro della storia e di tutti i popoli. Perciò, la Bibbia ammette e conferma il pessimismo profondo dell’antichità, dove trasuda dappertutto l’aspirazione alla pace come una nostalgia inestirpabile, anche se smentita di continuo dall’esperienza di una serie di cadute, di miserie, di rovine11. Da dove arriva, allora, questa idea della “pace” se non da un tempo irrimediabilmente passato? Il “Paradiso terrestre” ha lasciato nell’uomo la sua traccia di ogni bene perduto!.. La Storia, perciò, è divenuta tragica, dominata da queste fatalità d’una “caduta” (il “peccato originale”) che si trascina dietro, causa di tutte le sue personali “cadute” nel peccato, che può portare fino all’empietà, sì che la divina Rivelazione ebbe a dire: “Non est pax impiis!” (Is. 22, 57- 21). Per questo, l’ideale della “pace” biblica non potrà mai avere una qualsiasi realizzazione storica; resterà sempre e solo un futile progetto e, soprattutto, un desiderio e una continua speranza.

LA “PACE” NEL VANGELO 

È ovvio, allora, chiedersi: i documenti della Chiesa ci permettono di dire che Gesù ha espresso un suo “messaggio di pace” durante la sua vita terrena?.. Gli Apostoli di Gesù hanno estratto dalle parole di Gesù una dottrina di pace?.. Soprattutto, Gesù ha parlato espressamente di “pace” sì da costituire per la sua Chiesa una norma irrevocabile?.. Non è facile dare una risposta a queste domande. Certo, il Vangelo è pregno di pace, è tutto in una atmosfera di pace, tuttavia la parola “pace” raramente vien detta esplicitamente, anche se, implicitamente, il Vangelo, specie la predicazione di Gesù in Galilea costituisce un vero fondamento per una dottrina di pace. Tutti i “pacifisti” si appoggiano su quei testi12; anche Gandhi ha tolto da essi la sua dottrina della “non-violenza”.

Gesù, però, ha parlato di pace, sì, ma non fu mai il tema dominante nella sua predicazione, che annunciava il regno di Dio e che fu il messaggio specifico di Gesù Cristo durante la sua attività13. San Marco, nel suo Vangelo, scrive: “Gesù venne in Galilea predicando il Vangelo di Dio”; e mostra il Regno di Dio moltiplicando i miracoli, che sono essenzialmente dei segni della presenza del Regno di Dio, che è l’avvenimento dell’amore, della misericordia, della pace, della giustizia e del ristabilimento di ogni cosa14. “Va in pace!”, dirà Gesù guarendo una donna afflitta da un flusso di sangue. “Va in pace!”, dirà ancora Gesù a una donna peccatrice, alla quale Egli aveva rimesso i peccati, in casa di Simone il fariseo15. “La tua fede t’ha salvata, va in pace!”16. Questo saluto “va in pace!” era una formula di congedo usuale ai tempi di Gesù; una formula che aveva tutto il sapore del nostro “arrivederci!.. State bene!”, ma che, presso i giudei, aveva un significato religioso più marcato del nostro saluto laicizzato. Comunque, quella “pace” che Gesù formulava a tutti i poveri, agli ammalati, ai bisognosi di perdono perché peccatori, i suoi Discepoli erano incaricati di trasmetterla e di comunicarla, poi, agli altri più lontani, quando mandati da Lui percorrevano i villaggi di Galilea, pronunciando le medesime parole di annuncio del regno di Dio, portando il saluto di Gesù a chiunque li ascoltavano. “In qualunque città o villaggio in cui voi entrate, cercate chi sia degno di ricevervi e restate là fino alla vostra partenza. Entrando in questa casa, salutatela. Se questa casa è degna, che la vostra pace venga su di essa; se non è degna, che la vostra pace ritorni a Voi”17!.. “In qualsiasi casa voi entrate, dite dapprima: Pace a questa casa! E se lì si trova un figlio della pace, la vostra pace andrà a riposare su lui; se no, essa ritornerà a voi”18! È chiaro che gli Apostoli, andando ad annunciare il regno di Dio e operando anche miracoli, dovevano far parte della loro missione. Quel loro “shalôm” era un segno della potenza e della forza del Regno di Dio che essi trasportavano; un segno della vita e del rinnovamento di vita che il regno di Dio portava all’umanità. Ovviamente, quei segni di pace, Gesù non li voleva limitati alle città e ai villaggi della Galilea, come sembrerebbe da alcuni testi del Vangelo: “Non andate dai pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; andate piuttosto alle pecore perdute della casa di Israele”19. Gesù stesso aveva detto di Sè: “Non sono stato mandato che alle pecore perdute della casa di Israele”20; ma questa limitazione di Gesù non era che provvisoria; una semplice fase nell’economia della salute. Gesù, cioè, prevedeva e annunciava che altri (popoli) sarebbero venuti da lontano a rimpiazzare il posto dei giudei, a costituire, così, i quadri della Chiesa universale; e Lui stesso si rivelerà a una Samaritana21; loderà la fede del centurione romano22, che dichiarerà superiore a quella da Lui trovata in Israele, e gli guarirà il figlio; libererà la “posseduta” (dal demonio) di Gerasa23 e l’incaricherà di annunciare ai suoi la misericordia del Signore. Di più: preparerà i suoi Apostoli a un apostolato universale, annunciando a loro persecuzioni e danni da tutte le parti. Inoltre, annuncerà, sempre più chiaramente, l’entrata dei pagani nel regno di Dio24: “Vi dico che molti verranno dall’Oriente e dall'Occidente e sederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli”25. Il che significa che il “regno di Dio” doveva oltrepassare i confini d’Israele per una realtà universalistica più grande. Ma senza date. La Storia seguirà i suoi corsi umani, e niente ci autorizza a pensare che Dio entrerà nella Storia umana con un miracolo o con una catastrofe apocalittica, ma seguirà, invece, il dinamismo delle forze che Egli ha introdotto con la creazione. E userà sempre della Sua Chiesa per sorpassare, trascendere e trasfigurare la sua creazione fino a trasformarla in un “mondo nuovo”. Noi sappiamo che Egli verrà e installerà la sua pace tra gli uomini; e quella “pace” sarà la conclusione della loro storia, anzi di tutte le storie che gli uomini stanno interpretando e si collocano in rapporto ad esse.

Allora, la Storia sfocerà nel “Regno di Dio”! La venuta di Gesù, quindi, non fu per proclamare la pace, ma per fondarla: dapprima nei suoi discepoli, poi, attraverso loro, formando i gruppi, le assemblee e i popoli. L’iniziale piccolo gruppo al quale Gesù disse: “Beati i pacifici!”, recepì e comprese il “messaggio” di Cristo, e con loro nasceva il “nuovo tipo d’uomo” che San Giacomo spiegherà nella sua Lettera: “C'è tra voi un uomo saggio e di esperienza? Che egli mostri con la buona condotta le sue opere, in mansuetudine e sapienza. Ma se avete nel vostro cuore dell’invidia amara e spirito di contesa, non gloriatevi e non mentite contro la verità. Questa non è sapienza che viene dall’alto: è terrena, carnale, diabolica. Là, dove c’è invidia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di male. Ma la sapienza che viene dall’alto, anzitutto è pura; poi, pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia. Un frutto di giustizia viene seminato nella pace, per coloro che si dedicano alla pace”26! È in questo senso che Gesù concluse il suo discorso: “E vivete in pace gli uni con gli altri”27! È certo una regola d’oro per la vita comune! Vale a dire che, questa pace, è un vero fermento per fondare il regno di pace di Dio nel mondo. Cristo, quindi, ha apportato al mondo un nuovo tipo d’uomo, capace di attitudini nuove che possono rovesciare il corso ordinario della vita umana. Invece di lasciarsi trascinare dai loro istinti inferiori e dai desideri umani, l’uomo nuovo, che vive già in un clima di pace, saprà anche convivere con tutti gli altri uomini in pace, perché convinto del messaggio evangelico!  “Chiesa Viva” *** Aprile 2002

(continua)

sac. dott. Luigi Villa

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