giovedì 3 dicembre 2020

L'UMILTÀ DI SUOR MARIA-MARTA CHAMBON

 


L'UMILTÀ fu incontrastabilmente la virtù fondamentale, dominante, di Suor Maria- Marta. Tale è la testimonianza di tutti coloro che la conobbero. “Alla sua morte - scrive la nostra O.ma Madre Giovanna Francesca Breton - le sue compagne furono unanimi a rendere omaggio alla sua rara umiltà”. 

Sembra bensì che Nostro Signore l'abbia, in modo particolare prevenuta e stimolata su questo punto, come pure l'abbia in modo particolare soccorsa; in poche anime si può notare una mozione sì manifesta della grazia.   

Già abbiamo sentito alcuni richiami del Divino Maestro. Essi non potevano essere più incalzanti: “Figlia mia, se tu non ti umili, non seguirai la via che ti ho tracciata per venire a Me.  

“Tutta la gloria dei re terreni è quaggiù; ma Gesù non ha cercato la Sua che nell'umiltà e nel dolore, benché ogni gloria Gli fosse dovuta...   

“Tu non sarai una vera sposa, se non ti è caro d'essere umiliata”.   

E per venire alla lezione positiva Egli soggiunge: “Non devi aver altro desiderio che di essere disprezzata e trattata come tu ti meriti”.  

Spesso Nostro Signore concede alla Sua Serva una luminosa cognizione del buono che si trova nelle anime delle sue Sorelle, ponendovi a confronto il quadro della miseria di lei.   

“Io non posso far di te tutto ciò che voglio, e ancora, una gran parte di ciò che fai, sono le tue Superiore che te lo fanno fare... Ma io scelgo sempre le creature più miserabili per arricchirle dei miei doni...”. E il Salvatore invitava la sua Sposa ad immergersi nella salutare convinzione del proprio nulla. Le indicava la sorgente ove doveva attingere la virtù sì cara al suo Cuore dolce e umile:   

“Immergi qui dentro l'anima tua - le dirà con amore - vieni come la tortorella a nasconderti in questo sacro forame e Io ti coprirò con un mantello di umiltà!...”.   

Egli insiste più ancora mostrando nell'umiltà la condizione e il pegno dei divini favori: “Quando un'anima s'umilia e s'annienta, mi attira come la calamita attira il ferro!... Io mi sono spogliato della mia gloria, mi sono abbassato, mi sono reso piccolo per venire a te... e tu, per essere capace di ricevere le mie grazie, ti devi annientare, perché Io non cerco che il cuore umile!”.  

In tal modo le tracciava un magnifico programma. Suor M. Marta seppe conformarvisi. Essa si manteneva nell'umiltà per attirare Gesù e le sue grazie. E Gesù, venendo con le sue grazie, accresceva in lei la sete dell'umiltà: ciò riassume tutto. Essa riteneva, del  contatto di Gesù, quell'umiltà che, al dire del Padre Faber, “è il profumo di Dio, il segno che il Creatore lascia sulla creatura quando l'ha un istante abbracciata” (1). Nostro Signore stesso le aveva dato questa consegna ammirabilmente profonda: “Il mio Cuore non opera che col sigillo dell'umiltà”, ed essa sentiva il bisogno di parlare e agire conseguentemente. 

Il primo Gennaio 1870 la nostra cara Sorella era occupata a lavare le stoviglie vicino al refettorio dell'educandato; quando il Cielo illumina improvvisamente quest'umile luogo. Le visitandine e una falange di Spiriti beati si mostrano a lei. Nel trasporto della sua gioia, la pia Conversa esclama: “Vorreste fare per me una commissione a Nostro Signore? Ditegli che io sono.... Peccatore”.   

Dopo una notte, in cui aveva sofferto molto fisicamente e moralmente, sentendosi estenuata e incapace di disimpegnare il suo ufficio, si pose alla porta del Coro sembrandole, che in questo posto avrebbe più facile accesso presso il Divin Maestro. Là umiliandosi profondamente davanti alla Sua Divina Maestá: “Oh buon Maestro - diceva - son la vostra poverella, fatemi l'elemosina, datemi le forze”.  

Un giorno, che la nostra Sorella aveva offerto costantemente le Sante Piaghe di Nostro Signore per la conversione dei peccatori, ebbe ancora l'ispirazione di andare ai Piedi del Gran Crocifisso miracoloso per umiliarsi a nome di tutte le creature. Il dolce Gesù l'accolse amorosamente e, con voce ineffabile le disse: “Il mio amore riceve quest'atto d'umiltà, come se in realtà tutte le mie creature si fossero umiliate ai miei piedi”.   

I favori del Cielo non facevano che penetrarla sempre più del sentimento della propria miseria:  

“Figliuola - le insegnava il Divin Maestro - devi umiliarti molto quando Io ti abbasso; ma quando t'innalzo donandoti le mie grazie, devi umiliarti ancora di più”. 

Infatti, nota il Manoscritto, ogni volta che questa cara anima è obbligata, per obbedienza, a render conto di ciò che le è vantaggioso e delle grazie di cui è favorita, prova una grande confusione e un vero martirio!   

Tali sentimenti regolavano il suo contegno nei rapporti con Dio e in tutti i dettagli della vita giornaliera.   

Nostro Signore la manteneva costantemente e fortemente nell'umiltà interiore ed esteriore.   

Alla nostra Sorella Assistente, che la interrogava dei suoi intimi rapporti col Divin Maestro, Suor Maria-Marta confidava con incantevole semplicità: “Quando ho mancato d'umiltà, Egli si nasconde e non ritorna finché io non abbia fatto la riparazione... E' necessario umiliarsi e farsi piccini, per farlo tornare!..... Oh! come questo Gli è caro!... Perciò, non posso far di meno che chiedere perdono, e bisogna che lo chieda subito, subito! No, non si può vivere senza di Lui!... Quando ho scontentato le nostre Sorelle, perché sono stata grossolana, ho tenuto il mio puntiglio, il piccolo Gesù se ne va.... Oh! che tristezza!.... Vado al Coro e non Lo vedo.... Allora esco, cerco la Sorella, le chiedo perdono e.... Egli ritorna!... Non possiamo vivere separati, noi due!....” 

“Ieri, entrando nell'atrio, lascio la porta aperta perché una Sorella con un grosso carico veniva dietro di me. Un'altra Sorella passa e chiude l'uscio. Io torno indietro, riapro l'uscio dicendo: “Ma un po' di buon senso! Non vede che una Sorella carica sta per passare?...” Avevo appena detto questa parola che il piccolo Gesù se ne andò. Io non avevo più pace e bisognava chiedere perdono. Cerco la Sorella e non la vedo che al momento in cui essa entrava in refettorio. Le dico subito: “Mi perdoni, sono un'orgogliosa”. Dopo ero più tranquilla... ma non fu che all'obbedienza, quando ebbi domandato perdono come prescrive la regola, che il piccolo Gesù ritornò”.  

Si vede da ciò - lo notiamo di passaggio - in che cosa consistevano i difetti di Suor Maria- Marta. Era, molte volte, una semplice mancanza di forme esteriori, quando era trasportata dalla sua vivacità naturale, ovvero una certa insistenza a far prevalere un'idea che essa credeva vantaggiosa al bene comune, ovvero un modo di agire che sorprendeva un po', perché non se ne conoscevano i veri motivi. Quanto alla gravità della colpa, non andava mai al di là di un primo impulso. Mai che la nostra buona Conversa rispondesse in un modo orgoglioso, ovvero offensivo; mai che disgustasse il prossimo con una parola, o che dimostrasse qualche risentimento o astiosità. E sempre - ripetiamolo - la riparazione aveva luogo in modo edificante. Ecco ciò che nota la O.ma Madre Giovanna Francesca Breton: “Essa si rendeva veramente esemplare nella pratica di questo articolo del Direttorio e la consigliava alle giovani Sorelle che le domandavano il mezzo di piacere a Gesù”.   

La fedeltà personale della nostra Sorella a questo riguardo, per quanto perfetta, procurava tuttavia qualche imbarazzo al prossimo. Ecco come un giorno, credendo d'aver mancato di rispetto alla Sorella dispensiera, essa va a cercarla qualche momento avanti il desinare: “Perdono, mia Sorella”. La povera dispensiera nella fretta del momento trova le scuse inopportune: “Ma, mia Sorella Maria-Marta, non è il momento!..... - Perdono, mia Sorella, perdono”, continua la nostra umile Conversa, sempre in ginocchio. Così provata nella pazienza, la cara Dispensiera si volge a una Sorella testimone silenziosa della scenetta: “Non vedete, Suor Maria Marta, che fate esercitare la pazienza alla nostra Sorella N.?” Ma essa risponde semplicemente e dolcemente: “Oh, la mia Sorella N. mi vuol tanto bene!” - Parola, soggiunse la Sorella N. dopo la morte della nostra Privilegiata, che mi resta come un dolcissimo ricordo - .   

Altre testimonianze ancora possono essere citate qui. Ecco quella di una Sorella che fu lungamente Assistente della Comunità:   

“Ciò che mi colpiva di più nei nostri rapporti “di aiutanti spirituali”, era non solo la purità e la candida semplicità dell'anima sua, ma l'umiltà sì rara e profonda che scorgevo in lei. Essa ne sembrava, per così dire, impastata. Noi potevamo ritornare incessantemente alla carica per la correzione di certe piccole mancanze esteriori, dimenticanze ecc. Essa, abbassando il capo, con aria contrita e confusa diceva: “E' vero.... è verissimo, mia Sorella Assistente!... Procurerò di far meglio: sono così “grossolana” (Essa usava sempre questa parola, che, sulle sue labbra suonava: incolta, mal dirozzata).  

“Qualche volta pareva che Sua Carità volesse “tenere duro”, come essa si esprimeva. Noi non abbiamo mai notato che ciò avesse nemmeno l'ombra di testardaggine volontaria; ma in tal modo essa credeva seguire il dettame della coscienza e il proprio dovere”. 

“Essa seguiva la propria coscienza!....” Parola bellissima e ben appropriata, la quale mette in chiara luce l'anima di Suor M. Marta. 

Una Sorella del velo bianco, compresa di venerazione per la sua compagna, della quale fu pure aiutante spirituale, cercava di penetrare nel segreto di quest'anima. Essa assicura di non dubitare punto che Sua Carità “era sostanzialmente umile e sempre fedelissima alla propria coscienza e alle viste di perfezione, secondo la capacità della sua comprensione.....”  

In una circostanza, Suor M. Marta avendo un po' troppo insistito presso una Sorella, s'era attirata qualche parola mortificante. Essa non tardò a ritornare per ringraziarla: “Mia Sorella, - le disse umilmente - voi avete illuminato la mia coscienza....”. Come si vede, solo il lume era mancato alla sua intelligenza, ed essa era piena di riconoscenza verso coloro i quali le mostravano i suoi difetti e il suo dovere. 

Le grazie stesse che le accordava il Signore, servivano di campo alla sua umiltà.... Quanti piccoli rifiuti e quante spiacevoli osservazioni non doveva sopportare quando, essendo stata rapita in Dio, veniva troppo tardi in cucina ad aiutare le Sorelle: “Certo è molto comodo, - le dicevano qualche volta - starsene a pregare tranquillamente e lasciare la fatica agli altri”. Ovvero erano 1parolette giocose che mettevano la Sorella in un penoso imbarazzo: “Che bell'inno hanno cantato le nostre Sorelle all'adorazione di Gesù Sacramentato!(2) - Hanno cantato? domandava Suor M. Marta, tradendo così involontariamente il segreto dello Sposo che l'aveva rapita fuor dei sensi. - Come? non avete sentito niente?... Ah! certo Vostra Carità era ancora in estasi!...” Che confusione per la nostra Sorella! Essa taceva, arrossiva e soffriva di vedersi oggetto dell'attenzione delle sue compagne.  

Un giorno, dopo una scenetta di questo genere, una Sorella corista passando a caso di là, ebbe compassione del suo imbarazzo e volle consolarla: “Lasciate dire, mia buona Suor M. Marta.... tutto questo non conta nulla e non v'impedirà di godere le dolcezze di Nostro Signore”. Ma, con aria ancor più contristata Suor M. Marta rispose a bassa voce: “Ah! Sorella mia! e siamo forse sicure? Sarà veramente Lui?”. La sua umiltà la rendeva timorosa e la impegnava a troncare ogni parola o pensiero riguardo a tanti divini favori. 

Trovandosi all'infermeria, a causa di una risipola, essa occupava piamente il suo tempo libero a recitare con una ammalata le care invocazioni che aveva imparato dalle labbra stesse del Salvatore: “Gesù mio, perdono, ecc.... Padre Eterno, vi offro, ecc....”. Una Sorella poco portata alla devozione delle Sante Piaghe, o meglio, all'inaugurazione della nuova preghiera, l'interruppe con vivacità: “Non si deve dire così, Sorella mia, voi non guadagnate l'indulgenza; si deve dire solamente: “Gesù mio, misericordia”. Subito Suor M. Marta condiscendendo umilmente, continuò la preghiera dicendo: “Gesù mio misericordia”.   

Un altro fatto analogo. Le nostre Sorelle Converse, riunite in cucina stavano per cominciare le invocazioni delle Sante Piaghe, quando una di esse fa questa riflessione: “Ma perché diciamo: Perdono e misericordia? - Perché - risponde con un po' di leggerezza un'altra, è un'invenzione di mia Sorella Maria-Marta”. 

Questa volta, un'ombra di contrarietà le comp arve sul volto. “Queste invocazioni sono tuttavia molto care a Nostro Signore”, disse ella, e s'immerse di nuovo nel suo abituale raccoglimento. 

  “Mai - soggiunge la nostra Sorella che riporta questo fatto - mai Suor Maria-Marta, faceva parola delle grazie ricevute, ancorché le facessero qualche allusione scherzevole a questo riguardo. Se in una lettura si trattava di stati mistici, le sue compagne che supponevano un pochino il “segreto del Re» arrischiavano queste parole: “Voi conoscete molto bene queste cose, non è vero? mia Sorella Maria-Marta”. E la nostra buona Sorella rideva di cuore: era la sua sola risposta. 

  “Una volta si era letto in refettorio la vita di una Santa che era vissuta molto tempo senza mangiare. Non sapendo che tale era il caso della nostra Sorella, io l'avvicino all'uscir di tavola dicendo: “Questa Santa è rimasta lungo tempo senza mangiare nulla”. Suor M. Maria stette un istante silenziosa, poi continuò la sua ricreazione”. 

  Al passaggio nel nostro Monastero della On.ma Madre M. Emanuela de Gand (3), che nel 1904 si recava a Revigliasco, Sua Carità chiese di parlare in particolare con la nostra Sorella che conosceva da tempo attraverso i racconti del Rev. Padre Ambrogio e le lettere delle nostre antiche Madri. Il colloquio durò più di un'ora. Noi sappiamo che la degna e santa Superiora conservò una profonda stima per l'umile Conversa; quanto a questa, tutta compresa d'ammirazione diceva in seguito alla nostra Sorella Assistente: “Oh! quanto è umile, questa Madre!... quanto è umile! Voi non lo credereste! mi ha domandato se io pensavo che Nostro Signore fosse contento di Lei!...”. 

  E non passava per la mente, alla nostra Privilegiata che questa interrogazione contenesse un attestato lusinghiero per lei. 

  Non solamente Suor M. Marta serbava il silenzio sulla divina famigliarità di cui era gratificata, ma sembrava quasi estranea alle conoscenze spirituali, tanto se ne stava inabissata nel proprio nulla. Bisogna pur dire che fin da principio delle sue grazie soprannaturali, le nostre venerate Madri, le avevano raccomandato di non parlare delle sue orazioni: semplice e ingenua come era, essa si sarebbe tradita senza accorgersene (4). 

  Se qualcuna cercava di farla parlare di soggetti devoti: Colei a cui Gesù svelava i suoi più intimi segreti, non sapeva o non voleva dire nulla. Non aveva che una sola parola sulle labbra: “Mia Sorella, bisogna umiliarsi... Umiliarsi... molto... Tutto consiste qui!”. 

  “Mia Sorella Maria -Marta, io sono in aridità, insegnatemi il vostro mezzo per far venire Nostro Signore. - Oh! non è difficile... Non c'è che da umiliarsi!... Bisogna umiliarsi!... umiliarsi!!!...” ripeteva mentre con l'espressione del viso sembrava dire: “Ah! se si potesse capire il bene che è per l'anima il potersi umiliare! Questa è la chiave di ogni grazia!”. 

  Tuttavia, qualche volta e in via eccezionale, Suor M. Marta entrava in qualche dettaglio per conformarsi al desiderio di Nostro Signore. La On. Madre Eugenia Teresa credé bene notare tra gli altri i seguenti consigli: 

“Ecco ciò che G esù ispirò alla sua umile Serva di dire a una ragazza di servizio in procinto di essere ammessa alla prima prova: “Quando voi sarete in noviziato, non dovete credervi al disopra delle altre ragazze di servizio ... trattate con loro molto umilmente.... Dovete mettervi sempre sotto i piedi di tutte e credere, che se qualche cosa vi riesce bene, è stato il soccorso di Dio... Quando vi approvano confessate che è Iddio che ha fatto tutto... Se invece vi disapprovano, mettetevi d'accordo col prossimo e umiliatevi ancora di più... Così avrete ciò che è necessario per essere buona Religiosa. Essere umile e lavorare sotto lo sguardo di Dio: ecco tutto!” (Agosto 1869).   

Questi consigli ci sembrano molto a proposito, essendo indirizzati - come tutto ci fa credere, - a una delle nostre compiante Sorelle del velo bianco, la cui viva intelligenza, accompagnata da destrezza e grande spirito di sacrificio, doveva essere sì utile alle Superiore e alla Comunità. Gesù voleva premunire senza dubbio, la sua virtù contro lo scoglio della vana compiacenza. Infatti, dei doni così rari, dovevano procurarle in seguito successi lusinghieri, lodi e parole di approvazione.  

Questo non era davvero il caso di Suor Maria Marta! Ci si potrebbe facilmente immaginare che, favorita dal Cielo, essa dovesse esserlo pure dalle sue Superiore: ma accadeva tutto il contrario.   

Fin da principio, la sua maestra, nostra O.ma Madre Maria Alessia Blanc, benché ammirasse nella sua Novizia le Divine operazioni, la guidò con mano ferma e virile, e si fece un dovere di umiliarla costantemente.   

Ad eccezione, forse, della nostra venerata Madre Teresa Eugenia, le Superiore non la risparmiarono né in pubblico, né in privato, e stimmatizzavano severamente le più leggere dimenticanze e la minima apparenza d'imperfezione....   

Ma la verga della correzione cadeva su un fondo d'umiltà a tutta prova.  

La fisonomia di Suor Maria-Marta, prendeva in tali occasioni, un'aria di giubilo straordinario, unito al più profondo annientamento .... Sembrava di vederla rientrare in se stessa, sparire, tanto la sua attitudine esteriore traduceva i sentimenti della sua anima. Quest'aria di profonda umiltà le era del resto ordinaria; ma davanti alla correzione, diveniva inimitabile. Alcune giovani Sorelle Converse ne erano quasi gelose e le dicevano: “Ma dunque, non vi fa niente tutto questo?... Voi gustate gli “avvertimenti” come una ghiottoneria... - Ah! Sorellina, questo sconvolge un po' la natura, e par che tutto vada sottosopra qui dentro; ma io non mi ci fermo.... questo fa tanto bene all'anima.... E poi questo fa piacere a Lui.....”   

Il suo cuore non sentiva meno vivamente i piccoli attriti della vita di Comunità, più frequenti per lei a cagione della sua poca comprensione “delle cose umane e terrene”, e per mancanza di amabilità nei suoi rapporti esteriori. Ma essa li sopportava generosamente.   

“Per quanto cercasse di essere cordiale, era spesso mal ricevuta” dice una delle sue compagne di gioventù. Quando veniva, durante le vacanze delle educande, a offrire i suoi servigi alle nostre Sorelle Converse, le sue cortesi profferte non erano accolte sempre con buona grazia: “Vada a pregare... non abbiamo bisogno di Lei”. 

Confidando alla sua Aiutante spirituale, qualche piccola difficoltà del suo impiego, Suor M. Marta soggiungeva con semplicità: “Ebbene! E' proprio vero, sulla terra non siamo Angeli!... lo sappiamo, e anche N. Signore lo sa!.... Non siamo Angeli! Questa parola mi fa sempre del bene: è mio fratello che me l'ha detta. Dopo la divisione dei beni di famiglia, i miei fratelli vennero a trovarmi. Io li interrogai: Dunque, fratelli miei, è finito tutto bene?... non vi siete bisticciati?... - Oh! sì, è finito tutto bene; ma è vero, ci siamo un po' contrastati. - Ah! Sì, per una gallina! - Ma che vuoi, Sorella?... Non siamo Angeli”.   

Il sentimento della miseria umana! Era così profondamente posto nell'anima della nostra Sorella, che bene spesso si manifestava nelle sue conversazioni. Le domandavamo una volta, se sperava di andare diritto in Paradiso: “Oh! no, - rispose - si è pieni d'imperfezioni, non vi è nulla di veramente buono in noi. Quando ci si guarda davanti a Dio, non siamo che peccato e miseria.... anche ciò che crediamo di far bene, persino le azioni più sante, tutto è guasto dal nostro amor proprio... Non vi è niente di buono in noi!... e bisogna umiliarsi e abbandonar tutto a Nostro Signore”.  

“Tutto è guasto dal nostro amor proprio!..” No, l'amor proprio non guastava gran che nell'anima di Suor Maria Marta... Tuttavia cercava d'insinuarsi sotto forma di vana compiacenza.   

Un giorno essa trionfa presso di una compagna perché una bottiglia di vino caduta sulla pietra dell'acquaio, non si è spaccata. 

Un altro giorno constata con soddisfazione che le lucerne, delle quali ha l'incarico, da diversi mesi non hanno avuto bisogno di riparazioni.  

Ovvero, vedendo un guasto cagionato dal prossimo fa una riflessione di propria stima, pensando che lei sarebbe stata più accurata. Ma, ogni volta il moto interno dell'anima provocava un vivo rimorso con un aumento di umiltà. Nostro Signore sapeva, d'altronde, punire queste involontarie imperfezioni e cavarne la morale per lei: “Capisci dunque ora quanto vali, e rendi conto di tutto alla Superiora”.  

Dobbiamo citare un fatto... ove trasparisce l'ingenua famigliarità di Suor M. Marta? Nel 1878 i bruchi avevano invaso il ribes del giardino. La raccolta sembrava perduta. Ma le preghiere fatte dalla nostra Sorella (dietro ordine della N. O. Madre) il 2 luglio furono esaudite.   

Il 27 dello stesso mese, visitando un'ammalata nell'infermeria pensò di poterla ricreare raccontandole “questo avvenimento!...” Forse vi si infiltrò un tantino di vanagloria? Bisogna supporlo perché il Salvatore l'ammonì: “Orgogliosa che tu sei! Saprò farti capire ciò che vali!... - Mio buon Maestro, che cosa farete?... Rimetterete i bruchi?...” Fu veramente il Maestro che “rimise i bruchi”? Noi non lo sappiamo; ma due giorni dopo, il ribes ne era tutto coperto. E Gesù formulava per Suor M. Marta questa severa lezione:   

“Mia Figlia, quando anche perissero tut ti i frutti, ciò non sarebbe nulla; quello che conta è d'averti mostrata la tua mancanza...”. 

Tanto è vero che Nostro Signore, vegliando sull'anima della sua Sposa, voleva saturarla d'umiltà! L'umiltà non ha prezzo a gli occhi penetranti del Salvatore: le altre virtù non sono che false virtù, se questa non è posta alla base. Tutte le grazie di Dio vanno perdute dove manca l'umiltà per custodirle. Secondo l'insegnamento di S. Francesco di Sales, Nostro Signore va fino a metterci “al rischio di perdere tutte le virtù, pur di conservarci in umiltà”.  

Termineremo questo capitolo col racconto di una grazia, di cui la nostra Sorella serbò incancellabile ricordo.  

Mentre si tratteneva famigliarmente col Divino Maestro, l'anima di Suor M. Marta si trovò improvvisamente trasportata in Cielo. Essa saliva avvicinandosi sempre più al suo Diletto... e i Beati le davano un posto distinto nelle loro file, cantando a coro con voce estasiante. Essi dicevano: “Colui il quale è stato il più PICCOLO diviene il più GRANDE!”   

Ciò che essa comprese allora più chiaramente, fu la realtà e profondità del suo nulla. Si vide piccola... piccola e spogliata di tutto, priva assolutamente di tutto... Ma il suo cuore traboccava di immensa riconoscenza verso il grande Iddio, così buono col suo piccolo nulla.  

Di questa grazia le restò come un insaziabile desiderio di annientarsi sempre più, poiché comprendeva assi meglio di prima che bisogna umiliarsi per arrivare Lassù!....  

“Et exaltavit humiles!...”   

Cara Suor Maria-Marta! il vostro desiderio di una vita umile e nascosta è stato pienamente esaudito. Siete passata quaggiù sconosciuta, ignorata, e, qualche volta, forse disprezzata. Dal Cielo ottenete alle vostre Sorelle minori, questa stessa umiltà che fa violenza al Cuore di Dio e alle porte del Cielo! 

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