IL COMMONITORIO DI SAN VINCENZO DA LERINO
– un’Opera per i tempi di crisi –
San Vincenzo fu un monaco di Lerino, verso la fine del V secolo. La sua biografia l’abbiamo da Gennadio di Marsiglia, in “De Scriptoribus Ecclesiasticis”.
Nel “Commonitorio” l’Autore ci offre “una Regola a canone”, per riconoscere con certezza le eresie sorte nella Chiesa. Ecco la “Regola”:
«NON È SICURAMENTE CATTOLICA, E QUINDI VA RESPINTA, OGNI NOVITÀ IN CONTRASTO CON QUANTO SEMPRE E DOVUNQUE È STATO CREDUTO E INSEGNATO NELLA CHIESA CATTOLICA».
Naturalmente, il fondamento del canone vincenziano è l’infallibilità della Chiesa, la quale, per questo, non può contraddirsi. Quindi, quando nella Chiesa sorge una novità in contrasto con quanto Essa ha sempre insegnato, non è buon grano, ma è la zizzania dell’errore, seminata dall’“inimicus homo”. In tempi di eretici, come oggi, che richiedono una maggiore attenzione, il canone vincenziano fissa il criterio per discernere l’errore, per cui il canone possiede una validità indiscutibile ed intramontabile.
San Vincenzo, comunque, non esclude che si possa «comprendere più chiaramente ciò che già si credeva in maniera molto oscura, per cui le “generazioni future” potrebbero rallegrarsi d’aver compreso “ciò che i loro padri avevano venerato senza capire”».
Dopo aver spiegato, nel “Commonitorio”, al N° 22, l’ammonizione paolina: «O Timoteo, custodisci il “deposito”, richiama che il deposito (della Fede) è ciò che ti è stato affidato, non trovato da te! (…) non uscì da te, ma a te venne; nei suoi riguardi tu non puoi comportarti da autore, ma da semplice custode! (…). Non spetterà a te dirigerlo, ma è tuo dovere seguirlo».
Al N° 23, San Vincenzo formula l’oblazione: «Forse qualcuno dirà: “Nessun progresso della religione è allora possibile nella Chiesa di Cristo?” e risponde: “Certo che il progresso ci deve essere e grandissimo! Chi sarebbe tanto ostile agli uomini e avverso a Dio di tentare di impedirlo?” A condizione, però, che si tratti veramente di progresso per la Fede, non di modificazione. Caratteristica del progresso è che una cosa si accresca, rimanendo sempre identica a sé stessa; della modificazione, invece, è che una cosa si trasformi in un’altra».
Progresso, dunque, sì, ma «“in eodem sensu et in eadem sententia” (nello stesso senso e nella stessa formula), perché, se così non fosse, avremmo la sgradita sorpresa di vedere i rosai della dottrina cattolica trasformarsi in cardi spinosi e la zizzania spuntare dai germogli del cinnamomo e del balsamo» (N° 23).
San Vincenzo, quindi, non esclude lo sviluppo dottrinale, ma ne fissa i limiti, affinché si collochi di sostanziale identità con l’antico!
Il Commonitorio, quindi, è ben lungi da una immobilità cadaverica, perché offre delle immagini efficienti e appropriate del carattere vivo della Tradizione e della sua sostanziale immutabilità.
Leggiamo quanto scrive San Vincenzo al N° 23: «Che la religione delle anime imiti il modo di svilupparsi dei corpi, i cui elementi, benché col progredire degli anni evolvano e crescano, rimangono, però, sempre gli stessi (…), e se qualche cosa di nuovo appare in età più matura già preesisteva nell’embrione, cosicché nulla di nuovo si manifesta nell’adulto che non si trovasse in forma latente nel fanciullo».
In quelle righe, il Santo lerinese mostra l’intuizione dello sviluppo dottrinale come esplicazione omogenea del dato rilevato (explicatio Fidei). Se, invece, con l’aumento dell’età «la forma umana prendesse un aspetto estraneo alla sua specie, se le fosse aggiunto o tolto qualche membro, necessariamente tutto il corpo perirebbe e diventerebbe mostruoso o perlomeno si debiliterebbe».
«Le stesse leggi di crescita devono seguire il dogma cristiano… senza ammettere nessuna perdita delle sue proprietà, nessuna variazione di ciò che è definito». È, insomma, il grano di senape del Vangelo che, per diventare albero, resta sempre di senape.
Ora, questo è sempre il “principio di non contraddizione” o di identità sostanziale, che consente di distinguere tanto la verità cattolica dall’errore quanto il legittimo sviluppo della corruzione dottrinale.
Il Vaticano I, al capo 4, ha sancito questo principio, riprendendo testualmente dal N° 23 del “Commonitorio” la norma canonica dello sviluppo dottrinale “in eodem sensu, in eadem sententia” (Conf. Denz. 1800, 11 capo, p. 5-6).
È chiaro, perciò, che San Vincenzo di Lerino aveva un vivissimo senso della Chiesa.
Per Lui, la Sacra Scrittura va letta con la Chiesa, «perché la Scrittura, causa della sua stessa sublimità, non è da tutti intesa in modo identico e universale. Si potrebbe dire che tante siano le interpretazioni quanti i lettori (…). È dunque sommamente necessario, di fronte alle molteplici e aggrovigliate tortuosità dell’errore, che l’interpretazione dei Profeti e degli Apostoli si faccia a norma del senso ecclesiastico e cattolico» (N° 2).
La Tradizione è “la Tradizione della Chiesa cattolica”, ossia è la fede della Chiesa universale, attestata dagli antichi Concilii ecumenici, dal consenso unanime dei Padri che «rimasero sempre nella comunione e nella fede dell’unica Chiesa cattolica e ne divennero maestri approvati» (N° 3). Comunque, San Vincenzo ritiene anche che la ricerca di un criterio, per discernere la verità cattolica dall’errore, ha tutta la ragione di essere nella Chiesa, affinché il Magistero si possa pronunciare, così che il cattolico sia difeso dall’errore, magari proposte da persone investite di autorità nella Chiesa, fattesi “Maestri della Chiesa”, come Nestorio, patriarca di Costantinopoli; come Fotino, eletto alla sede episcopale di Sirmio (Pannonia) «con la più grande stima di tutti» (N° 11). Può anche darsi che novità eretiche tentino di «contagiare e contaminare la Chiesa intera», come nel caso dell’eresia ariana, in cui le verità più sicure vengono sovvertite, negate, messe in dubbio «per l’introduzione di credenze umane al posto del dogma venuto dal cielo», «per l’introduzione di un’empia innovazione, e così l’antichità, fondata sulle più sicure basi, viene demolita, vetuste dottrine vengono calpestate, i decreti dei Padri lacerati, le definizioni dei nostri maggiori annullate, per una sfrenata libidine di novità profane da annullare la Tradizione sacra ed incontaminata» (N° 4).
«L’antichità, quindi non può essere turbata da nessuna nuova menzogna» (N° 3).
Concludendo, diciamo che la regola dataci da San Vincenzo di Lerino è una regola oggettiva, perché il giudizio che ne deriva è un giudizio cattolico, fondato sulla Fede costante e immutabile della Chiesa cattolica, ben diverso dal giudizio soggettivo protestantico.
Ascoltiamo ancora quest’altre parole di San Vincenzo:
«Ciò che dobbiamo massimamente notare, in questo coraggio quasi divino dei confessori della Fede, è che essi hanno difeso l’antica fede della Chiesa universale e non la credenza di una frazione qualunque (…). È nei decreti e nelle definizioni di tutti i Vescovi della Santa Chiesa, eredi della verità apostolica e cattolica che essi hanno creduto, preferendo esporre sé stessi alla morte piuttosto che tradire l’antica fede universale» (N° 5).
E poi al N° 6 scrive: «Essi, raggiungendo a guisa di candelabro settuplo la luce settenaria dello Spirito Santo, hanno mostrato ai posteri, in maniera chiarissima come in futuro dinanzi a ogni iattanza parolaia dell’errore, si possa annientare l’audacia di empie innovazioni con l’autorità dell’antichità consacrata».
Sono parole di un teologo serio, preciso e ben informato, quale fu San Vincenzo di Lerino col suo “Commonitorio”, le cui pagine vigorose e vibranti di autentica fede cattolica ci spronano a collaborarci nella Fede, la prima virtù teologale, condizione indispensabile della nostra salvezza! (c.p. 6-7).
sac. dott. Luigi Villa
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