mercoledì 23 settembre 2020

Ritorno a casa

 



Cristiani, atei ed ebrei convertiti alla fede cattolica

TAKASHI NAGAï (1908-1951), medico radiologo, raccontò la sua vita nel libro Le campane di Nagasaki. Si fece sedurre dal materialismo ateo durante gli studi, cercando la verità soltanto nelle materie scientifiche. Ebbe la fortuna di trovare alloggio presso la famiglia Moriyama, fervente cattolica, e si sposò con una delle loro figlie. Nel giugno del 1933 ricevette il battesimo. Sopravvisse alla bomba atomica lanciata sulla città di Nagasaki il 9 agosto 1945.

Egli racconta cosa accade: Improvvisamente il cielo si illuminò, giusto un istante, e risplendette di una luce che farebbe impallidire il sole dell’estate. Una colonna di fumo bianco cominciò a salire dalla terra, prendendo la forma di una gigantesca setola o di un fungo. Una luce terribile. Non fece rumore. Ma ciò che terrorizzò e gelò il sangue fu il vento possente che dal basso della nube bianca iniziò a diffondersi. Con una velocità terrificante passò sopra le colline e i campi radendoli al suolo. Le case poste sulle alture cedettero alla sua forza, e tutti gli alberi furono rasi al suolo, e le loro foglie scomparvero come per incanto. Si potrebbe dire che un invisibile, gigantesco cilindro compressore stesse triturando quanto trovava sul suo cammino. Un orribile suono ferì le orecchie di coloro che da lontano assistevano ad uno spettacolo tanto terribile. Fummo alzati, sollevati, gettati contro una parete di pietra posta a cinque metri dal punto in cui ci trovavamo.

Ferito nella zona degli occhi, credetti di aver perduto la vista. Non era così, ma sanguinavo. L’edificio intero presso il quale ci trovavamo era distrutto. Incastrato tra le macerie, lottai coraggiosamente, con tutte le mie forze per uscirvi. Lo spettacolo che mi si presentò dinnanzi agli occhi era apocalittico.

Tra masse tremolanti di carne iniziarono a muoversi, strisciando, coloro che ancora avevano un alito di vita. Iniziammo a prestare i primi soccorsi, ma mai mi sono sentito tanto impotente, tanto inutile, nell’aiutare quegli esseri umani consumati e lacerati dal dolore. Non potevamo occuparci di tutte le persone che si assiepavano intorno ai pochi medici sopravvissuti. Come finivamo di bendare qualcuno ecco che si prensentava un altro con la stessa supplica: “Dottore, salvami”.

Mai mi sono sentito tanto impotente come in quei momenti, mentre osservavo quel terribile spettacolo di paura, agonia, morte e distruzione. Non potevo far nulla, assolutamente nulla. Il sangue mi scorreva sul volto, dalle tempie fino ai peli della barba. Sembrava che i miei occhi fossero pronti a schizzare lontano. A volte volendo mettere insieme un corpo per vedere se dava ancora dei segnali di vita questi si disfaceva tra le mie mani come fango melmoso. Guardai il cielo e pregai. Il giorno successivo, continuò a curare i feriti senza darsi tregua. Il giorno 11 poté recarsi a casa sua, ma la sua casa non esisteva più e gli fu persino difficile ritrovarla. Era distrutta. Cercò tra i resti sua moglie. Era bruciata. Raccolse le sue ossa e vide che nella mano destra stringeva un rosario. Era morta con il rosario tra le dita. Più tardi, spostando i resti di casa sua trovò il crocifisso che la famiglia di Midori aveva conservato per 250 anni, anche in mezzo alle persecuzioni contro i cristiani. E Nagai esclamò: Sono stato spogliato di tutto e ho ritrovato solo questo crocifisso. Il 20 novembre, durante una messa celebrata in memoria di tutti i defunti della città, nella cattedrale di Urakami, il quartiere cattolico di Nagasaki, fece un intervento e disse: L’olocausto di Gesù Cristo lungo il calvario illumina e dona significato alle nostre vite.

Takashi Nagai fu un grande medico cattolico, che offrì le proprie sofferenze per la salvezza del mondo.

Morì all’età di 43 anni in seguito agli effetti delle mille radiografie effettuate senza la giusta protezione. Nel 1949 ricevette in casa sua l’imperatore del Giappone che gli riconobbe grandi meriti per il suo lavoro a favore della patria. 

 Padre ángel Peña

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