LIBRO DEL PROFETA DANIELE
Introdotti nella corte, vivono la vita della corte, seguono i costumi della corte. Mangiano e bevono ciò che mangia e beve il re.
Il re assegnò loro una razione giornaliera delle sue vivande e del vino che egli beveva. Nelle vivande non vi era alcuna distinzione tra puro e impuro.
La distinzione tra puro e impuro era Legge di vita per un figlio di Abramo. La Legge del Levitico tutto classificava nei più piccoli dettagli o particolari.
Il Signore parlò a Mosè e ad Aronne e disse loro: «Parlate agli Israeliti dicendo: “Questi sono gli animali che potrete mangiare fra tutte le bestie che sono sulla terra. Potrete mangiare di ogni quadrupede che ha l’unghia bipartita, divisa da una fessura, e che rumina. Ma fra i ruminanti e gli animali che hanno l’unghia divisa, non mangerete i seguenti: il cammello, perché rumina, ma non ha l’unghia divisa, lo considererete impuro; l’iràce, perché rumina, ma non ha l’unghia divisa, lo considererete impuro; la lepre, perché rumina, ma non ha l’unghia divisa, la considererete impura; il porco, perché ha l’unghia bipartita da una fessura, ma non rumina, lo considererete impuro. Non mangerete la loro carne e non toccherete i loro cadaveri; li considererete impuri.
Fra tutti gli animali acquatici ecco quelli che potrete mangiare: potrete mangiare tutti quelli, di mare o di fiume, che hanno pinne e squame. Ma di tutti gli animali che si muovono o vivono nelle acque, nei mari e nei fiumi, quanti non hanno né pinne né squame saranno per voi obbrobriosi. Essi saranno per voi obbrobriosi; non mangerete la loro carne e riterrete obbrobriosi i loro cadaveri. Tutto ciò che non ha né pinne né squame nelle acque sarà per voi obbrobrioso.
Fra i volatili saranno obbrobriosi questi, che non dovrete mangiare, perché obbrobriosi: l’aquila, l’avvoltoio e l’aquila di mare, il nibbio e ogni specie di falco, ogni specie di corvo, lo struzzo, la civetta, il gabbiano e ogni specie di sparviero, il gufo, l’alcione, l’ibis, il cigno, il pellicano, la fòlaga, la cicogna, ogni specie di airone, l’ùpupa e il pipistrello.
Sarà per voi obbrobrioso anche ogni insetto alato che cammina su quattro piedi. Però fra tutti gli insetti alati che camminano su quattro piedi, potrete mangiare quelli che hanno due zampe sopra i piedi, per saltare sulla terra. Perciò potrete mangiare i seguenti: ogni specie di cavalletta, ogni specie di locusta, ogni specie di acrìdi e ogni specie di grillo. Ogni altro insetto alato che ha quattro piedi sarà obbrobrioso per voi; infatti vi rendono impuri: chiunque toccherà il loro cadavere sarà impuro fino alla sera e chiunque trasporterà i loro cadaveri si dovrà lavare le vesti e sarà impuro fino alla sera.
Riterrete impuro ogni animale che ha l’unghia, ma non divisa da fessura, e non rumina: chiunque li toccherà sarà impuro. Considererete impuri tutti i quadrupedi che camminano sulla pianta dei piedi; chiunque ne toccherà il cadavere sarà impuro fino alla sera. E chiunque trasporterà i loro cadaveri si dovrà lavare le vesti e sarà impuro fino alla sera. Tali animali riterrete impuri.
Fra gli animali che strisciano per terra riterrete impuro: la talpa, il topo e ogni specie di sauri, il toporagno, la lucertola, il geco, il ramarro, il camaleonte. Questi animali, fra quanti strisciano, saranno impuri per voi; chiunque li toccherà morti, sarà impuro fino alla sera. Ogni oggetto sul quale cadrà morto qualcuno di essi, sarà impuro: si tratti di utensile di legno oppure di veste o pelle o sacco o qualunque altro oggetto di cui si faccia uso; si immergerà nell’acqua e sarà impuro fino alla sera, poi sarà puro. Se ne cade qualcuno in un vaso di terra, quanto vi si troverà dentro sarà impuro e spezzerete il vaso. Ogni cibo che serve di nutrimento, sul quale cada quell’acqua, sarà impuro; ogni bevanda potabile, qualunque sia il vaso che la contiene, sarà impura. Ogni oggetto sul quale cadrà qualche parte del loro cadavere, sarà impuro; il forno o il fornello sarà spezzato: sono impuri e li dovete ritenere tali. Però, una fonte o una cisterna, cioè una raccolta di acqua, resterà pura; ma chi toccherà i loro cadaveri sarà impuro. Se qualcosa dei loro cadaveri cade su qualche seme che deve essere seminato, questo sarà puro; ma se è stata versata acqua sul seme e vi cade qualche cosa dei loro cadaveri, lo riterrai impuro.
Se muore un animale, di cui vi potete cibare, colui che ne toccherà il cadavere sarà impuro fino alla sera. Colui che mangerà di quel cadavere si laverà le vesti e sarà impuro fino alla sera; anche colui che trasporterà quel cadavere si laverà le vesti e sarà impuro fino alla sera.
Ogni essere che striscia sulla terra sarà obbrobrioso; non se ne mangerà. Di tutti gli animali che strisciano sulla terra non ne mangerete alcuno che cammini sul ventre o cammini con quattro piedi o con molti piedi, poiché saranno obbrobriosi. Non rendete le vostre persone contaminate con alcuno di questi animali che strisciano; non rendetevi impuri con essi e non diventate, a causa loro, impuri. Poiché io sono il Signore, vostro Dio. Santificatevi dunque e siate santi, perché io sono santo; non rendete impure le vostre persone con alcuno di questi animali che strisciano per terra. Poiché io sono il Signore, che vi ho fatto uscire dalla terra d’Egitto per essere il vostro Dio; siate dunque santi, perché io sono santo.
Questa è la legge che riguarda i quadrupedi, gli uccelli, ogni essere vivente che si muove nelle acque e ogni essere che striscia per terra, per distinguere ciò che è impuro da ciò che è puro, l’animale che si può mangiare da quello che non si deve mangiare”» (Lev 11,1-47).
Dal Secondo Libro dei Maccabei sappiamo che la prova di fedeltà di un figlio di Abramo al suo Dio veniva subìta su questa legge del puro e dell’impuro.
Non molto tempo dopo, il re inviò un vecchio ateniese per costringere i Giudei ad allontanarsi dalle leggi dei padri e a non governarsi più secondo le leggi di Dio, e inoltre per profanare il tempio di Gerusalemme e dedicare questo a Giove Olimpio e quello sul Garizìm a Giove Ospitale, come si confaceva agli abitanti del luogo. Grave e intollerabile per tutti era il dilagare del male. Il tempio infatti era pieno delle dissolutezze e delle gozzoviglie dei pagani, che si divertivano con le prostitute ed entro i sacri portici si univano a donne, introducendovi pratiche sconvenienti. L’altare era colmo di cose detestabili, vietate dalle leggi. Non era più possibile né osservare il sabato né celebrare le feste dei padri né semplicemente dichiarare di essere giudeo. Si era trascinati con aspra violenza ogni mese, nel giorno natalizio del re, ad assistere al sacrificio e, quando giungevano le feste dionisiache, si era costretti a sfilare in onore di Diòniso coronati di edera. Su istigazione dei cittadini di Tolemàide, fu poi emanato un decreto per le vicine città ellenistiche, perché anch’esse seguissero le stesse disposizioni contro i Giudei, li costringessero a mangiare le carni dei sacrifici e mettessero a morte quanti non accettavano di aderire alle usanze greche. Si poteva allora capire quale tribolazione incombesse. Furono denunciate, per esempio, due donne che avevano circonciso i figli: appesero i bambini alle loro mammelle, e dopo averle condotte in giro pubblicamente per la città, le precipitarono dalle mura. Altri che si erano raccolti insieme nelle vicine caverne per celebrare il sabato, denunciati a Filippo, vi furono bruciati dentro, perché essi avevano riluttanza a difendersi per il rispetto di quel giorno santissimo.
Io prego coloro che avranno in mano questo libro di non turbarsi per queste disgrazie e di pensare che i castighi non vengono per la distruzione, ma per la correzione del nostro popolo. Quindi è veramente segno di grande benevolenza il fatto che agli empi non è data libertà per molto tempo, ma subito incappano nei castighi. Poiché il Signore non si propone di agire con noi come fa con le altre nazioni, attendendo pazientemente il tempo di punirle, quando siano giunte al colmo dei loro peccati; e questo per non doverci punire alla fine, quando fossimo giunti all’estremo delle nostre colpe. Perciò egli non ci toglie mai la sua misericordia, ma, correggendoci con le sventure, non abbandona il suo popolo. Ciò sia detto da noi solo per ricordare questa verità. Dobbiamo ora tornare alla narrazione.
Un tale Eleàzaro, uno degli scribi più stimati, uomo già avanti negli anni e molto dignitoso nell’aspetto della persona, veniva costretto ad aprire la bocca e a ingoiare carne suina. Ma egli, preferendo una morte gloriosa a una vita ignominiosa, s’incamminò volontariamente al supplizio, sputando il boccone e comportandosi come conviene a coloro che sono pronti ad allontanarsi da quanto non è lecito gustare per attaccamento alla vita. Quelli che erano incaricati dell’illecito banchetto sacrificale, in nome della familiarità di antica data che avevano con quest’uomo, lo tirarono in disparte e lo pregarono di prendere la carne di cui era lecito cibarsi, preparata da lui stesso, e fingere di mangiare le carni sacrificate imposte dal re, perché, agendo a questo modo, sarebbe sfuggito alla morte e avrebbe trovato umanità in nome dell’antica amicizia che aveva con loro. Ma egli, facendo un nobile ragionamento, degno della sua età e del prestigio della vecchiaia, della raggiunta veneranda canizie e della condotta irreprensibile tenuta fin da fanciullo, ma specialmente delle sante leggi stabilite da Dio, rispose subito dicendo che lo mandassero pure alla morte. «Poiché – egli diceva – non è affatto degno della nostra età fingere, con il pericolo che molti giovani, pensando che a novant’anni Eleàzaro sia passato alle usanze straniere, a loro volta, per colpa della mia finzione, per appena un po’ più di vita, si perdano per causa mia e io procuri così disonore e macchia alla mia vecchiaia. Infatti, anche se ora mi sottraessi al castigo degli uomini, non potrei sfuggire, né da vivo né da morto, alle mani dell’Onnipotente. Perciò, abbandonando ora da forte questa vita, mi mostrerò degno della mia età e lascerò ai giovani un nobile esempio, perché sappiano affrontare la morte prontamente e nobilmente per le sante e venerande leggi». Dette queste parole, si avviò prontamente al supplizio. Quelli che ve lo trascinavano, cambiarono la benevolenza di poco prima in avversione, ritenendo che le parole da lui pronunciate fossero una pazzia. Mentre stava per morire sotto i colpi, disse tra i gemiti: «Il Signore, che possiede una santa scienza, sa bene che, potendo sfuggire alla morte, soffro nel corpo atroci dolori sotto i flagelli, ma nell’anima sopporto volentieri tutto questo per il timore di lui». In tal modo egli morì, lasciando la sua morte come esempio di nobiltà e ricordo di virtù non solo ai giovani, ma anche alla grande maggioranza della nazione (2Mac 6,1-31).
Ci fu anche il caso di sette fratelli che, presi insieme alla loro madre, furono costretti dal re, a forza di flagelli e nerbate, a cibarsi di carni suine proibite. Uno di loro, facendosi interprete di tutti, disse: «Che cosa cerchi o vuoi sapere da noi? Siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le leggi dei padri». Allora il re irritato comandò di mettere al fuoco teglie e caldaie. Appena queste divennero roventi, il re comandò di tagliare la lingua a quello che si era fatto loro portavoce, di scorticarlo e tagliargli le estremità, sotto gli occhi degli altri fratelli e della madre. Dopo averlo mutilato di tutte le membra, comandò di accostarlo al fuoco e di arrostirlo quando ancora respirava. Mentre il vapore si spandeva largamente tutto intorno alla teglia, gli altri si esortavano a vicenda con la loro madre a morire da forti, dicendo: «Il Signore Dio ci vede dall’alto e certamente avrà pietà di noi, come dichiarò Mosè nel canto che protesta apertamente con queste parole: “E dei suoi servi avrà compassione”».
Venuto meno il primo, allo stesso modo esponevano allo scherno il secondo e, strappatagli la pelle del capo con i capelli, gli domandavano: «Sei disposto a mangiare, prima che il tuo corpo venga straziato in ogni suo membro?». Egli, rispondendo nella lingua dei padri, protestava: «No». Perciò anch’egli subì gli stessi tormenti del primo. Giunto all’ultimo respiro, disse: «Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re dell’universo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna».
Dopo costui fu torturato il terzo, che alla loro richiesta mise fuori prontamente la lingua e stese con coraggio le mani, dicendo dignitosamente: «Dal Cielo ho queste membra e per le sue leggi le disprezzo, perché da lui spero di riaverle di nuovo». Lo stesso re e i suoi dignitari rimasero colpiti dalla fierezza di questo giovane, che non teneva in nessun conto le torture.
Fatto morire anche questo, si misero a straziare il quarto con gli stessi tormenti. Ridotto in fin di vita, egli diceva: «È preferibile morire per mano degli uomini, quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati; ma per te non ci sarà davvero risurrezione per la vita».
Subito dopo condussero il quinto e lo torturarono. Ma egli, guardando il re, diceva: «Tu hai potere sugli uomini e, sebbene mortale, fai quanto ti piace; ma non credere che il nostro popolo sia stato abbandonato da Dio. Quanto a te, aspetta e vedrai la grandezza della sua forza, come strazierà te e la tua discendenza».
Dopo di lui presero il sesto che, mentre stava per morire, disse: «Non illuderti stoltamente. Noi soffriamo queste cose per causa nostra, perché abbiamo peccato contro il nostro Dio; perciò ci succedono cose che muovono a meraviglia. Ma tu non credere di andare impunito, dopo aver osato combattere contro Dio».
Soprattutto la madre era ammirevole e degna di gloriosa memoria, perché, vedendo morire sette figli in un solo giorno, sopportava tutto serenamente per le speranze poste nel Signore. Esortava ciascuno di loro nella lingua dei padri, piena di nobili sentimenti e, temprando la tenerezza femminile con un coraggio virile, diceva loro: «Non so come siate apparsi nel mio seno; non io vi ho dato il respiro e la vita, né io ho dato forma alle membra di ciascuno di voi. Senza dubbio il Creatore dell’universo, che ha plasmato all’origine l’uomo e ha provveduto alla generazione di tutti, per la sua misericordia vi restituirà di nuovo il respiro e la vita, poiché voi ora per le sue leggi non vi preoccupate di voi stessi».
Antioco, credendosi disprezzato e sospettando che quel linguaggio fosse di scherno, esortava il più giovane che era ancora vivo; e non solo a parole, ma con giuramenti prometteva che l’avrebbe fatto ricco e molto felice, se avesse abbandonato le tradizioni dei padri, e che l’avrebbe fatto suo amico e gli avrebbe affidato alti incarichi. Ma poiché il giovane non badava per nulla a queste parole, il re, chiamata la madre, la esortava a farsi consigliera di salvezza per il ragazzo. Esortata a lungo, ella accettò di persuadere il figlio; chinatasi su di lui, beffandosi del crudele tiranno, disse nella lingua dei padri: «Figlio, abbi pietà di me, che ti ho portato in seno nove mesi, che ti ho allattato per tre anni, ti ho allevato, ti ho condotto a questa età e ti ho dato il nutrimento. Ti scongiuro, figlio, contempla il cielo e la terra, osserva quanto vi è in essi e sappi che Dio li ha fatti non da cose preesistenti; tale è anche l’origine del genere umano. Non temere questo carnefice, ma, mostrandoti degno dei tuoi fratelli, accetta la morte, perché io ti possa riavere insieme con i tuoi fratelli nel giorno della misericordia».
Mentre lei ancora parlava, il giovane disse: «Che aspettate? Non obbedisco al comando del re, ma ascolto il comando della legge che è stata data ai nostri padri per mezzo di Mosè. Tu però, che ti sei fatto autore di ogni male contro gli Ebrei, non sfuggirai alle mani di Dio. Noi, in realtà, soffriamo per i nostri peccati. Se ora per nostro castigo e correzione il Signore vivente per breve tempo si è adirato con noi, di nuovo si riconcilierà con i suoi servi. Ma tu, o sacrilego e il più scellerato di tutti gli uomini, non esaltarti invano, alimentando segrete speranze, mentre alzi la mano contro i figli del Cielo, perché non sei ancora al sicuro dal giudizio del Dio onnipotente che vede tutto. Già ora i nostri fratelli, che hanno sopportato un breve tormento, per una vita eterna sono entrati in alleanza con Dio. Tu invece subirai nel giudizio di Dio il giusto castigo della tua superbia. Anch’io, come già i miei fratelli, offro il corpo e la vita per le leggi dei padri, supplicando Dio che presto si mostri placato al suo popolo e che tu, fra dure prove e flagelli, debba confessare che egli solo è Dio; con me invece e con i miei fratelli possa arrestarsi l’ira dell’Onnipotente, giustamente attirata su tutta la nostra stirpe».
Il re, divenuto furibondo, si sfogò su di lui più crudelmente che sugli altri, sentendosi invelenito dallo scherno. Così anche costui passò all’altra vita puro, confidando pienamente nel Signore. Ultima dopo i figli, anche la madre incontrò la morte. Ma sia sufficiente quanto abbiamo esposto circa i pasti sacrificali e le eccessive crudeltà (2Mac 7,1-42).
È possibile vivere in una corte pagana e osservare scrupolosamente la Legge del Signore? Per la sapienza umana questo è impossibile.
Ma tutto ciò che è impossibile alla sapienza umana è possibile alla sapienza divina. Vedremo quanto è sapiente la saggezza dei giovani scelti.
Dovevano essere educati per tre anni, al termine dei quali sarebbero entrati al servizio del re. Il re dona il tempo ritenuto necessario per la formazione.
Anche quest’aspetto va sommamente curato. Se per la preparazione occorrono tre anni, tre anni devono essere impiegati. Poi il tempo finisce.
Oggi è questo un grande vizio e peccato dell’uomo: per una preparazione che deve durare tre anni, quattro, se ne impiegano dieci, venti.
Quando si entra sul “mercato” della vita si è fuori tempo. Non si può realizzare il progetto di Dio. La natura ha i suoi tempi ed essi vanno rispettati.
Avendo l’uomo costruito una natura e una vita artificiale, quando poi chiede alla natura, essa non risponde. È fuori tempo. Fuori natura. Fuori se stessa.
La scienza può anche obbligare la natura a produrre fuori tempo e fuori stagione, ma il prodotto non è più naturale, è artificiale.
Una donna deve sposarsi in giovane età. È questo il tempo “naturale” della sua maternità. Nella vita artificiale ci si sposa a quarant’anni.
Si è fuori tempo, fuori maternità. Uno può anche scegliere di sposare a quarant’anni, purché sappia che la natura non obbedirà più.
Oggi nella vita dell’uomo tutto è divenuto artificiale. Ma una natura artificiale, potrà mai obbedire alla natura? Ecco la causa di tutti i mali del mondo.
MOVIMENTO APOSTOLICO CATECHESI
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