I castighi della superbia
Preparazione della sera
La superbia tende a privare Dio della sua gloria, perfino del suo ruolo. Usurpa il suo posto, se non intenzionalmente, il che sarebbe mostruoso, almeno praticamente, il che è già tanto odioso. Come pensare che Dio tolleri tale sopruso? Quali sarebbero i sentimenti di un padrone nei riguardi del servo che pretendesse di fare a modo suo, attribuendosi ogni diritto? Come lo tratterebbe? Certo lo punirebbe e in maniera adeguata alla colpa, facendolo apparire vile e miserabile nelle sue pretese.
Ogni legge ha lo scopo di mantenere l'ordine; ora, la legge della nostra attuale condizione è l'umiltà. Se essa è violata, il disordine penetra in noi, nei nostri rapporti con Dio e nelle relazioni con il prossimo. Da qui errori, pericoli, fallimenti e forse la rovina della vita spirituale, talvolta perfino 1'impenitenza finale.
Di solito il castigo raggiunge il colpevole con lentezza, ma in modo inevitabile. Studierò domani questo argomento di giusto timore, meditando su di un triplice castigo che colpisce la superbia:
1. la sterilità soprannaturale;
2. la maledizione di Dio;
3. la decadenza morale.
1. La superbia è punita con la sterilità soprannaturale
La superbia possiede la proprietà fatale di rendere sterile tutto ciò che tocca. L'azione più bella da essa ispirata diventa inutile per il Cielo, come un fiore infecondo. Tutto il bene che raggiunge con il suo alito, immediatamente appassisce. Così la vita più attiva, se è dominata da questo vizio, assomiglia alla botte delle Danaidi che nessuno riuscirà mai a riempire. Nostro Signore diceva dei Farisei che digiunavano e pregavano per essere onorati: «Hanno già ricevuto la loro ricompensa» (Mt 6, 2.5). Perché Dio dovrebbe ricompensare ciò che non è fatto per lui?
D'altra parte, anche se volesse, non potrebbe. Ogni atto privo di un'intenzione soprannaturale, almeno potenziale, non può ottenere il concorso di Dio. Perciò è privo di vitalità soprannaturale. Dal momento che la Grazia non c'entra per niente, non può produrre gloria celeste; se lo Spirito Santo non lo vivifica, Dio non lo fa suo.
Compiere opere buone per superbia è come spargere polvere al vento. Nel monastero diretto da Pacomio, un monaco fece un giorno una stuoia più degli altri e la mostrò per vanità, sperando di riceverne complimenti: «Questo lavoro è per il diavolo», sentenziò il superiore.
Che delusione attende il superbo un istante dopo la morte! Si ritroverà con le mani vuote e sentirà risuonare la sentenza: «Non vi conosco» (Mt 25, 12). Egli si meraviglierà e dirà fra sé: «Non abbiamo noi profetato nel tuo nome?» (Mt 7, 22). E cioè: «Non ho io fatto opere buone, sopportato fatiche, compiuto fino alla fine esercizi di pietà e di zelo?». Eppure Dio gli dichiarerà: «Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità» (Mt 7, 23).
Sì, il superbo ce l'ha messa tutta per darsi agli esercizi della vita spirituale, per moltiplicare gli atti virtuosi che gli hanno attirato l'ammirazione altrui, per riuscire nel lavoro apostolico: nulla di tutto ciò costituisce un merito e conta agli occhi di Dio, se è ispirato dalla superbia.
L'obiettivo principale delle sue attività era la vanagloria e il desiderio di essere stimato e applaudito. Ricevuta questa ricompensa, non ne merita altre: il salario sarà degno della sua vanità. Egli appartiene a coloro di cui Agostino ha detto: «Erano uomini vuoti, hanno ottenuto una ricompensa vana».
2. La superbia è punita con la maledizione di Dio
Il Maestro divino, pur così pieno di dolcezza, ha colpito e maledetto in termini severi e terribili la superbia dei farisei e degli scribi. Per sua natura questo vizio è odiato da Dio, perché tende a rapirgli la gloria. «Non cederò la mia gloria ad altri, né il mio onore agli idoli», dice il Signore (Is 42, 8). Come potrebbe non maledire e non punire la superbia che si fa idolo di se stessa e toglie così al Creatore la gloria e l'onore a lui solo dovuti?
Per punirla Dio non ha bisogno di armarsi di spada contro il superbo: basta che lo abbandoni a se stesso. Niente di più giusto, dato che è presuntuoso; niente di più fatale, poiché è debole.
«Il Signore abbatte la casa dei superbi» (Pro 15, 25), è detto nella Scrittura. Perché l'edificio del superbo crolli, è sufficiente che Dio non mandi la sua Grazia; senza di essa infatti non si può né fare né conservare alcunché di buono. Precisamente egli concede la sua Grazia agli umili e la rifiuta ai superbi (cf. Gc 4, 6). San Tommaso d'Aquino, parlando dell'umiltà come fondamento della vita spirituale, dice che «questa virtù caccia la superbia alla quale Dio resiste e rende l'uomo sottomesso e aperto alle effusioni della Grazia divina».
Queste effusioni sono rifiutate al superbo: incline al male a motivo del peccato originale, accecato dalle proprie illusioni, caduto in basso per essersi lasciato mille volte fuorviare, privato dell'aiuto divino che potrebbe illuminarlo e trattenerlo, egli corre verso gli abissi e sprofonda sempre più nella melma, secondo le leggi dell'accelerazione della velocità nella caduta. Gli sfugge il senso del pericolo: ha gli occhi come bendati e non avverte la necessità di chiedere luce e soccorso.
Fra Dio onnipotente e noi, deboli per essenza, è stabilito un contratto tacito: «Voi state al vostro posto, e io al mio; siate umili e pregate e io vi sosterrò». Il castigo per l'infrazione a questo contratto è l'abbandono.
La maledizione di Dio contro la superbia può prendere anche una forma più terribile di quella dell'abbandono: si trasforma in avversione e odio. La Scrittura avverte: «Tre tipi di persone io detesto, la loro vita è per me un grande orrore: un povero superbo...» (Sir 25, 2); «E un abominio per il Signore ogni cuore superbo, certamente non resterà impunito» (Pro 16, 5).
Quest'odio divino perseguita il superbo, senza che nulla possa sottrarlo ai suoi giusti castighi: «La tua arroganza ti ha indotto in errore, la superbia del tuo cuore; ...anche se ponessi, come l'aquila, in alto il tuo nido, di lassù ti farò precipitare. Oracolo del Signore» (Ger 49, 16).
Parole che mettono paura. Tremo davanti alla rivelazione dell'odio che Dio, conosciuto come infinitamente misericordioso, porta contro questo vizio. Un posto eminente anche nella Chiesa, importanti servizi resi perfino alla religione, virtù ammirevoli e senza dubbio troppo ammirate, possono fornire esca alla superbia, senza costituire una difesa nei confronti di Dio. «Di lassù ti farò precipitare». E lo ha fatto con i superbi: «Ha rovesciato i potenti dai troni» (Lc 1, 52).
Una superbia da meritare tali castighi penso sia rara fra le persone devote. Ma troppo spesso c'è in loro una superbia minore che pure attira giuste punizioni: aridità persistenti, insuccessi, tristezze, colpe in cui Dio permette che si cada.
La superbia nel suo desiderio smodato di stima e di lode, viene punita anche col non raggiungimento della gioia cercata, con la delusione riservata alle sue febbrili preoccupazioni. I suoi desideri superano sempre le mete raggiunte; quanto più ottiene tanto più diventa avida.
Da parte sua Dio si sente dimenticato e tace o si volge altrove; toglie le grazie per dimostrare la sua riprovazione. Si accontentasse di mescolare l'amarezza alle nostre gioie umane e di renderci infelici nelle nostre vane ricerche! Un giorno, senza dubbio, la fame ricondurrebbe il figlio prodigo alla casa paterna... (cf. Lc 15, 16-20).
3. La superbia è punita con la decadenza morale
Quali sono le conseguenze della maledizione di Dio contro l'orgoglioso, che egli detesta e abbandona? San Paolo, parlando dei filosofi perduti dalla loro superbia, dice: «Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi» (Rm 1, 24).
Eccoli decaduti, degradati, ridotti al livello di animali che seguono gli istinti. Per usare i termini dell'Apostolo, il superbo diventa «animalis homo» incapace di percepire ciò che appartiene allo Spirito di Dio (cf. 1 Cor 2, 14).
Colpito dal triste spettacolo, devo capire che la superbia contiene in radice ogni degrado morale. «Principio della superbia infatti è il peccato» (Sir 10, 13). Parola rivelata e comprovata dall'esperienza. Per descrivere quanto esce da questa sorgente inquinata, la Scrittura avverte: «Il cuore dei superbi è come l'alito cattivo che emana da uno stomaco malato» (Sir 11, 32 Volg.).
Se questo è vero, come posso meravigliarmi nel sentire che la superbia è un segnale premonitore di riprovazione? Immergendosi nel male, il superbo vi trova alla fine la sua tomba. Per uscirne, dovrebbe riconoscersi colpevole, far appello alla Grazia, umiliarsi; ma quell'infelice ne è incapace.
Dei castighi che ho appena intravisto, non ce n'è uno al quale prima o dopo possa sottrarmi. Per questo devo temere i progressi insidiosi della superbia e considerare come sia capace di distruggere tutto. Ogni buona azione ispirata dall'amor proprio è corrotta in partenza. Un atto iniziato santamente, all'improvviso può alterarsi per un motivo di vanità che se ne impadronisce. Un'opera compiuta in maniera perfetta può deporre in me un germe di corruzione con il vano compiacimento.
Concedimi, o Dio, di evitare i castighi della superbia e di poter godere dei premi dell'umiltà. Invece della sterilità soprannaturale, le mie più piccole azioni saranno arricchite dal merito. Invece della tua maledizione e della tua avversione, sarò coperto di benedizioni e di tenerezze. Invece del degrado, sarà l'elevazione, perché tu «sollevi l'indigente dalla polvere», e... «innalzi gli umili» (cf. Sal 112, 7; Lc 1, 52). Invece della prevedibile riprovazione, sarà assicurata la predestinazione. Tu affermi con la voce del Salmista che «salvi gli spiriti affranti» (cf. Sal 33, 19).
E non potrebbe essere diversamente. L'umile prega e tu, Signore, ti «volgi alla preghiera del misero» (cf. Sal 101, 18). Tutto può con la tua forza; sei tu che vivi in lui. Se ne va nell'ombra e nel silenzio; se deve mostrarsi, si mantiene sotto il tuo sguardo. Dimentico del bene che compie, desideroso unicamente della tua gloria, non ha che l'ambizione di essere ogni giorno più tuo figlio.
Aiutami ad essere umile a questo modo.
Leopold Beaudenom
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