Nel parlare della Missione della nostra Mamma è necessario tracciare un quadro complessivo di chi è la SS. Vergine. La Chiesa esprime la sua testimonianza su Maria nei dogmi e nelle altre verità relative alla sua Missione e che esprimono il suo rapporto con Dio, e quelle relative all’ufficio che deriva dalla Missione di Madre del Redentore e che esprimono il suo rapporto con tutti gli uomini, con tutti i popoli.
Le verità su Maria che riguardano la sua Missione ed esprimono il suo rapporto con Dio sono quattro dogmi di Fede:
1°, La sua MATERNITÀ DIVINA verso il Verbo Incarnato: “Maria, Madre di Dio”. Questa verità fu evidenziata come conseguenza della consapevolezza di Chi è Gesù Cristo: vero Dio (natura Divina) e vero uomo (natura umana) in una medesima ed unica Persona Divina. Non è una maternità qualunque, per il fatto che Lei è un essere umano: è Maternità Divina perché il frutto del suo grembo è il Figlio di Dio fattosi Uomo, che è Persona Divina, allo stesso modo che, se per esempio “Antonio è ingegnere”, la madre di Antonio è “la madre dell’ingegnere”. Quindi, se Gesù Cristo è Dio, sua Madre è pertanto “la Madre di Dio”.
E poi, che Gli ha dato? L’anima, forse? No, soltanto il necessario per incarnarsi, per avere un corpo: Gli ha dato il sangue. Il Sangue di Gesù, Egli lo ha ricevuto al 100% da sua Madre, non la metà, come avviene in noi, perché Maria è sua Madre e al tempo stesso è la sempre Vergine.
Questa prima verità fu proclamata dogma ufficiale della Chiesa nel Concilio di Efeso, nell’anno 431, nel V secolo, ma la coscienza dei fedeli la sentiva vera fin dall’inizio. È la sapienza del cuore dei fedeli, nei quali è presente lo Spirito Santo, come ha ricordato il Concilio.
2°, La sua VERGINITÀ PERPETUA, perfetta, divina, prima del parto, nel parto e dopo il parto (dichiarata nel Concilio Lateranense, nell’anno 649). È la conseguenza della sua Missione di essere la Madre di Dio.
3°, La sua IMMACOLATA CONCEZIONE (Anno 1854 – Dogma preceduto e preparato dalle apparizioni della Medaglia Miracolosa nella Rue du Bac, a Parigi, nel 1830, e confermato da quelle di Lourdes, nel 1858). È la condizione necessaria per la Maternità Divina; è come il suo prologo.
4°, La sua ASSUNZIONE in Cielo, in Anima e Corpo glorificato (Anno 1950 – Dogma preceduto e annunciato dalle apparizioni alle Tre Fontane, a Roma, nel 1947): è la conseguenza di essere l’Immacolata e di essere quindi esente dalle conseguenze del peccato, quindi dal castigo della morte, dovuto al peccato originale.
E ci sono altre verità che riguardano il suo ufficio di Madre del Redentore nel suo rapporto con gli uomini redenti, cioè, in che consiste essere la nostra Madre nell’ordine della Grazia. Esse costituiscono ciò che un giorno sarà il quinto ed ultimo dogma, che completerà la figura di Maria agli occhi della Chiesa:
5°, Maria CORREDENTRICE, MEDIATRICE e AVVOCATA
Questa triplice verità, che riguarda la Maternità di Maria verso tutti gli uomini redenti, non è ancora proclamata ufficialmente nella Chiesa. Questo dogma futuro è stato preceduto e annunciato dalle apparizioni della Signora di tutti i Popoli, ad Amsterdam, dal 1945 al 1959, e la sua proclamazione sarà l’essenza del Trionfo del Cuore Immacolato di Maria, annunciato fin dalle apparizioni di Fatima, nel 1917.
In questa conferenza consideriamo specialmente il dogma della VERGINITÀ perpetua, perfetta, divina di Maria, come lo è la sua MATERNITÀ, della quale si è parlato in questo ritiro.
Tutte le azioni di Gesù, Uomo-Dio, sono umano-divine; e così anche la Maternità di Maria e la sua Verginità. Sono due verità che si richiamano a vicenda, perché la Maternità di Maria è (mi sia permesso dirlo) il “trapianto”, lo “sdoppiamento” in una creatura della Fecondità verginale del Padre, la sua Divina Paternità. Così lo esprime il Signore in un brano del 14 Aprile 1923:
“Per poter elevare una creatura a concepire un Uomo e Dio, dovetti accentrare in Lei tutti i beni possibili ed immaginabili, dovetti elevarla tanto da mettere in Lei il germe della stessa Fecondità Paterna, e come il mio Celeste Padre mi generò vergine nel suo seno col germe verginale della sua Fecondità eterna, senza opera di donna, ed in questo stesso germe procedette lo Spirito Santo, così la mia Celeste Mamma, con questo germe eterno, tutto verginale, della Fecondità Paterna, mi concepì nel suo seno vergine, senza opera di uomo. La Trinità Sacrosanta dovette dare del suo a questa Vergine divina, per poter concepire Me, Figlio di Dio. Mai la mia Santa Mamma avrebbe potuto concepirmi, non avendo Lei nessun germe. Ora, siccome Lei era della razza umana, questo germe della Fecondità eterna le diede virtù di concepirlo uomo e, siccome il germe era divino, nel medesimo tempo mi concepì Dio. E siccome, nel generarmi il Padre, nel medesimo tempo procedette lo Spirito Santo, così, nel medesimo tempo che fui generato nel seno della mia Mamma, procedette la generazione delle anime. Sicché tutto ciò che ab eterno successe alla SS. Trinità in Cielo, si ripete nel seno della cara Mamma mia”.
Questo brano è “da vertigine”. Dobbiamo ricordare ancora il passo di Lc 11,27-28:
“Beato il grembo che Ti ha portato e il seno che Ti ha allattato!” Ma Gesù disse: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la Parola di Dio e la osservano”. Vuol dire che, in fin dei conti, concepire e dare alla luce in modo verginale lo avrebbe potuto fare qualsiasi donna, per un intervento straordinario di Dio; non era questo ciò che caratterizza la SS. Vergine e la rende unica agli occhi di suo Figlio. Doveva avere la stessa Vita di Dio, la sorgente della sua Vita, che è la Divina Volontà, e la sua caratteristica, la Fecondità verginale del Padre, perché il Figlio suo doveva essere il Figlio di Dio.
Già questo ci porta ad una differenza immensa tra la Verginità di Maria e la verginità di una qualsiasi creatura, ragazza o donna che sia.
Per questo Gesù dice nel brano del 20 Aprile 1923:
“Figlia carissima al mio supremo Volere, è mio solito di fare le mie opere più grandi in anime vergini e sconosciute; e non solo vergini di natura, ma vergini di affetti, di cuore, di pensieri, perché la vera verginità è l’ombra divina, ed Io solo alla mia ombra posso fecondare le mie opere più grandi. Anche ai tempi in cui venni a redimere c’erano i pontefici, le autorità, ma non andai da loro, perché l’ombra mia non c’era. Perciò elessi una Vergine sconosciuta a tutti, ma ben nota a Me; e se la vera verginità è l’ombra mia, l’eleggerla sconosciuta era la gelosia divina, che, volendola tutta per Me, la rendeva sconosciuta a tutti gli altri. Ma con tutto ciò, che questa Vergine celestiale fosse sconosciuta, Io mi feci conoscere, facendomi strada per far conoscere a tutti la Redenzione. Quanto più grande è l’opera che voglio fare, tanto più vado coprendo l’anima con la superficie delle cose più ordinarie”.
E ancora più chiaro in questi altri due brani: “Figlia mia, tu devi sapere che la mia Mamma Celeste potette concepire Me, Verbo Eterno, nel suo seno purissimo, perché fece la Volontà di Dio come la faceva Dio. Tutte le altre prerogative che possedeva, cioè, verginità, concepimento senza macchia originale, santità, mari di grazia che possedeva, non erano mezzi sufficienti per poter concepire un Dio, perché tutte queste prerogative non le davano né l’immensità, né l’onniveggenza per poter concepire un Dio immenso e che tutto vede, e molto meno la fecondità per poterlo concepire; insomma, sarebbe mancato il germe per la fecondità divina. Invece, col possedere il Supremo Volere come vita propria e col fare la Volontà di Dio come la faceva Dio, ricevette il germe della fecondità divina, e con esso l’immensità, l’onniveggenza. Perciò in modo connaturale potetti essere concepito in Lei; non mi mancava né l’immensità, né tutto ciò che all’Essere mio appartiene. (…) Questo fare la Volontà di Dio come la fa Dio fu il punto più alto, più sostanzioso, più necessario per la Mamma mia, per ottenere il sospirato Redentore. Tutte le altre prerogative furono la parte superficiale, la decenza, il decoro che a Lei conveniva”. (31 Marzo 1926)
“Dovendo Io, Verbo del Padre, scendere dal Cielo per incarnarmi nel seno di una Vergine, non era sufficiente alla santità della mia Divinità la sola verginità e l’averla fatta esente dalla macchia d’origine; perciò fu necessario al nostro amore e alla nostra santità che questa Vergine prima fosse concepita in Me, con tutte quelle prerogative, virtù e bellezza che doveva possedere la vita del Verbo Incarnato; perciò poi potetti incarnarmi in chi era stata concepita in Me e trovai in Essa il mio Cielo, la santità della mia vita, il mio stesso sangue che l’aveva generata ed innaffiata tante volte, trovai la mia stessa Volontà che, comunicandole la sua fecondità divina, formò la vita al Figlio suo e di Dio”. (8 Dicembre 1936)
Perciò, lungi da noi immaginare –come purtroppo molti adesso fanno– Maria come “una ragazza”, simile a tutte le altre ragazze del suo popolo e del suo tempo, con gli stessi sogni di tutte le ragazze (trovare un buon partito, formarsi una famiglia, ecc.), sogni frantumati e sconvolti da un intervento di Dio, al quale Maria si sarebbe sottomessa (...quasi quasi rassegnata). Lungi da noi!
Per prima cosa, “una ragazza” non vuol dire necessariamente “una vergine”... E poi, quale vergine! Vergine, come ha detto il Signore, di natura, di affetti, di cuore e di pensieri (“non conosco uomo”, anche seera già sposa di San Giuseppe!). E se Giuseppe non fosse stato al corrente e non avesse condiviso in pieno, sarebbe stato un inganno, un matrimonio invalido.
Questo implica una decisione pienamente responsabile, un impegno di vita davanti a Dio, quindi suggerito dallo stesso Dio. E lo implica in entrambi. Controcorrente, contro la mentalità e il costume del loro popolo e del loro tempo. Loro non furono mai “una sola carne”, ma “un solo spirito”. L’Angelo disse a Giuseppe di non temere di ricevere Maria, “sua Sposa”. Notiamo: “sposa”, non “moglie”. È evidente che vi era una chiamata “forte e chiara” da parte di Dio.
E da quando? Già sappiamo che Maria, essendo l’Immacolata, concepita senza ereditare il peccato originale come tutti gli altri e senza le sue conseguenze, anzi, concepita la sua anima nel seno dell’Augusta Trinità, fu cosciente e responsabile fin dal primo istante nel seno materno. E l’Amore Divino la inondò e Lei non conobbe altro Amore né seppe amare con un diverso amore:
“La piccola Regina nell’atto di essere concepita incominciò la sua vita insieme con la Divina Volontà e quindi insieme col suo Creatore, onde sentiva tutta la forza, l’immensità, la foga dell’Amor divino, ed era tanta che si sentiva sperduta, affogata d’amore, che non sapeva fare altro che amare Colui che tanto l’amava. Si sentiva amata, ma tanto, fino a darle Dio la sua Volontà in suo potere, da tenerla come vita propria, il che si può chiamare il più grande amor di Dio, l’amore più eroico, l’amore che solo può dire: «non ho più che darti, tutto ti ho dato». E la piccola Regina si serviva di questa vita per amarlo per quanto era amata, non perdeva un istante senza amarlo e cercava di pareggiarlo nell’amarlo”. (12 Aprile 1935)
È per questo Amore Divino che Maria non volle mai conoscere la sua volontà e fin dal primo istante la consegnò definitivamente a Dio. Come avrebbe potuto “conoscere uomo” se nemmeno conobbe se stessa?
“Oh, come compresi bene l’offesa grave che si fa a Dio e i mali che piovono sulla creatura! Ebbi tale orrore e paura di fare la mia volontà, e giustamente temevo, perché anche Adamo fu creato da Dio innocente, eppure col fare la sua volontà, in quanti mali non piombò lui e tutte le generazioni? Perciò Io, la Mamma tua, presa da terrore, e più dall’amore verso il mio Creatore, giurai di non fare mai la mia volontà e, per essere più sicura ed attestare maggiormente il mio sacrificio a Colui che tanti mari mi aveva dato di grazie e privilegi, presi questa mia volontà umana e la legai ai piedi del trono divino, in omaggio continuo d’amore e di sacrificio, giurando di non servirmi mai, anche per un istante solo della mia vita, della mia volontà, ma sempre di Quella di Dio”. (La Vergine Maria nel Regno della D. Volontà, 5° giorno)
Ma questo amore assoluto a Dio, che era l’Amore stesso di Dio in Maria, abbracciava con Dio tutte le creature (la Volontà Divina la rendeva immensa, consapevole e ardente nell’amore); perciò fin da quel primo istante Lei incominciò ad amare ognuno di noi con cuore di Madre:
“Ora, figlia mia carissima, tu devi sapere che come il FIAT Divino mi fece prendere possesso di tutto, mi sentii posseditrice di tutto e di tutti. La Divina Volontà, con la sua potenza, immensità ed onniveggenza, racchiudeva nell’anima mia tutte le creature, ed Io sentivo un posticino nel mio Cuore materno per ciascuna di esse. Da che fui concepita Io ti portai nel mio Cuore, ed oh, quanto ti amai e ti amo! Ti amai tanto che ti feci da Madre presso Dio”. (ibid, 6° giorno)
“…A te, che possiedi il nostro FIAT, è dato di poter comprendere [il Nostro dolore e il gran male dell’uomo] e perciò, come a Segretaria nostra, vogliamo svelarti i nostri segreti e mettere nelle tue mani lo scettro del comando, affinché domini ed imperi su tutto, ed il tuo dominio vinca Dio e l’uomo e Ce li porti come figli rigenerati nel tuo materno Cuore”. Chi può dirti, figlia cara, che sentì il mio Cuore da questo parlare divino? S’aprì in me una vena d’intenso dolore e mi proposi, anche a costo della mia vita, vincere Dio e la creatura e unirli insieme”. (ibid, 7° giorno)
Questo è il vero e reale motivo della decisione di Maria: impegnare tutta la sua vita per ottenere la riconciliazione tra Dio e le creature. La sua Verginità coincide per tanto con la sua Maternità, con il suo Amore umano-divino di Madre. Non un motivo negativo (non voler “conoscere uomo”), ma immensamente positivo (l’amore a Dio e a tutte le creature con l’Amore stesso di Dio). L’unica cosa che la Vergine ignorava è che proprio Lei doveva essere la Madre del Messia:
“E senza sapere allora che Io dovevo essere la Madre del Verbo Divino, Io sentivo in me la doppia maternità, maternità per Dio, per difendere i suoi giusti diritti; maternità per le creature, per metterle in salvo. Mi sentivo Madre di tutti. Il Volere Divino che regnava in me, che non sa fare opere isolate, mi portava in me Dio e tutte le creature, di tutti i secoli. Nel mio materno Cuore sentivo il mio Dio offeso, che voleva essere soddisfatto, e sentivo le creature sotto l’impero della Giustizia divina. Oh, quante lacrime versai! Volevo far scendere le lacrime mie in ogni cuore, per far sentire a tutti la mia maternità tutta d’amore. Piansi per te e per tutti, figlia mia”. (ibid, 8° giorno)
“Io continuavo la mia vita nel Tempio e le mie scappatine lassù nella mia Patria Celeste. Io avevo i miei diritti di figlia, di fare le mie visitine alla mia Famiglia Divina, che più che padre mi apparteneva; ma quale non fu la mia sorpresa, quando in una di queste mie visite mi fecero conoscere che era loro Volontà che uscissi dal Tempio, con unirmi prima con vincolo di sposalizio, secondo l’uso esterno di quei tempi, con un uomo santo chiamato Giuseppe, e ritirarmi insieme con lui a vivere nella casa di Nazaret?
Figlia mia, in questo passo della mia vita, apparentemente parve che Dio voleva mettermi in cimento. Io non avevo amato mai nessuno al mondo,1 e siccome la Volontà Divina teneva la sua estensione in tutto l’essere mio, la mia volontà umana non ebbe mai un atto di vita, quindi in me mancava il germe dell’amore umano: come potevo amare un uomo per quanto gran santo fosse, nell’ordine umano? È vero che Io amavo tutti, ed era tanto l’amore verso tutti, che il mio amore di Madre me li aveva scritto con caratteri di fuoco incancellabili, uno per uno, nel mio materno Cuore, ma ciò era tutto nell’ordine d’amore divino, perché l’amore umano paragonato al divino si può chiamare ombra, sfumatura, atomi d’amore. Eppure, figlia cara, di ciò che apparentemente parve cimento e come strano alla santità della mia vita, Dio se ne servì mirabilmente per compiere i suoi disegni e concedermi la grazia che Io tanto sospiravo, cioè che scendesse il Verbo sulla terra. Dio mi dava la salvaguardia, la difesa, l’aiuto, affinché nessuno potesse parlare sul conto mio, sulla mia onestà. San Giuseppe doveva essere il cooperatore, il tutore che doveva prendere interesse di quel poco d’umano che bisognava e l’ombra della Paternità Celeste, in cui doveva essere formata la nostra piccola famiglia celeste sulla terra. Onde, ad onta della mia sorpresa, dissi subito FIAT, sapendo che la Divina Volontà non mi avrebbe fatto male, né pregiudicato alla mia santità. Oh, se avessi voluto mettere un atto di mia volontà umana, anche sotto l’aspetto di non voler conoscere uomo, avrei mandato in rovina i piani della venuta del Verbo sulla terra! Quindi, non è la diversità degli stati [di vita] che pregiudica la santità, ma la mancanza della Divina Volontà e il non compimento dei propri doveri nello stato in cui Dio chiama la creatura. Tutti gli stati sono santi, anche il matrimonio, purché dentro ci sia la Divina Volontà e il sacrificio esatto dei propri doveri, ma la maggior parte sono indolenti e pigri e, non solo non si fanno santi, ma formano dello stato di ciascuno, chi un purgatorio e chi un inferno. Onde, come conobbi che dovevo uscire dal Tempio, Io non feci motto a nessuno, aspettando che Dio stesso movesse le circostanze esterne per farmi compiere la sua adorabile Volontà, come difatti avvenne. I superiori del Tempio mi chiamarono e mi dissero che era volontà loro e anche l’uso di quei tempi, che Io dovessi prepararmi allo sposalizio; Io accettai. Miracolosamente, la scelta fra tanti cadde su San Giuseppe e così si formò lo sposalizio e uscii dal Tempio” . (ibid, 17° giorno)
La Verginità di Maria, che è –come abbiamo visto– inseparabile dalla sua missione di Madre di Dio, non riguarda soltanto il Concepimento del Verbo nel suo seno (perché non riguarda solo la sua condizione fisica), ma è gloria di Maria nella Nascita di Gesù. Vergine lo concepì, vergine lo diede alla luce. “Luce da luce”. Questa affermazione della Chiesa nel Credo realmente si deve applicare a Cristo non solo nella sua Divinità, ma anche nella sua Umanità. Basta pensare alla sua Trasfigurazione. Ebbene, il mistero della sua Nascita avvenne in una trasfigurazione della Madre in luce purissima, dalla quale “scaturì” un’altra Luce ancora più potente, tornando poi allo stato naturale...
Lo leggiamo nel brano del 25 Dicembre 1900:
“Trovandomi nel solito mio stato, mi sono sentita fuori di me stessa e dopo aver girato mi sono trovata dentro di una spelonca e ho visto la Regina Mamma, che stava nell’atto di dare alla luce il Bambinello Gesù. Che stupendo prodigio! Mi pareva che tanto la Madre quanto il Figlio fossero trasmutati in luce purissima, ma in quella luce si scorgeva benissimo la natura umana di Gesù che conteneva in sé la Divinità, che gli serviva come di velo per coprire la Divinità, in modo che squarciando il velo della natura umana era Dio, e coperto con quel velo era uomo; ed ecco il prodigio dei prodigi: Dio e uomo, uomo e Dio, che senza lasciare il Padre e lo Spirito Santo viene ad abitare con noi e prende carne umana, perché il vero amore non si disunisce giammai.
Ora, mi è parso che la Madre e il Figlio in quel felicissimo istante sono rimasti come spiritualizzati, e senza il minimo intoppo Gesù è uscito dal seno materno, traboccando entrambi in un eccesso d’amore, ossia, trasformati in Luce quei santissimi corpi, senza il minimo impedimento Gesù Luce è uscito da dentro la luce della Madre, restando sano e intatto sia l’Uno che l’Altra, ritornando poi allo stato naturale 2.
Ma chi può dire la bellezza del Bambinello, che in quel momento dal suo nascere trasfondeva anche esternamente i raggi della Divinità? Chi può dire la bellezza della Madre, che ne restava tutta assorbita in quei raggi divini?
E San Giuseppe? Mi pareva che non fosse presente nell’atto del parto, ma che se ne stava in un altro cantone della spelonca, tutto assorto in quel profondo Mistero, e se non vide con gli occhi del corpo, vide benissimo con gli occhi dell’anima, perché se ne stava rapito in estasi sublime…”
Che dire allora di certi film dove nella scena della Nascita di Gesù presentano la Vergine nei contorcimenti e nelle doglie del parto, come qualsiasi parto? Che ignorano la verità dogmatica proclamata dalla Chiesa: “Maria Vergine, prima del parto, nel parto e dopo il parto”.
Come l’Immacolata esperimentò tutta l’amarezza e il dolore della morte, non alla fine della sua vita, ma stando in piedi sotto la Croce del Figlio, così la Vergine esperimentò tutta l’angoscia e le doglie del parto quando diede alla luce noi, la Chiesa, il Corpo Mistico di suo Figlio, stando sotto la Croce. A questo si riferiva Gesù nell’ultima Cena, quando disse: “La Donna (occorrerebbe scrivere questo titolo con maiuscolo!) quando partorisce, è nel dolore, perché è giunta la sua ora (che era la stessa “ora” di suo Figlio!); ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo” (Gv 16,21).
Noi ci avviciniamo con infinito rispetto al Mistero della Maternità Divina e verginale della Donna unica, che solo per amore è diventata la Madre di Dio e la Mamma nostra, per dare gloria a Dio per così immenso prodigio, per ringraziarlo e ringraziare la Vergine della sua fedeltà ed eroismo, per chiedere che ci rivesta della sua purezza e ci inondi del suo amore, e se occorre, per difendere il suo onore, la verità e il diritto di Dio in Lei.
P. Pablo Martín
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