Roma e Giobbe.
3. 3. Nondimeno, fratelli miei, la Carità vostra porga attenzione alle mie parole. Abbiamo udito dal libro del santo Giobbe che, dopo aver perso i suoi beni e dopo aver perso i figli, non poté aver salva neanche la carne che sola era rimasta, ma, coperto di piaghe dalla testa fino ai piedi, stava in mezzo allo sterco, col fetore di ulcere, imbrattato di umore corrotto, formicolante di vermi, straziato da fortissimi tormenti di dolori. Ebbene, se ci si desse notizia che tutta la cittadinanza ha questo tormento, che non ce n'è uno sano, anzi che tutti sono afflitti da gravissime ferite e che uomini vivi vanno in putredine verminosa come i morti, che cosa sarebbe più grave, questa situazione o quella guerra? Penso che è meno crudele dei vermi la spada che incrudelisce sulla carne umana, che è più tollerabile il sangue che zampilla dalle ferite che la putredine che sgocciola dalla materia corrotta. Quando tu vedi un cadavere in decomposizione inorridisci, ma è minore sofferenza, anzi non c'è alcuna sofferenza perché l'anima è assente. Ma in Giobbe c'era presente l'anima che sentiva, legata [al corpo] perché non sfuggisse, a lui soggetta perché soffrisse, assillata perché fosse indotta a bestemmiare. Tuttavia Giobbe sopportò la tribolazione e ciò gli fu ascritto a grande giustizia. Dunque non bisogna considerare che cosa uno soffra, ma che cosa fa [nella sofferenza]. Non è in potere dell'uomo regolare la sofferenza. Ma comportarsi in essa bene o male, questo rende la volontà dell'uomo innocente o colpevole. Giobbe sopportava. Gli era rimasta solo la moglie, non per suo conforto, ma per tentarlo; non per porgergli qualche rimedio, ma per indurlo alla bestemmia: Di' qualcosa contro Dio e muori 9. A questo punto vedete quale beneficio sarebbe stata la morte e tuttavia questo bene non glielo poteva dare nessuno. Ma in tutte le pene che quella santa anima sopportò, si esercitava la sua pazienza, era messa a prova la sua fede, mentre la moglie restava confusa e il demonio vinto. Grande spettacolo la splendida bellezza di quella virtù nell'immonda bruttura di quel marciume. Il nemico lo tentava con una subdola devastazione, la nemica con un aperto invito al male, aiuto al diavolo, non al marito. Essa, nuova Eva, ma egli non vecchio Adamo. Gli diceva: " Di' qualcosa contro Dio e muori. Strappa a forza con la bestemmia quello che non riesci ad impetrare con la preghiera ". Ma egli rispose: Hai parlato come una donna stolta. Se da Dio accettiamo il bene perché non dovremmo accettare il male? 10 Osservate le parole di quel forte fedele; osservate le parole di quell'uomo putrefatto all'esterno, integro all'interno: Hai parlato come una donna stolta. Se da Dio accettiamo il bene perché non dovremmo accettare il male? Dio è padre. Dovremmo amarlo solo quando ci blandisce e dovremmo rifiutarlo quando ci corregge? Non è lo stesso padre sia quando promette vita sia quando impone disciplina? Ti è uscito di mente [il passo che dice]: Figlio, se ti presenti per servire il Signore, sta' saldo nella giustizia e nel timore, e prepara la tua anima alla prova. Accetta quanto ti capita, sii paziente con umiltà nelle vicende dolorose, perché con il fuoco si prova l'oro e l'argento e gli uomini ben accetti nel crogiuolo del dolore 11. Ti è uscito di mente [il passo che dice]: Il Signore corregge chi ama, e sferza chi riconosce come figlio 12.
Sant'Agostino
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