venerdì 17 settembre 2021

LA ROVINA DELLA CITTÀ DI ROMA

 


Roma e Giobbe. 

3. 3. Nondimeno, fratelli miei, la Carità vostra porga attenzione alle  mie parole. Abbiamo udito dal libro del santo Giobbe che, dopo aver perso i suoi beni e dopo aver perso i figli, non poté aver salva  neanche la carne che sola era rimasta, ma, coperto di piaghe dalla  testa fino ai piedi, stava in mezzo allo sterco, col fetore di ulcere,  imbrattato di umore corrotto, formicolante di vermi, straziato da  fortissimi tormenti di dolori. Ebbene, se ci si desse notizia che tutta  la cittadinanza ha questo tormento, che non ce n'è uno sano, anzi  che tutti sono afflitti da gravissime ferite e che uomini vivi vanno in  putredine verminosa come i morti, che cosa sarebbe più grave,  questa situazione o quella guerra? Penso che è meno crudele dei  vermi la spada che incrudelisce sulla carne umana, che è più  tollerabile il sangue che zampilla dalle ferite che la putredine che  sgocciola dalla materia corrotta. Quando tu vedi un cadavere in  decomposizione inorridisci, ma è minore sofferenza, anzi non c'è  alcuna sofferenza perché l'anima è assente. Ma in Giobbe c'era  presente l'anima che sentiva, legata [al corpo] perché non  sfuggisse, a lui soggetta perché soffrisse, assillata perché fosse  indotta a bestemmiare. Tuttavia Giobbe sopportò la tribolazione e  ciò gli fu ascritto a grande giustizia. Dunque non bisogna  considerare che cosa uno soffra, ma che cosa fa [nella sofferenza].  Non è in potere dell'uomo regolare la sofferenza. Ma comportarsi in  essa bene o male, questo rende la volontà dell'uomo innocente o  colpevole. Giobbe sopportava. Gli era rimasta solo la moglie, non  per suo conforto, ma per tentarlo; non per porgergli qualche  rimedio, ma per indurlo alla bestemmia: Di' qualcosa contro Dio e  muori 9. A questo punto vedete quale beneficio sarebbe stata la  morte e tuttavia questo bene non glielo poteva dare nessuno. Ma in  tutte le pene che quella santa anima sopportò, si esercitava la sua  pazienza, era messa a prova la sua fede, mentre la moglie restava  confusa e il demonio vinto. Grande spettacolo la splendida bellezza  di quella virtù nell'immonda bruttura di quel marciume. Il nemico lo  tentava con una subdola devastazione, la nemica con un aperto  invito al male, aiuto al diavolo, non al marito. Essa, nuova Eva, ma  egli non vecchio Adamo. Gli diceva: " Di' qualcosa contro Dio e  muori. Strappa a forza con la bestemmia quello che non riesci ad  impetrare con la preghiera ". Ma egli rispose: Hai parlato come una  donna stolta. Se da Dio accettiamo il bene perché non dovremmo  accettare il male? 10 Osservate le parole di quel forte fedele;  osservate le parole di quell'uomo putrefatto all'esterno, integro  all'interno: Hai parlato come una donna stolta. Se da Dio  accettiamo il bene perché non dovremmo accettare il male? Dio è  padre. Dovremmo amarlo solo quando ci blandisce e dovremmo rifiutarlo quando ci corregge? Non è lo stesso padre sia quando  promette vita sia quando impone disciplina? Ti è uscito di mente [il  passo che dice]: Figlio, se ti presenti per servire il Signore, sta'  saldo nella giustizia e nel timore, e prepara la tua anima alla prova.  Accetta quanto ti capita, sii paziente con umiltà nelle vicende  dolorose, perché con il fuoco si prova l'oro e l'argento e gli uomini  ben accetti nel crogiuolo del dolore 11. Ti è uscito di mente [il passo  che dice]: Il Signore corregge chi ama, e sferza chi riconosce come  figlio 12.

Sant'Agostino

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