V. DISTRUZIONE
Hai visto mai una città distrutta da un terremoto, o quello che fu il bellisssimo palazzo dei marines americani a Beyrut dopo l'esplosione di quel camion di tritolo? Hai visto una bella campagna devastata da un ciclone o il cadavere di una bella ragazza dopo un mese dalla morte?
Allora ti potrai fare un'idea di quanto avviene in un uomo dopo un peccato mortale. Tutto quello che hai costruito in una vita allora si distrugge. Col peccato mortale si diventa come un cadavere in putrefazione. Vari santi avvertivano questo nei peccatori: ultimamente Teresa Neumann di Konnesreut, che visse per 32 anni totalmente digiuna, mantenuta dalla sola comunione. Essa, ricevendo ogni giorno tantissime persone desiderose di parlarle, ogni tanto aveva violenti conati di vomito e segni di intossicazione, che sembravano farla morire. Una volta un'amica, che l'assisteva, si accorse casualmente che questo stato coincideva con la presenza di una prostituta conosciuta e di un bestemmiatore. Allora chiese a Teresa spiegazione. Teresa le rispose che la causa era il tremendo fetore che emanava da quei peccatori. Da quel giorno l'amica, ogni volta che vedeva in Teresa quei conati di vomito, si affacciava alla porta e pregava chi stava dietro di andarsene. Subito Teresa stava bene.
Ritornando alle similitudini precedenti, col peccato mortale l'uomo rassomiglia:
- alla bambina napoletana ritornata, dopo l'adozione, a Napoli, a vivere sul fango;
- al ferro incandescente immerso nell'acqua;
- alla lampada elettrica fusa.
D'altronde è evidente che chi rifiuta Dio per Padre, non può avere la sua eredità, il Paradiso; chi si toglie dalla luce, si mette nelle tenebre; chi rifiuta la vita, ha la morte.
E giacché per gli uomini, divenuti tutti peccatori e rinunciatari, non c'era altra prospettiva che l'inferno, il Figlio di Dio, mosso a pietà di noi, si fece uomo e per noi patí la sua tremenda passione. Il profeta Isaia, vedendolo 600 anni prima in visione cosí, lo descrive:
« È cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una radice in terra arida. Non ha apparenza, né bellezza per attirare i nostri sguardi, né splendore per provare in lui diletto. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima». (Is. 53,2-3).
Cosí appare il volto di Gesù in Adrano dopo le molteplici lacrimazioni di sangue avvenute nel gennaio e febbraio 1981. Molti torcono lo sguardo per non vederlo (Leggi Dalla Polonia a Adrano); tanti addirittura mi rimproverano per averlo pubblicato.
Isaia continua: « Egli si è caricato delle nostre sofferenze e si è addossato i nostri dolori, e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. Noi tutti eravamo sperduti come un gregge; ognuno di noi seguiva la sua strada. Il Signore fece ricadere su di lui l'iniquità di tutti noi. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprí bocca. Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si affligge per la sua sorte?». (Is. 53, 4-8).
Dopo tutto questo, gli uomini continuano allegramente a peccare e a ricrocifiggerlo, come dice s. Paolo parlando dei cattivi cristiani: « Crocifiggono di nuovo in se stessi il figlio di Dio». (Ebr. 6.6).
Vorresti almeno tu affliggerti per Lui, per come lo hai ridotto coi tuoi peccati, confessarglieli e cambiare vita? È quanto Gesti spera da te. È quanto in qualche modo lo ricompensa del suo atroce martirio. La sua sofferenza maggiore difatti è di vedere che, nonostante tanto suo martirio, un'immensa quantità di uomini resta insensibile, continua ostinatamente a peccare e va all'inferno. Questa visione gli fa dire quelle amarissime parole che il profeta gli mette in bocca: «Quale utilità nel mio sangue?». (Ps. 29,10).
Queste tremende realtà hanno fatto avere sempre ai santi in orrore il peccato. La b. Bianca di Castiglia diceva al figlio Luigi IX piccolo:
« Figlio mio, ricordati: se mi venissero a dire: maestà, vostro figlio ha commesso un peccato, mi darebbe piú dolore che se mi dicessero: maestà vostro figlio è morto ».
Uno dei piú antichi e bravi scrittori francesi, Joinville, che fu ministro di S. Luigi IX, narra questo episodio. Il re gli disse un giomo:
- Cosa preferireste, la lebbra o un peccato mortale?
- Oh, la lebbra... !, rispose inorridito Joinville. Meglio un peccato.
- Come non avete giudizio! rispose s. Luigi IX. Anche senza la lebbra, un po' di anni dopo morirete. Ma col peccato mortale andrete all'inferno. Per conto mio, preferisco la lebbra, la peste anziché un peccato mortale.
S. Rita da Cascia, vedendo che nei suoi due figli cominciavano a spuntare sentimenti di vendetta verso l'uccisore del loro padre, cosí pregò il Signore:
- Signore, se vedi che i miei figli, crescendo, faranno peccati mortali, falli morire ora che sono innocenti.
Il Signore ascoltò quella preghiera e le fece presto morire i figlioli. Lei allora si fece monaca.
S. Domenico Savio, al primo ritiro che fece con s. Giovanni Bosco, fece questo proposito: «La morte, ma non peccati».
Padre Ildebrando A. Santangelo
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