Vita di Don Guido Bortoluzzi
Un’infanzia difficile
Il 7 ottobre del 1907 veniva alla luce a Puos d’Alpago, poco lontano dal lago di S. Croce in provincia di Belluno, il piccolo Guido, terzogenito di Osvaldo Bortoluzzi che, dopo essere rimasto vedovo con la nascita del primo figlio, aveva sposato in seconde nozze Ancilla Mocellin. Entrambi i genitori erano maestri elementari.
Dal primo matrimonio il padre aveva avuto Giuseppe, otto anni più grande di Guido, che morì ancora adolescente.
Dalla seconda moglie ebbe altri tre figli: prima Gino, nato nel 1906, poi Guido, nato nel 1907 e infine Giulio, nato nel 1910.
La vita di Guido è stata segnata fin dai primi momenti da difficoltà: la madre non aveva latte e a quei tempi il latte artificiale non c’era ancora.
La nonna paterna Caterina si diede da fare e trovò a 7 km di distanza una buona contadina che aveva appena perduto il suo bambino ed era disposta a prendere a balia il piccolo. Aveva latte buono e tanto amore materno.
Così nonna Caterina mise il neonato in una gerla di vimini e s’incamminò a piedi su per la montagna. Tra le braccia della balia Guido succhierà, insieme al latte, amore e cure. Sarà questo uno dei rari periodi di serenità della sua infanzia.
Ad un anno, un mese e un giorno la balia lo riporterà a casa ancora con la gerla dalla quale il piccino, lungo la strada, faceva eco alle preghiere che la donna recitava a voce alta rispondendo ad ogni litania: “Oa po nobis”.
Dopo poco la famiglia si trasferì a Farra d’Alpago dove con un mutuo i genitori avevano comprato una piccola e vecchia casa.
L’ambiente era freddo in tutti i sensi. Fra i genitori non c’era armonia. La madre ‘siora Ancilla’, o semplicemente ‘la maestra’, come tutti la chiamavano, era brava, energica e temuta insegnante, ma dura e parziale con marito e figli.
Il marito, appassionato cacciatore, si rifugiava sempre più spesso nelle battute di caccia pur di stare lontano da casa. Sovente si fermava a dormire nei cascinali, incurante del maltempo. Fu così che s’ammalò di tubercolosi, malattia che lo portò alla morte nel 1911 poco dopo la nascita del quarto figlio. Uomo impulsivo, collerico, scontento, era la sofferenza della vecchia nonna Caterina che non riuscì con le sue premure a farlo riaccostare ai Sacramenti neanche quand’egli si trovò in fin di vita. Lo ottenne il piccolo Guido.
Si legge in una pagina autobiografica:
Quella santa donna carismatica che fu mia nonna paterna mi predisse fin da quando avevo quasi quattro anni che da grande sarei stato prete e sarei stato contento di sapere che il papà prima di morire aveva fatto pace con Dio. Era gravemente malato e aveva espresso il desiderio di vedere i suoi tre figlioletti prima di morire.
Abitavamo a 8 km di distanza e ci andammo in carrozza. Non potevamo baciarlo in faccia perché c’era pericolo di TBC.
La mamma si fermò da lui in camera; noi, piccoli, fummo invitati dalla nonna a rimanere fuori, nel corridoio. Qui la nonna chiamò vicino a sè il più grande, di 5 anni. Voleva incaricarlo di una missione, ma egli scappò via. Chiamò me e disse:
– Hai visto il papà com’è patito! Morirà presto e non lo vedrai più. – E piangeva. – Poveri piccoli! Ha patito tanto, sai, e patirà ancora di più dopo morto perché ha detto tante e tante bestemmie. Ma tu vuoi bene al tuo papà, vero? Tu puoi salvarlo dai patimenti dell’inferno dopo la morte. –
Farra d’Alpago: la casa acquistata dai genitori (com’è ora)
E mi spiegò in breve cos’è l’inferno.
– Va dentro e digli che chiami il prete e che faccia pace con Dio. –
Entrai e dissi:
– Papà, ti voglio bene; non voglio che tu vada a patire anche all’inferno. –
– Reazione violenta: – È stata quella stupida di tua nonna a dirti queste cose? – E giù ingiurie e bestemmie. Scappai fuori e dissi alla nonna:
– È cattivo, non torno da lui. –
Lei invece mi convinse a ritornare. Mi promise che avrebbe pregato lo Spirito Santo e la Madonna perché gli facessero capire l’importanza e l’urgenza del messaggio. Mentre mi scostavo da lei disse:
– Povero innocente, perché sei così piccolo non ti crederà. Ma ti seguo con la preghiera. – Arrivato al capezzale del malato, dissi subito:
– Papà, tu non mi credi perché sono piccolo, ma io so, sai, quello che dico. Quando sarò grande sarò prete e sarò contento di sapere che, prima di morire, hai fatto pace con Dio. –
– Io sono sempre in pace con Dio. –
– Eh no, papà. Ti ho sentito dire bestemmie e parolacce alla nonna.
– Da quanto è che gli insegni la lezione? – chiese alla mamma.
– Non gli ho mai parlato di queste cose. –
Erano circa due anni che egli viveva dai nonni e ignorava i miei progressi nel parlare. Egli mi guardò fisso per alcuni istanti, poi disse:
– Vieni qua, che ti dò un bacio. –
Nonna e mamma intervennero: – No! È troppo pericoloso! –
– Lasciatemi quest’ultima soddisfazione prima di morire. –
Devo dire che mentre parlavo col papà la nonna usciva in molte esclamazioni:
– Caro da Dio! È lo Spirito Santo che gli fa dire queste cose. Ascoltalo figlio mio, è tuo sangue. –
Un anno dopo la nonna venne a trovarci a Farra. Si mostrò buona con me. – Tu hai salvato tuo padre – disse – e salverai ancora molte anime. –
La nonna in quell’occasione gli portò un giochino. Quando partì, la mamma prese il gioco per darlo a Giulio, il più piccolo, che lo ruppe subito.
Dopo la morte della nonna Guido non ebbe più nemmeno il soldino che ella donava ai nipotini nelle feste.
Orfano di padre e con la morte della nonna, la sua vita divenne ancor più triste. La madre aveva per lui un astio incontrollabile e una predilezione speciale per il piccolo Giulio che era il più bello ed il più gracilino dei quattro maschi. Guido invece era un bambino forte, che cresceva bene. Forse per questo a tavola, nella povera cucina, doveva sedersi sempre nel posto più esposto agli spifferi che entravano dalle fessure della finestra. Negli inverni freddi l’aria gelida che gli arrivava dritta alle spalle diventava un tormento. Fino alla quinta elementare non ebbe neppure un letto normale e fu costretto a dormire raggomitolato in un lettino con le sponde che gli impedivano di allungare le gambe.
Come i suoi fratelli, doveva andare a turno a prendere l’acqua alla fontana, portare al primo piano la legna e fare ogni genere di servizi, come quello di salire a prendere il latte alla malga Pèterle che distava più d’un’ora di cammino, dove in estate alpeggiavano le mucche della valle.
Scrive don Guido: “Ebbi un’infanzia e una fanciullezza senza i giochi e gli spassi di quell’età per dover accudire alle faccende di casa, ma con la gioia di andare in chiesa alle funzioni e a cantare”.
Dagli scritti di Don Guido Bortoluzzi
Nessun commento:
Posta un commento