domenica 19 settembre 2021

IL DOLORE

 


1- E' evidente che i mali della vita, i disordini di ogni genere nel Creato, le sofferenze varie, la morte sotto ogni aspetto, non possono essere volute da Dio e non sono "cose" create da Dio. Non sono difetti o elementi congeniti alla natura di nessuna cosa o essere creato: sarebbero da imputare a Dio, che è il sommo Bene, infinito Amore. Nemmeno sono "cose" prodotte da un altro "dio" o demiurgo contrario a Dio (una specie di dualismo o di manicheismo di sapore gnostico), perché, semplicemente, il male non è un qualcosa, ma è una privazione, una negazione, un "vuoto" di bene; non una entità. 

    2- Quindi, se "per invidia del demonio il peccato entrò nel mondo e per il peccato la morte", questo è stato soltanto permesso da Dio, tollerato entro limiti precisi, a motivo di giustizia e anche a motivo di misericordia. 

    3- Perché permesso o, persino, da Lui stesso sopportato? Perché è il rischio dell'amore dato: che non sia corrisposto, che anzi sia ricambiato col rifiuto e con l'odio. Dal momento che siamo stati conosciuti, voluti, amati e creati da Dio Padre in Gesù Cristo su Figlio, nella sua adorabile Umanità, e creati liberi per contraccambiare l'amore, Dio ha accettato il rischio, davvero mortale, di non essere ricambiato in amore da parte di alcune creature. Per Dio, "il futuro" è da sempre presente, e nonostante sapere quello che avremmo fatto, il suo Amore non si è tirato indietro. Perciò nel farsi vero Uomo ha assunto fin dal primo istante tutto il nostro debito d'amore e il nostro corrispondente dolore. 

    4- Che cosa è il nostro dolore, il nostro soffrire? E' un vuoto di benessere, di bene, di vita, che solo Dio può riempire. Se lo permette (sempre con misura e limite) è allo scopo di poterlo successivamente riempire di bene, noi diciamo "di grazie": di Sé! Agli occhi di Dio, anche il dolore (che è un male in se stesso) diventa un bene: un'occasione per trionfare, per far trionfare il suo Amore, la sua Felicità, la sua Vita. 

   5- Per tanto, la Croce con Gesù, la Croce di lasciarci abbracciare dalla Volontà del Padre, può tante volte far soffrire, ma non rende infelici. Diventa vita quel che dice San Paolo: "Sovrabbondo di gioia nelle mie tribolazioni". E' ciò che disse Madre Teresa di Calcutta: "L'amore, se non fa soffrire, che amore è?" 

   6- Certo, non è la sofferenza che salva, ma l'Amore di Dio in Cristo Gesù. Non è la croce che ha santificato Gesù Cristo, ma è Lui che ha santificato la Croce e l'ha resa sorgente di ogni bene riconquistato. La solita confusione viene da confondere la sofferenza con la Croce: la Croce è, per Gesù, abbracciare la Volontà del Padre, lasciarsi abbracciare da essa, e allora il suo giogo è soave e il suo carico è leggero. Allora non è Lui che porta la Croce, ma è la Croce che lo porta in braccio e gli dà la forza e la vita, non gliela toglie. Insomma, una croce senza Cristo è una croce pagana, solo dolore, che non salva nessuno; invece con Cristo e perciò col suo Amore e con la sua Volontà, che è quella del Padre, diventa salvezza, vita, comunione con Dio. 

    7- E' per questo che San Paolo dice –e con lui tutti i santi– "sono crocifisso con Cristo e non sono più io che vive, ma è Cristo che vive in me", e dice anche "completo nella mia carne ciò che manca ai patimenti di Cristo in favore del suo Corpo che è la Chiesa". Significa che la sofferenza, mentre per molti è solo sentire quel vuoto di bene che soltanto Dio può riempire (e questa è la sofferenza che può purificare la propria vita, riparare quelle scene della propria esistenza rovinate dal peccato), per altri è condividere con Gesù, un poco almeno, la sua missione di Redentore, di Riparatore in favore degli altri, "del suo Corpo che è la Chiesa".   Così, per Gesù, mentre avrebbe voluto prosciugare addirittura l'inferno e togliere a noi qualsiasi sofferenza (tale è il suo Amore), d'altra parte quello stesso Amore lo porta a voler condividere il suo Amore e il suo patire, con quelli più uniti a Lui, nei quali il patire volontario è una questione di amore. 

8- Anch'io rimango sempre perplesso quando si enfatizza e si celebra la "gioia" e la Resurrezione di Cristo, "la festa", sorvolando l'opera di Redenzione dove il suo Amore lo ha portato... Perché contraporre il Sacrificio di Gesù al suo Amore, perché quell'enfatizzare "la Pasqua" dimenticando che per Gesù non è solo la Resurrezione, ma è il "passare da questo mondo al Padre"? Che cosa si nasconde dietro questa liturgia?  Non per nulla il Papa ha dovuto ricordare che su ogni altare dove si celebra (= memoriale che rende vivo e presente) il Sacrificio di Cristo ci deve stare un Crocifisso, a indicarlo.  

9- Infine, è vero che Dio "non vuole sacrifici, ma Misericordia", ma con ciò Gesù indicava quei riti e sacrifici che erano nell'antica Legge "un'ombra dei beni futuri". Dio chiede da noi un sacrificio, che cioè rendiamo di nuovo sacro, appartenente a Dio, quello che abbiamo reso profano, profanato, il nostro "cuore", la nostra volontà: è questo quel "rinnegare noi stessi, prendere la nostra croce di ogni giorno e seguirlo", che ci ha detto Gesù. 

Tutto il resto, se vogliamo, ce lo spiegherà Gesù personalmente, nel profondo della nostra coscienza, nella preghiera. 

    Che Gesù e Maria ci benedicano! 

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