Angeli e Demoni
«Mille saluti di paradiso a fratel Giosafat, abbiategli gran carità; ve lo raccomando più che me stesso e ditegli che preghi per me e che, quando andrà in Paradiso, baci la mano per me a Maria». Così scriveva da Roma S. Gaspare a fratel Sante Angelini, che stava a S. Felice.
«Fratel Giosafat, degno di tanta stima, fu uno dei primissimi laici, fratelli inservienti o coadiutori, di gran virtù, che lasciò nell'Istituto grande, odore di santità».
Da pochi giorni era stata aperta la prima Casa dell'Istituto a S. Felice quando, sull' imbrunire, un uomo sulla settantina, d'aspetto raccolto e dignitoso, suonò alla porta del vecchio Convento. Fu proprio Gaspare ad aprirgli e l'uomo, saputo chi egli fosse, gli si inginocchiò dinanzi, gli baciò la mano e lo implorò: «La fama di santità di questi Padri è giunta fino a noi nelle Marche; vi prego, padre santo, accoglietemi qui con voi, come vostro umile servo». Gaspare lo fissò un istante, l'abbracciò e disse: «Siate il benvenuto tra di noi, fratello, e Dio vi benedica». Il Fondatore aveva letto nella sua anima.
Infatti, fratel Giosafat Petrocchi, nato a S. Elpidio nelle Marche, allevati i figlioli e morta la sua ottima consorte, s'era dato all' apostolato tra le famiglie. «Era uomo di straordinaria pietà, di singolare innocenza, d'umiltà la più grande, di viva carità, semplice come una colomba». Insomma una di quelle anime candide che Dio ama e alle quali preferisce rivelarsi.
A S. Elpidio tutti sapevano che Giosafat dall' alto della terrazza della sua casa amava contemplare in preghiera la S. Casa di Loreto e che, nelle notti stellate, il Signore si compiaceva fargli vedere gli angeli, che dal cielo scendevano sul Santuario.
Il sant' uomo si presentava nelle case: il volto soave, i modi cortesi; la dolcezza della parola e la compostezza gli spalancavano tutte le porte. Com'era piacevole intrattenersi con quel vecchietto che sapeva radunare le famiglie, leggere buoni libri, raccontare storie delle vite dei santi e recitare con lui la corona del S. Rosario. E come sapeva cogliere il momento e la buona occasione per parlare in modo semplice e accorato dell'amore di Cristo e ricondurre a lui i peccatori!
Eccolo a S. Felice. «Sebbene d'età avanzata - dice il Merlini - si prestava a tutti i servigi, girava per la questua, insegnava il catechismo ai fanciulli e ai suoi confratelli coadiutori, e passava lunghe ore e a volte intere notti, in preghiera. Chi non trovava in casa Giosafat, sapeva dove cercarlo: era sempre nascosto nella cripta della chiesa di S. Felice, raccolto in fervida preghiera».
«Purtroppo, Dio permettendo - dice sempre il Merlini - soffrì pure moltissimo per parte di alcuni dei nostri. Iddio voleva con quelle tribolazioni maturarlo ancor meglio per il Cielo. Egli però fu sempre paziente e tollerò con mirabile ilarità, senza mai portarne lagnanze ai superiori».
«Predisse - citiamo sempre il Merlini - ad altro fratello inserviente, sicuro di sé, che avrebbe invece abbandonato la Congregazione, e ad altro, tanto incerto e combattuto, che avrebbe perseverato fino alla morte. Esortava poi che nessuno si sbigottisse per l'Istituto quando era in difficoltà, perché ci avrebbe pensato la Vergine». «Soffrì pure non poco da parte del Maligno, che gli appariva sotto varie forme e spettri». Anche D. Camillo Rossi narra che a volte Giosafat gridava forte, come per mettere in fuga qualcosa di orribile. S'udiva, alla fine, un gran rumore per tutta la casa: era segno che Satana aveva perduto la battaglia.
Come sapeva quest'uomo di Dio nascondere le sue sofferenze! Soffrì ancora di più negli ultimi giorni. La sua morte, già da lui predetta con largo anticipo, fu preziosa davanti a Dio e agli uomini. Molti asserirono d'aver ricevuto grazie per sua intercessione. Sepolto nella cripta di S. Felice, dopo alcuni mesi il corpo fu trovato ancora intatto.
Quest'uomo, che passò la vita nell' amore di Dio e del prossimo, tra la visione di angeli e il tormento dei demoni, fu pianto a lungo da quelle buone popolazioni che dicevano inconsolabili: «Abbiamo perduto il nostro santo Fratello Giosafat!».
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