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Ma già ormai s'erano verificate tutte le antiche profezie, e in buona parte quella di Cristo. Gli Apostoli e i discepoli erano già stati accusati e tradotti pe tribunali, e quasi tutti avevano incontrato il martirio: i primi fedeli avevano assaporata la persecuzione della sinagoga e quella di Nerone. Molti pseudo-profeti erano insorti: moltiplicata all'infinito era l'iniquità, e la carità era tanto spenta, che non lasciava luogo nei cuori nè anche ai sentimenti d'umanità (1). Il Vangelo era annunziato a tutta la terra conosciuta a quei tempi (2). L'abbominazione della desolazione stava nel luogo santo: il Tempio era profanato da ribelli, il sommo Sacerdozio era vilipeso e avvilito per le continue deposizioni, per le intrusioni d'indegni uomini fatte per favore e capriccio: il santo sacrifizio fu presto abolito, la religione conculcata. Già da sette anni ormai Gesù figlio d'Adamo non faceva che gridare: Guai alla città! guai al Tempio! Già da cinque anni diversi prodigi e segni spaventosi si erano veduti in Gerusalemme per la festa di Pasqua e di Pentecoste. Già si era osservato da un anno una meteora, a modo di spada affilata pendente sopra Gerusalemme; e castelli e file di soldati per l'aria combattentisi. Perchè i fedeli, secondo la parola di Cristo, si fuggirono tutti da Gerusalemme e si sparsero per le provincie. La Città restò piena solo d' Ebrei, e questi ammontarono pressochè a tre milioni. Non vi restava ormai più altro che l'assedio della città, quando Tito, che era succeduto al padre nel comando della guerra orientale, mosse alla volta di Gerusalemme con due legioni. I primi prosperi successi degli Ebrei, le false promesse de pseudo-profeti, resero cosi baldanzosi gli assediati, che non vollero sapere di tregua, nè di capitolazione. I romani stringevano vieppiù rigorosamente l'assedio, e la fame, la pestilenza, la strage infieriva sempre più; i prodigi celesti moltiplicavano, ed erano sempre più spaventosi. Ma essi erano sordi e ciechi, e sempre più ostinati alla pietà del cielo e degli uomini. La porta orientale del Tempio, che era grandissima e di bronzo massiccio, sì che venti uomini non bastavano a farla aggirare su cardini, si aprì repente con orrendo fragore da sè medesima. In una notte i Sacerdoti custodi del Tempio, ascoltarono voci orribili che gridavano: fuggiamo di qua! Erano gli angioli custodi del Tempio e della sinagoga. Il buon Tito faceva di tutto per salvare quella bella Città e quel popolo disgraziato, ma i settari non ne amavano e non ne volevano che la distruzione. Pena la morte più crudele a chiunque trattasse o fosse solo sospetto di voler passare dal lato del romani, o di volere la pace. I sicari scorrevano quella misera città insanguinandola ogni giorno più, saccheggiandola e ricoprendola di stragi, di morti e di ruine. Ma l'ora era giunta. I prodigi infiniti del valore degli assediati non valsero a frenar l'impeto dei romani, i quali stanchi ed irritati dal lungo assedio, e dalle arti ipocrite, e dagli insulti de ciechi Ebrei, si spinsero con tale violenza contro il primo recinto della città, che presto lo superarono. Gloriosi del successo, senza posa attaccano il secondo, e quindi il terzo, e respingono la guarnigione nel Tempio. Dire delle stragi, delle miserie, della ruina di quella bellissima delle città, degli urli delle grida di cui rintronarono i circostanti colli, del compianto, dello squallore in che la ritrovò Tito ravvolta, sarebbe certamente creduto una favola, un romanzo, un iperbole. Tanto era grande l'ira di Dio contro di questo popolo deicida e infedele! Vi restava però ancora intatto il Tempio, e gli ebrei, si crederà appena! erano contenti d'avere perduto tutto, conservando quel monumento carissimo della loro religione. Per fortuna avevano a fare con un Principe religiosissimo, quale era colui, che fu rettamente chiamato, la Delizia del genere umano. Tito non era meno ardente di conservare quel Tempio, che era venerato da tutto il mondo, e che era una delle sette meraviglie dell'universo. Tentò dunque le ultime prove di clemenza, nella vista ancora di salvare tante migliaia di donne e di fanciulli innocenti, che si erano lassù riparati. Tutto fu vano. Si viene all'assalto, si rinnovellano i prodigi di valore per parte del romani, di valore e di disperazione per parte degli ebrei; e se l'ora non era giunta dell'ira di Dio, i romani restavano tutti estinti col loro Tito. Ma o un tizzone scagliato da un romano, come la pensarono alcuni, o una fiamma calata dal cielo, come credettero altri, decise della sorte di quella sciagurata Nazione. Il fuoco appigliossi con tale ardore a quel vasto ed immenso edifizio, tutto vestito di cedro, e coperto di lamina d'oro, che fu impossibile agli ebrei ed a romani il poterlo spegnere. Il primo e il più grande Tempio del vero Iddio che avesse il mondo, cadde così preda delle fiamme. Mentre però si purificava dalla lordura di fuori col fuoco, di dentro si lavava col sangue. Tito ordinò che quella immensa moltitudine che era là raccolta fosse mandata tutta a filo di spada. I romani non si fecero pregare: seicento Sacerdoti e una turba infinita di donne, vecchi e fan ciulli, fu mietuta come fieno; cosicchè attesta Giuseppe, testimonio di veduta, che la strage fu così grande, che il sangue trascinava giù da gradini del Tempio i cadaveri. Un grido che ripercosse di colle in colle, e che fu ripetuto per tutta la Giudea, si destò al primo comparire delle fiamme: il Tempio è perduto, tutto è finito! Egli cadde in fatti il giorno medesimo del mese di Agosto, in che era caduto l'altra volta sotto Nabucco. I romani l'eguagliarono al suolo, con tutto il rimanente della città. Le profezie di Daniele e di Cristo non potevano avere un più perfetto e pieno adempimento. Le reliquie di quella Nazione infelice e maledetta e ripudiata da Dio furono disperse tra popoli in durissima schiavitù. Nella sola Gerusalemme, durante l'assedio, perirono un milione e cento mila persone, senza quelle che non fu possibile contare, o morte di pestilenza, o sepolte frà le macerie, od arse nell'incendio; novantasette mila furono gli schiavi. Nelle città vicine se ne numerarono de morti trecento mila. Quei sicari o settari che si aprirono la via alla fuga fra le schiere romane, ripararono dentro le inespugnabili rocche della Giudea, singolarmente in Macherunte, e di là non ces savano di molestare i romani; perchè questi indignati con incredibili sforzi e con sommo valore gli chiusero d'assedio, sicchè ridotti agli estremi, parte si trucidarono da loro medesimi, e parte furono fatti a pezzi, e spianate le loro fortezze. In tutta quanta la Palestina non vi restarono in piedi che due sole città, tutte le altre con le castella, e case di campagna furono smantellate; tutta la popolazione dispersa, e quella floridissima terra, divenne un deserto. A questo non fu nè anche paga l'ira di Dio. Moltissimi ebrei stanziavano presso i Parti, moltissimi si erano diramati per l'Egitto, la Mesopotamia, Babilonia, la Siria; ma là ancora li raggiunse la divina vendetta. E una compassione, è un orrore leggere la storia ebraica a questo periodo. Per futili pretesti, per inconcepibili modi, per un odio inesplicabile, se non si avesse ricorso allo sdegno di Dio, i popoli che dianzi li avevano come amici, si rivoltarono contro di loro nel modo il più barbaro e feroce. A migliaia e migliaia, senza distinzione di sesso, di età, di condizione, vennero scannati, crocefissi, straziati. In queste carneficine si distinse sopra tutte le città Alessandria d'Egitto, ove generale ed orribile fu la strage (1). A tutti questi mali si aggiungano i terremoti che ingoiarono intiere città, e la carestia che fu universale, e così fiera, che le madri giunsero all'eccesso di divorarsi i propri figliuoli; e fuvvi una pestilenza così universale che desolò tutta la terra (2). Tale è il succinto storico di questo popolo che era figura e tipo del cristiano; di Palestina figura e sim bolo d'Italia; di Gerusalemme imagine ed ombra di Roma: tale fu la fine della seconda epoca memoranda del Mondo, della legge scritta, del quarto Millennio. L' epoca prima della legge di natura ebbe fine nel secon do Millennio col cangiamento di religione, con la persecuzione de fedeli, con la perversione del popolo, con i flagelli del cielo, e con la dispersione di quelle genti. L'epoca seconda accoppiò in sè medesima tutti questi mali, ma in un modo più grande, più esteso, più intenso e fatale. La persecuzione di quella prima ebbe incominciamento nel secolo XIX e durò duecen tanni, e quella della seconda incominciò nel secolo XIX della sua data, XXXIX del Mondo, e durò duecento settantanni. Questa è storia, ma storia simbolica, allegorica e profetica di quello che dovrà provare il Cristianesimo, epoca terza ed ultima del mondo.
P. B. N. B.
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