MICHELA
La mia lotta per scappare dall'Inferno
Nel baratro dell'inferno
La mia vita era ormai scandita secondo ritmi ben consolidati. Mi alzavo la mattina abbastanza presto e alle 7 ero già al mercato a scegliere i prodotti migliori per il menu del giorno. Poi andavo al ristorante per lavorare, insieme con gli altri chef, alla preparazione delle basi per i piatti del giorno. A metà mattinata la Dottoressa mi telefonava per sapere come mi sentivo e per scambiare qualche chiacchiera sulle mie vicende personali. Concluso il lavoro per il pranzo dei clienti rientravo a casa: una doccia, una lavatrice e una stirata, qualche pulizia. Verso le 18 tornavo al ristorante e vi rimanevo fino alle 23. E il giorno seguente ricominciavo, tranne ovviamente le domeniche e i lunedì, nei quali dovevo riprendermi dal rito del sabato notte. La cocaina mi aiutava a stare sveglia anche per una quarantina d'ore di filasse necessario.
Dalla Dottoressa andavo ormai stabilmente quattro volte a settimana: lunedì, mercoledì, venerdì e sabato. Avevo l'obbligo di comunicarle ogni cosa che facevo. In particolare, se mi capitava di iniziare qualche nuova amicizia dovevo fare un rapporto preciso: quasi sempre mi ordinava di interrompere il contatto. Ma non si trattava di un peso, per me: avevo totale fiducia in lei ed era naturale dirle tutto. In ogni caso, se mi fosse capitato di nasconderle qualcosa, sono certa che l'avrebbe comunque scoperto durante l'ipnosi.
La dipendenza nei suoi confronti era tale che a un certo punto mi propose di aprire un conto cointestato a firma disgiunta e io non ebbi alcuna difficoltà (in seguito ho scoperto che questo è un metodo utilizzato sempre nelle sette per indurre dipendenza finanziaria nei loro membri). In quel momento il mio stipendio era di otto milioni di lire al mese, più qualche altro milione che ricavavo dalle prestazioni occasionali nelle feste private. Da allora non mi preoccupai più di questioni economiche o degli acquisti. Per tutto ciò che mi serviva provvedeva lei: dai vestiti alla cocaina, dall'onorario per le sue sedute alla quota per i riti, che si aggirava intorno alle cinquecentomila lire per volta.
In realtà, a me veniva scalato il valore delle ostie consacrate che portavo alle messe nere. C'era una vera e propria "quotazione", che all'epoca poteva andare dalle cinquantamila lire, se l'avevo rubata in una parrocchia qualsiasi, fino alle duecentomila lire, se invece proveniva dalla cattedrale o da un santuario importante. Agli inizi l'indicazione della chiesa dove andare me la suggeriva la Dottoressa, perché evidentemente avevano studiato le situazioni delle Messe e verificato le possibilità tramite accurati sopralluoghi. Per esempio occorreva sapere chi fosse il celebrante a un determinato orario: alcuni sacerdoti erano più attenti nel rispettare le norme vaticane di controllare che chi si comunica ingoi immediatamente l'ostia, altri erano meno rigorosi, oppure non avevano una buona vista.
La Dottoressa mi aveva consegnato un aggeggio da mettere in bocca quando mi mettevo in fila per la comunione. C'era un'apertura per far uscire la lingua e spingendo la lingua verso l'interno, scattava un meccanismo che avvolgeva l'ostia con una pellicola di plastica, proteggendola dalla saliva. In realtà questo strumento l'ho utilizzato in rari casi, perché di preti puntigliosi ne ho trovati davvero pochi. La quasi totalità delle volte mi appoggiavano l'ostia sulla mano come fosse stata la moneta di un juke-box e poi via con il successivo nella fila, senza curarsi di cosa ne facessi.
Per le sette sataniche il permesso ai fedeli di ricevere la comunione sulla mano ha rappresentato davvero un punto di svolta. Per quello che ho saputo in seguito, l'approvazione di questo provvedimento è stata molto travagliata all'interno della Chiesa. Paolo VI, accogliendo il parere della maggioranza dei vescovi consultati, nel 1969 si era pronunciato a favore della comunione sulla lingua. Aveva concesso libertà d'azione per la comunione sulla mano soltanto alle Conferenze episcopali delle nazioni dove questo uso si era già sviluppato, che sostanzialmente erano l'Olanda e il Belgio. In Italia la questione fu più volte proposta, ma aveva trovato una forte opposizione, capeggiata dall'arcivescovo genovese Giuseppe Siri.
Lo scenario che mi è stato descritto da un esperto è che - pochi giorni dopo la morte del cardinale Siri, avvenuta il 2 maggio 1989 - si tenne la consueta assemblea generale annuale dei vescovi italiani (15-19 maggio 1989). Con un solo voto di scarto, e approfittando dell'assenza di molti vescovi, venne approvata una delibera con cui si stabiliva la possibilità anche nelle diocesi italiane di distribuire l'eucaristia sulla mano. L'innovazione fu introdotta nelle chiese a partire dal 3 Dicembre 1989 e da quel momento il furto delle particole fu un gioco da ragazzi. Oggi mi capita spesso di pensare che, se i cattolici credessero nella reale presenza di Gesù Cristo nell'ostia consacrata come ci credono i satanisti, il mondo sarebbe certamente molto più evangelizzato.
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