La celebrazione della S. Messa con San Pio da Pietrelcina
Partito da Casso nel lontano 1953, si ritirò a Farra per due anni accanto alla mamma anziana e malata che nel frattempo era rimasta sola perché l’altro figlio, Giulio, si era sposato. Fu durante questo periodo che si recò a San Giovanni Rotondo per incontrare Padre Pio.
Al suo arrivo provò dapprima una delusione: il Frate, che ormai da anni attirava in quel luogo numerosi pellegrini, lo fece attendere per quattro giorni prima di riceverlo.
Quando ormai era deciso a rinunciare all’incontro e a ritornarsene a casa, fu avvicinato spontaneamente da Padre Pio che lo invitò per l’indomani a celebrare insieme a lui la S. Messa.
Non fu una concelebrazione come la conosciamo ai giorni nostri per cui i Sacerdoti concelebrano sullo stesso altare. Padre Pio invitò don Guido a celebrare su di un altare laterale, seguendo però all’unisono gli stessi atti e le stesse preghiere.
Durante la Messa, che durò più di due ore, Padre Pio si rivolse più volte a don Guido
con tono robusto dicendogli:
Vada più piano, vada più piano! –
Non era infatti nello stile di don Guido avere lunghe pause, nonostante celebrasse sempre la S.Messa con calma e grande devozione. Tornò a casa più sereno.
I luoghi nei quali sono avvenute le rivelazioni
Dopo questi due anni di aspettativa, nel 1955 venne mandato Parroco a Chies d’Alpago, un altro paesino della provincia di Belluno, in alto e all’estremo limite del bellissimo anfiteatro della Valle d’Alpago ai cui piedi, in riva al lago di S. Croce, c’era Farra e a Farra la sua casa paterna dove abitava ancora la sua vecchia madre, sempre più anziana e malata, che morirà nel gennaio del 1970. Spesso, nella bella stagione, vi scendeva in bicicletta o in corriera. Mai ebbe un mezzo di trasporto proprio né una perpetua. Ogni suo risparmio era per la chiesa o per i suoi libri di studio.
Rimase Parroco di Chies d’Alpago per più di vent’anni, fino al 1976. Fu durante la sua permanenza a Chies d’Alpago che don Guido ebbe quasi tutte le rivelazioni, sia sotto forma di ‘locuzioni interiori’, di ‘sogni profetici’ che di ‘visioni in stato di veglia’.
Solo la rivelazione del ‘peccato originale’ l’ebbe nella casa paterna a Farra d’Alpago. Intanto andava nascendo in lui la convinzione di essere indegno agli occhi del Signore dal momento che quanto gli era stato predetto in gioventù non si era ancora avverato. Ma i tempi del Signore non sono i nostri... Ed ecco che all’improvviso, quando le innumerevoli mortificazioni avevano temprato il suo animo e la sua fede, il Signore arrivò al Suo appuntamento.
Tutte le otto rivelazioni avvennero fra il 1968 e il 1974.
Per tutta la vita, prima delle rivelazioni, egli si era tormentato nel tentativo di risolvere razionalmente i quesiti esistenziali dell’uomo, come la presenza del dolore che la Bibbia considerava una colpa ereditata dal peccato originale.
“Ma, com’è possibile ereditare una colpa? – si chiedeva don Guido. – Si possono ereditare solo le conseguenze di una colpa. Ma quale poteva essere questa colpa per lasciare delle conseguenze anche fisiche sull’uomo?”
Egli sentiva che c’era, al di là di questi interrogativi, un vuoto di conoscenza perché se Dio è Giustizia, oltre che Misericordia infinita, il principio dell’eredità della colpa è inaccettabile. Si diceva convinto che quando l’uomo non capisce l’operato del Signore è perché non conosce completamente i fatti che la Provvidenza, per carità, ha celato nel mistero. Don Guido, nella sua totale fiducia in Dio, mai aveva dubitato della Sua Misericordia, e neppure della Sua Parola depositata nella Bibbia e soleva ripetere le parole di Isaia (55, 10-11): “Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrorato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della Parola uscita dalla bocca di Dio: non tornerà a Lui senza effetto, senza aver operato ciò che Egli desidera e senza avere compiuto ciò per cui l’ha mandata”.
Con don Guido si apre un periodo nuovo nel rapporto dell’umanità con Dio, nel quale Dio vuole essere anzitutto conosciuto per essere amato in modo consapevole non solo col cuore ma anche con un’adesione completa della mente.
Il Signore rassicura don Guido, preoccupato di non saper essere un testimone fedele: – TI AIUTERÒ A RICORDARE E A CAPIRE. –
Ciò significa che l’azione dello Spirito Santo non si esaurisce col primo tentativo di don Guido di mettere per iscritto quanto ha appreso.
Non è una semplice trascrizione che Dio vuole, ma uno sforzo a ragionare e a ricollegare con la logica quanto sta imparando sotto la Sua paterna guida. Infatti certe comprensioni avvengono per gradi e alcune solo quando il Signore gli fa rivivere questo o quell’episodio, la prima volta incompreso, commentandolo.
Don Guido fa una prima ed una seconda relazione al suo Vescovo, ma senza alcun esito. Fra il 1976 e il 1977, don Guido viene mandato per diversi mesi a Pieve di Cadore. È un periodo grigio perché nessuno dei suoi confratelli, neanche l’Arciprete di Pieve, è disposto ad ascoltarlo.
Nel 1977 viene inviato Parroco a Vìnigo, un paesino della valle del Boite che scende da Cortina, situato su una balza lungo le pendici d’un’ampia conca verde.
È la sua fortuna: una premura della Provvidenza!
Questo villaggio di poche ‘anime’ non richiede un grande lavoro, per cui gli rimane molto tempo per la preghiera e per gli studi. La canonica è una grande e solida casa, ben esposta al sole, che domina dall’alto un panorama splendido.
Questo è il momento più importante delle sue riflessioni. Può finalmente dedicarsi al riordino dei suoi scritti e alla stesura definitiva del suo manoscritto.
I profondi concetti vengono maturati sotto la guida costante della Sapienza.
È un decennio relativamente sereno e grandemente fruttuoso.
Don Guido Bortoluzzi
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