Il problema dell'ora presente. Antagonismo tra due civiltà
(I Parte - Guerra alla civiltà cristiana)
LA FRAMASSONERIA SOTTO IL SECONDO IMPERO
Il moto rivoluzionario del 48 era prematuro. La reazione ch'esso produsse nella pubblica opinione, in Francia e nei diversi paesi dell'Europa, fece comprendere alla framassoneria che, mantenere la Repubblica fra noi, avrebbe fatto retrocedere l'opera sua negli altri Stati. Essa dunque decise di sostituire alla Repubblica una dittatura ed elesse, perchè ne fosse il titolare, un uomo legato ad essa da terribili giuramenti, che avrà cura più tardi di fargli ricordare: il carbonaro Luigi Napoleone Bonaparte. Si può vedere nell'opera di Deschamps e Claudio Jannet (t. II. pp. 315 a 324), in quali guise questa dittatura fu preparata e patrocinata dalla massoneria internazionale e particolarmente da un suo gran capo, Lord Palmerston, e come la setta che tanto si era adoperata per limitare il potere di Luigi XVIII e di Carlo X, si prestò a stabilire una vera autocrazia. (1)
Intanto, salendo al trono, Napoleone III avea compreso, o almeno parve avesse compreso, dove era riposta la salute della Francia, e quello che esigeva l'interesse della sua dinastia. Egli avea detto delle belle e buone parole, avea dato al clero delle soddisfazioni, ma nessuna di quelle che accennassero a colpire le conquiste della Rivoluzione sopra la Chiesa. Fu per questo che avendo domandato a Pio IX di venire a consacrarlo, il Papa avea risposto: "Ben volentieri, ma a patto che siano abrogati gli articoli organici". Napoleone preferì rinunciare alla consacrazione.
Nell'opera che avea precedentemente pubblicato sotto il titolo: Idées napoléoniennes, L. Napoleone avea messo a nudo il fondo de' suoi pensieri. "Gli uomini grandi, hanno questo di comune colla divinità, ch'essi non muoiono mai interamente; sopravvive il loro spirito, e l'idea napoleonica è uscita fuori dalla tomba di Sant'Elena nelle stessa guisa che la morale del Vangelo sorse trionfante malgrado il supplizio del Calvario ... Napoleone, comparendo sulla scena del mondo, vide che la sua missione era quella di farsi l'esecutore testamentario della Rivoluzione ... Egli stabilì in Francia e introdusse dovunque in Europa i principali beneficii della grande crisi dell'89 ... L'imperatore dev'essere considerato come il Messia delle nuove idee". (2)
Nuove idee, nuovo Vangelo, nuovo Messia, nessun'altra parola può meglio rivelare quello che la Rivoluzione vuol introdurre nel mondo, e quello di cui Napoleone III, dopo Napoleone I, si è costituito fedele esecutore. Egli fu più dissimulatore, ma non meno risoluto del suo cugino, il quale, al Senato, il 25 febbraio 1862, faceva sue queste parole di Thiers nel 1845: "Intendete bene ciò ch'io penso. Io sono del partito della Rivoluzione, tanto in Francia che in Europa. Mi auguro che il governo della Rivoluzione resti in mano dei moderati; ma quando questo governo passerà nelle mani d'uomini ardenti, fossero pure i radicali, non abbandonerò per questo la mia causa; io sarò sempre del partito della Rivoluzione".
La tradizione continua.
Nell'occasione del centenario del Codice civile, il principe Vittorio Napoleone scrisse ad Alberto Vandal una lettera in cui disse: "Si celebra il centenario del Codice che compendia l'opera sociale della Rivoluzione francese ne' suoi dati fondamentali, l'emancipazione delle persone e dei beni ..." Gli uomini del 1789 aveano proclamato i principii del nuovo ordine sociale. Esso s'impadronì di questi principii; diede loro una forma netta e precisa; ne fece il monumento legislativo che l'Europa salutò più tardi col nome di Codice napoleonico. Il Codice napoleonico ha consacrato in Francia le dottrine del 1789. Egli le portò assai al di là delle nostre frontiere".
Napoleone I ha sempre, come si vede, degli eredi del suo pensiero e dell'opera sua. Come Napoleone III, come il principe Girolamo, il principe Vittorio lo ha ricevuto in deposito e ne è il custode fedele.
Fin dal primo giorno Napoleone III mostrò ch'egli era effettivamente l'uomo della Rivoluzione, quegli che si credeva o si dava la missione "di radicarla in Francia e d'introdurla dovunque in Europa ". Appena le truppe francesi aveano aperte a Pio IX le porte di Roma, scrisse ad Edgar Ney: "Io riassumo così il ristabilimento del potere temporale del Papa: amnistia generale, secolarizzazione dell'amministrazione, Codice napoleonico e Governo liberale". Amnistia generale, era un nuovo premio d'incoraggiamento dato a' suoi F... carbonari; secolarizzazione dell'amministrazione, era la laicizzazione senza altri limiti che l'annientamento assoluto del potere ecclesiastico;(3) Codice napoleonico significava: distruzione dell'antica proprietà ed abolizione d'una legislazione a cui presiedevano il nome e l'autorità di Dio; Governo liberale, Napoleone nol voleva per sè, e pretendeva imporlo al Papa.
La massoneria voleva anche di più. L'attentato di Orsini venne a ricordarglielo; ed egli dovette mostrarsi fedele a' suoi giuramenti. Si fece dunque un dovere di compiere quello che la prima Repubblica, poi il primo Impero aveano tentato:
la distruzione del potete temporale dei Papi. È nota questa deplorevole storia: l'imperatore, preso fra gl'interessi evidenti della Francia e della sua dinastia, e la brama di farsi, dietro l'esempio dello zio, l'esecutore testamentario della Rivoluzione, andava innanzi, indietro, giuocava a doppio giuoco, l'uno officiale per mezzo de' suoi ministri e ambasciatori, l'altro per mezzo d'una diplomazia occulta, i cui agenti erano presi dalle società segrete.(4) Lo scopo è raggiunto. Da ben trentacinque anni l'Italia è una, il potere temporale non è che un ricordo o un'ombra. Non preveniamo i consigli della Provvidenza; noi non sappiamo se, quando, e come ella renderà al Sommo Pontificato i suoi mezzi d'azione ordinari e necessari nell'ordine regolare delle cose; ma la setta si tiene omai sicura che tutto è finito. E se essa vuole un cambiamento in ciò che ha fatto, gli è che il regime attuale dell'Italia si trasformi in Repubblica. Unendosi alla Repubblica sorella di Francia, alla Repubblica spagnuola che sorgerà nel giorno e nell'ora fissata dalla massoneria, e senza dubbio ad altre ancora, essa contribuirà a formare il nucleo della Repubblica universale, o della massoneria che governa apertamente il mondo da un punto all'altro dell'universo.
Tutta la politica estera di Napoleone III fu ispirata e diretta dalla volontà di liberare l'Italia e di compiere il suo giuramento di carbonaro. Egli avea fatto per essa la guerra del 1859, senza riuscire ad attuare intieramente il suo programma. Vide nel conflitto austro-prussiano il mezzo di liberare la Venezia, e fu questo il motivo unico della sua segreta collaborazione ai cinici progetti di Bismarck. "L'Imperatore l'ha aiutato - scrisse Emilio Ollivier - non per debolezza, nè per raggiro, ma con piena cognizione di causa. Liberamente egli ha contribuito alla sua fortuna, come a quella di Cavour. Egli vedeva in lui lo strumento provvidenziale pel cui mezzo si compirebbe la liberazione d'Italia". Allorchè giunse a Parigi, il 3 luglio 1866, la nuova della vittoria riportata dai Prussiani a Sadowa sull'esercito austriaco, vittoria che sì duramente colpiva la potenza francese, i ministri insistettero perchè si mobilizzasse l'esercito, e l'imperatore assentì dapprima ai loro desiderii; ma il principe Napoleone intervenne il 14 luglio e fece pervenire all'imperatore una nota nella quale si diceva: "Quelli che sognano che l'imperatore abbia il cómpito di far trionfare colla forza la reazione e il clericalismo europeo, devono spingerlo ad un'alleanza coll'Austria e ad una guerra contro la Prussia; ma quelli che veggono in Napoleone III, non il moderatore contro la Rivoluzione, ma bensì il suo capo illuminato, costoro sarebbero ben inquieti il giorno ch`egli entrasse in una politica, la quale sarebbe la rovina della vera grandezza e della gloria di Napoleone III". Napoleone si arrese ai consigli dei cugino.(5)
La guerra del 1870 non ebbe altro scopo nei disegni della setta; la Gazette d'Augsbourg (Augusta) ne diede questa spiegazione: "Sui campi di battaglia del Reno non abbiamo soltanto combattuto contro la Francia, ma altresì contro Roma, che tiene schiavo il mondo; noi abbiamo tirato sul clero cattolico".(6)
Rovesciare il trono pontificio, favorire il trionfo del protestantesimo in Europa era molto certamente, ma non bastava per appagare le esigenze della setta. Napoleone III chiese a Rouland, ministro dell'istruzione pubblica e dei culti, di stendere per suo uso un piano di campagna contro la Chiesa di Francia. Questo piano, trovato nei cassetti dell'imperatore nel 1870, gli era stato consegnato nell'aprile 1860.
Esso porta questo titolo significativo: Mémoire sur la politique à suivre vis-à-vis de l'Eglise.
Comincia col dimandare se bisogna "cangiar sistema di punto in bianco: espellere le congregazioni religiose, modificare la legge sull'insegnamento, applicare rigorosamente gli articoli organici".(7) No. "Bisogna arrivarvi a poco a poco e senza strepito". Chi non riconoscerà in questa frase l'accorgimento della setta che diede ai Gambetta ed ai Ferry questa parola d'ordine: "A passo lento, ma sicuro" ? Sono adunque ben ciechi coloro che, in questa persistenza di continui sforzi durante un secolo e più, si rifiutano ancora di vedere la mano d'un potere sempre vivo ed operoso, e che, nelle attuali ostilità, non trovano altra ragione che rappresaglie da prendersi contro coloro i quali, senza cospirare contro il regime repubblicano, non hanno per la repubblica massonica che una relativa ammirazione.(8)
Il Mémoire addita come un pericolo "la credenza dell'episcopato e dei clero nell'infallibilità del Papa", "lo sviluppo delle conferenze di S. Vincenzo de' Paoli e delle società di S. Francesco Regis", "i progressi delle congregazioni religiose dedicate all'insegnamento popolare".
"Egli è impossibile all'elemento laico - dice a questo proposito Rouland - di lottare su questo terreno contro l'insegnamento religioso che, in realtà o in apparenza, offrirà sempre alle famiglie maggiori garanzie di moralità e di abnegazione". E un po' più avanti: "La nostra influenza ne scapiterebbe assai rispetto al suffragio universale, se tutto l'insegnamento primario cadesse nelle mani delle congregazioni". Come sono eloquenti queste due frasi!
Il piano fu tosto messo in esecuzione.
Da prima la società di S. Vincenzo de' Paoli. - Il ministro dell'interno avvisò i prefetti de' suoi "intrighi tenebrosi", e volle sottomettere il consiglio centrale, i consigli provinciali e le conferenze locali, all'autorizzazione del Governo. La società preferì la morte alla degradazione, e cadde come dovea cadere. Dio ne la ricompensò più tardi col farla rivivere.
Poi venne la legge del 1850 sulla libertà d'insegnamento.
Rouland dice nel suo Mémoire ch'essa è un "gran male" ma che volerla sopprimere, susciterebbe "una lotta immensa, accanita": parole che dimostrano come perseguitando la religione, tutti questi uomini dei Governo massonico sanno di offendere il sentimento pubblico. Non potendo sopprimere la libertà d'insegnamento, il Governo imperiale lo attaccò astutamente con decreti amministrativi. Le congregazioni. - Rouland consigliava di non tollerar più alcun nuovo stabilimento diretto da religiosi, d'essere severo per le congregazioni femminili, e di non più approvare se non con molta difficoltà i doni e legati che fossero fatti agli uni o alle altre.
Il clero secolare. - Si cerca ogni via di seminare la zizzania nel campo della Chiesa, opponendo gl'interessi del clero inferiore a quelli dell'Episcopato. "Niente sarebbe più saggio e giusto insieme ~ dice Rouland - che aumentare l'assegno del clero inferiore". Ma, nel tempo stesso, domanda che si susciti "una reazione antireligiosa che eserciti l'ufficio di polizia sulle colpe del clero e formi intorno ad esso un cerchio di resistenza e di opposizione che lo comprima". Per ciò che concerne i vescovi, Rouland avea dettato questo modo di agire: "Scegliere risolutamente a vescovi uomini pii, onorevoli (non si dice punto: istruiti e di fermo carattere), ma noti per il loro attaccamento sincero all'imperatore e alle istituzioni della Francia ..., senza che il Nunzio vi abbia nulla a vedere". E per mettere in atto il progetto, si cessa d'invitare ogni cinque anni, come si usava, gli arcivescovi e vescovi a designare confidenzialmente gli ecclesiastici che credono i più degni di promozione all'episcopato; si vieta inoltre ai vescovi di riunirsi. Sette fra arcivescovi e vescovi avendo creduto di poter firmare una risposta collettiva pubblicata nel Monde sulla necessità di tener presenti al tempo delle elezioni gl'interessi della Chiesa, Rouland scrisse loro che con quell'atto essi han tenuto una specie di concilio particolare, senza riguardo agli articoli organici, e li citò dinanzi al Consiglio dì Stato.
Il pensiero dell'imperatore e de' suoi cortigiani andò più oltre. Venne il momento in cui pensarono ad una rottura con Roma.
Un prelato che passava allora per assai devoto alla dinastia, Mons. Thibault, vescovo di Montpellier, fu chiamato a Parigi. Il ministro dei culti cominciò ad ingannare il povero vescovo ed a biasimare l'ostilità dei Pie, dei Gerbet, dei Salinis, dei Plantier, dei Dupanloup contro la politica del Governo francese. Poi Napoleone lo ricevette in udienza privata. Il sovrano gli spiegò che si trattava di salvare la Chiesa di Francia e di opporre una diga ai progressi dell'irreligione. Il prelato promise di consacrarsi all'opera che si aspettava da lui e prese l'impegno di far rifiorire "le tradizioni e le dottrine di Bossuet".
Ma appena Mons. Thibault era uscito dalle Tuileries, la sua coscienza lo rimproverò d'aver dato l'assenso a ciò che non era altro che un progetto di scisma. Immediatamente, ordina al cocchiere di condurlo dall'arcivescovo di Parigi. Era allora il cardinal Morlot che occupava la sede di S. Dionigi. "Eminenza - disse Mons. Thibault - io sono un gran colpevole. Ho accettato dall'imperatore la missione di favorire la rottura della Chiesa di Francia colla Santa Sede ...". Queste ultime parole spiravano sulle labbra del prelato, quando all'improvviso Mons. Morlot vede il suo interlocutore impallidire e cadere al suolo. Mons. Thibault era morto.
Nel medesimo tempo che per ogni via si cercava di umiliare la Chiesa, s'incoraggiava apertamente la framassoneria. Essa viene riconosciuta ufficialmente dal ministro dell'interno, duca di Persigny; e il principe Murat, inaugurando le sue funzioni di Grande Maestro, disse francamente: "L'avvenire della massoneria non è più dubbio. L'èra novella le sarà propizia. Noi riprendiamo l'opera nostra
sotto felici auspicii. È venuto il momento che la massoneria deve mostrare ciò che è, ciò che vuole, ciò che può".
Viene il Sillabo che dà l'elenco degli errori contemporanei. Il ministro dei culti si permette di portarvi il suo giudizio, e lo comunica ai vescovi. Scrive loro che "il Sillabo è contrario ai principii sui quali riposa la costituzione dell'Impero". Per conseguenza proibisce di pubblicarlo.
Rouland dice dalla tribuna, e si grida fin nei villaggi, che il Sillabo "impedisce il cammino alla civiltà moderna". Sicuramente alla civiltà del Rinascimento, della Riforma e della Rivoluzione. Si lascia dire e si fa dire che "o la Chiesa modificherà la sua dottrina, o la Chiesa perirà"; questo ultimatum è fatto lanciare dal Siècle. Ma la Chiesa, immutata nella sua dottrina, vive sempre, e l'Impero è caduto.
È inutile di prolungare questa rassegna e di parlare della lega dell'insegnamento, incaricata di preparare la scuola neutra, dei collegi femminili, della direzione impressa alla stampa, della composizione delle biblioteche popolari, delle bettole e delle case di perdizione moltiplicate dovunque, mezzi tutti destinati a strappare l'anima del popolo all'impero della religione.
Tutto questo prepara la Comune che formulerà così la sua prima legge: "Art. I. La Chiesa è separata dallo Stato. Art. II. È soppresso il bilancio dei culti. Art. III. I beni appartenenti alle congregazioni religiose mobili ed immobili sono dichiarati proprietà nazionale. Art. IV. Un'inchiesta sarà fatta immediatamente su questi beni per constatarne il valore e porli a disposizione della nazione". Come sanzione (di questa legge) vennero le fucilate.
È il programma che si realizza oggidì da un governo che sembra regolare.
La setta si serve egualmente dei governi regolari ed irregolari, dei legittimi e dei rivoluzionari per compiere i suoi disegni. Il rapido esame che abbiamo fatto degli eventi che seguirono dal Concordato all'Assemblea nazionale del 1871, deve convincere tutti i nostri lettori.
Note al capitolo 18
(1) Abbiamo parlato del convegno tenuto a Strasburgo nel 1847. Nel 1852 si tenne a Parigi un altro convegno, dei capi delle società segrete europee. Vi furono decretate la dittatura, sotto il nome d'impero, nella persona di Luigi Napoleone e la rivoluzione italiana. Mazzini, allora sotto il colpo d'una condanna a morte pronunciata contro di lui in Francia, non volle recarvisi che col salvacondotto firmato da Luigi Napoleone stesso. Tre membri solamente del gran convegno persistettero con lui a chiedere lo stabilimento d'una repubblica democratica. Ma la grande maggioranza pensò che una dittatura farebbe meglio gli affari della Rivoluzione e l'impero fu decretato.
Il 15 ottobre 1852 dieci mesi dopo il colpo di stato del 2 dicembre e sei settimane prima della proclamazione dell'impero, il Consiglio del Gran Maestro del Grand'Oriente votò un indirizzo a Luigi Napoleone che terminava così: "La framassoneria vi manda un saluto; non arrestatevi a mezzo d'una carriera sì bella; assicurate la felicità di tutti ponendo sulla vostra nobile fronte la corona imperiale; accettate i nostri omaggi e permetteteci di far udire il grido dei nostri cuori: Viva l'Imperatore!".
(2) Œuvres de Napoléon III, t. I. Tre anni fa, l'erede dei Napoleonidi diceva in un manifesto: "Voi conoscete le mie idee. Io credo opportuno oggi di precisarle per i miei amici. Ricordatevi che voi siete i difensori della Rivoluzione del 1789. Napoleone, secondo la sua propria espressione, ha purificata la Rivoluzione .. : egli ne ha fortemente conservato i principii".
(3) Secondo i rilievi stabiliti allora dal Fr. de Corcelles, vi erano nell'amministrazione degli Stati pontifici, 6836 funzionari laici contro 289 ecclesiastici, compresivi 179 cappellani di prigione e annessi al Vicariato di Roma. Gli ufficiali dell'esercito non figuravano in questo quadro comparativo.
(4) Nel settembre 1896, il Correspondant pubblicò sotto il titolo: Un ami de Napoléon III, le comte Arese, dei documenti inediti sulle relazioni intime che esistevano durante il secondo impero tra il carbonaro coronato e il settario italiano. Tra questi documenti havvi una lettera che rivela tutta l'ipocrisia da lui usata nella questione romana. Mentre i suoi ministri prodigavano dichiarazioni atte a rassicurare i cattolici francesi, egli teneva col conte Arese delle conversazioni che quest'ultimo riassumeva come segue in una lettera al conte Pasolini: "Addormentate il Papa; lasciateci avere la convinzione che voi non lo assalirete, ed io non chiedo nulla di meglio che di andarmene (di ritirare le truppe da Roma). Dopo, voi farete ciò che vorrete".
Questa frase attribuita all'imperatore dal suo amico Arese, non richiama alla memoria il motto di Mons. Pie: "Lavati le mani, o Pilato!"
(5) Il Journal de Bruxelles riferì le parole pronunciate in quell'epoca dal principe Girolamo in un pranzo in casa di Girardin:
"È giunta l'ora in cui la bandiera della Rivoluzione, quella dell'Impero, dev'essere largamente spiegata.
"Qual è il programma di questa Rivoluzione?
"È in primo luogo la lotta ingaggiata contro il cattolicismo, lotta che bisogna proseguire e terminare; è la costituzione delle grandi Unità nazionali sulle rovine degli Stati artificiali e dei trattati che fondarono questi Stati; è la democrazia trionfante, che ha per fondamento il suffragio universale, ma che ha bisogno, per un secolo, d'essere diretta dalle forti mani dei Cesari; è la Francia imperiale all'apice di questa situazione europea; è la guerra, una lunga guerra, come strumento di questa politica.
"Ecco il programma e la bandiera.
"Ora, il primo ostacolo da superare, è l'Austria. L'Austria è il più potente appoggio dell'influenza cattolica nel mondo; essa rappresenta la forma federativa opposta al principio delle nazionalità unitarie; essa vuol far trionfare a Vienna, a Pest e a Francfort, le istituzioni opposte alla democrazia; è l'ultimo riparo del cattolicismo e della feudalità; è mestieri dunque abbatterla e schiacciarla. "L'opera fu incominciata nel 1859, oggi deve compiersi.
"La Francia imperiale deve dunque rimanere la nemica dell'Austria; essa dev'essere l'amica e il sostegno della Prussia, la patria del gran Lutero e che assale l'Austria colle sue idee e colle sue armi; essa deve sostenere l'Italia che è il centro attuale della Rivoluzione nel mondo, aspettando che la Francia lo divenga, e che ha la missione di rovesciare il cattolicismo a Roma, come la Prussia ha per missione di distruggerlo a Vienna.
"Noi dobbiamo essere gli alleati della Prussia e dell'Italia, e i nostri eserciti saranno impegnati nella lotta prima di due mesi".
(6) Extraits cités dans la Politique prussienne, par un Allemand anonyme, pp. 133-134.
(7) È il metodo seguito ancora al presente; il che ben dimostra che é sempre la medesima potenza occulta che lo dirige, ieri come oggi.
(8) V. fra gli altri, la Démocratie chrétienne, mars 1900.
Delasuss, Henri;
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