RELIGIOSA DELLA VISITAZIONE
SANTA MARIA DI CHAMBERY
CARITÀ VERSO IL PROSSIMO
"La Carità Divina, entrando in un cuore, trae con sé tutto il seguito delle Virtù", scrive il Santo Vescovo di Ginevra.
Fra tutte, l'amore del prossimo è il segno infallibile dell'amore che la creatura nutre per Iddio: "Si conoscerà che siete miei discepoli, se vi amate gli uni gli altri, come Io vi ho amato".
Suor M. Marta amava Dio sopra tutto. Questo amore si riversava sulle creature sotto forma di carità fraterna e di abnegazione completa. Si può dire che, sotto la direzione di Gesù e in unione con Lui, essa diede al prossimo il suo tempo, il suo cuore, la sua vita.
Però, bisogna notarlo, anche qui la sua virtù restò qualche volta velata a profitto dell'umiltà.
La nostra Sorella non possedeva certo vantaggi esteriori che attirano per loro stessi la simpatia e, per le nostre umane sensibilità, raddoppiano il valore dei minimi servigi, delle attenzioni o gentilezze. Iddio non le aveva dato l'avvenenza del volto, dello sguardo, della voce, e nemmeno la grazia e l'eleganza del portamento e del gesto. La sua conversazione ne perdeva in amabilità e la sua carità, non ben manifestata dalle apparenze, non era sempre apprezzata al suo giusto valore.
D'altra parte, le sue molteplici occupazioni la inducevano, ogni tanto, a chiedere aiuto a l'una o a l'altra delle sue compagne già abbastanza occupate. E si trovava che in ciò mancava talora di discrezione o di opportunità. Le si facevano rimproveri. Essa aveva, d'altronde, la sua risposta a tutto: "Ma perché dunque, mia Sorella Maria-Marta, interrogava una Sorella, perché venite continuamente a chiedere aiuto alle une e alle altre? Non capite che questo annoia, quando si ha già troppo daffare? - Mia Sorella, bisogna bene insegnare alle giovani a sacrificarsi per il prossimo... La Carità! non vi è nulla di più grande, vedete!".
L'interlocutrice non disse altro; essa credeva vedervi un'altra ragione: pensava che Suor M. Marta, innamorata dell'umiltà e della mortificazione, agisse così per guadagnarsi qualche piccolo rabbuffo. Noi amiamo credere che non s'ingannasse. Sembra che Nostro Signore per umiliare la sua Sposa, si compiacesse talvolta di farle richiedere dei soccorsi inutili. La confessione sfuggì un giorno alla nostra Sorella. Era andata nell'orto a chiedere l'aiuto di una compagna per portare un "braciere" al refettorio: "Eh! povera Sorella, invece di venire fin qui, non avreste fatto più presto a portarlo voi stessa?" - non poté trattenersi dal risponderle la Sorella, nella fretta del proprio lavoro.
"E' vero, mia Sorella, ma Egli vuole così".
Quanto ai servigi che richiedeva erano sempre molto brevi, essa non ne abusava... Dopo due o tre minuti lasciava in libertà la Sorella, assicurandola di poter finire da sola. Aggiungiamo subito del resto, che essa medesima rendeva volentieri servigio al prossimo. Nostro Signore le aveva particolarmente richiesta questa pratica di carità: "Mai occuparsi di se stessa... e mai rifiutare un servigio".
Era cosa tanto conosciuta, che una delle nostre Sorelle cuciniere, nella sua innocente furberia, aveva trovato un mezzo infallibile per conservare gli aiuti che Suor M. Marta veniva a rapirle. La vedeva accorrere dicendo a una postulante o novizia: "Sorellina, venite presto ad aiutarmi che sono molto in ritardo, - Oh! mia Sorella, le obbiettava la cuciniera - se sapeste come abbiamo fretta anche noi, Vostra Carità ci darebbe una mano". Subito, senza proferir parola, la nostra Sorella si sedeva e puliva i legumi, sbucciava i fagioli senza più far cenno del proprio lavoro. L'astuzia aveva sempre pieno successo. Sempre pieno successo, perché il buon cuore di Suor M. Marta e il suo amore per Iddio, non le permettevano di rifiutare un servigio al prossimo.
E quando il suo lavoro consueto concedeva un po' di tregua, noi già sappiamo, con quale premura essa si metteva a disposizione altrui. Durante le vacanze delle educande, una Sorella un po' deboluccia, incaricata della cantina, vedeva ogni giorno, con tenerezza, la caritatevole Conversa aspettarla nel quarto d'ora avanti ai pasti, per portare in sua vece le bottiglie al refettorio della Comunità.
Questa compiacenza non era che una forma della sua carità attinta dal Cuore di Gesù e perciò veramente soprannaturale.
"Io sono tutto Carità e sono Io che opero in colui che pratica la carità. Coloro che mi appartengono devono avere una grande carità verso il prossimo... un amor senza limite, ma amore soprannaturale e disinteressato".
Soprannaturale, Suor M. Marta non aveva preferenze. Essa amava tutte le sue Sorelle egualmente e, seguendo la raccomandazione del suo buon Maestro, le portava tutte nel suo cuore.
Abbiamo già fatto osservare quanto essa s'interessava di ognuna di noi e quanto pregava per ciascuna. Essa vi si sentiva continuamente incitata: "Bisogna amare tanto il prossimo - le dicevano le voci celesti - e fare per lui ciò che non avreste il coraggio di fare per voi stessa. Bisogna che il prossimo senta in voi un cuore buono, il Cuore di Dio”.
Quale sopporto del prossimo! quanta bontà vera, quale compassione per ogni debolezza, pena o dolore... E quale facilità a dimenticare le offese!
"Io non ricordo, attesta una delle sue compagne, che Suor Marta m'abbia mai detta una parola offensiva, né d'averla intesa rivolgerne alle nostre Sorelle. Le ho spesso rifiutato qualche piccolo servizio. Essa ritornava a domandarmene un'altra volta con la stessa semplicità”. E' questo un lato caratteristico della sua umile carità.
Mai che la nostra Sorella prendesse in mala parte le mancanze del prossimo a suo riguardo, Si percorrano pure i manoscritti, non vi si troverà nemmeno un'allusione a tante piccole vessazioni di cui essa fu l'oggetto. Si poteva impunemente avere dei torti a suo riguardo, era sempre lei che si accusava per la prima.
Gesù mostrava un giorno a Suor M. Marta il Suo Capo coronato di spine: “Tra i miei Santi - le disse - ve ne sono che hanno contribuito a farmi queste ferite, ciò nonostante Io li amo e li tratto da amici...."
“Figliuola, col prossimo occorre usare, a mio esempio, una grande bontà, dimenticare tutte le offese non pensare che a perdonare e far dei nuovi benefizi. Questa è la pratica delle anime fanciulle nelle quali mi compiaccio”.
“Quando, dopo aver mancato di umiltà e di pazienza verso questa santa Sorella, io le chiedevo perdono, racconta ancora una delle sue compagne, sentivo che mi perdonava dall'intimo del cuore”.
Quanto ai suoi propri torti abbiamo visto (1) con quale franchezza sapeva ripararli e come, con tal mezzo, manteneva sempre il suo cuore in dolce armonia con le sue compagne.
Tutto ciò denota - con lo spirito d'abnegazione e d'umiltà - un profondo amore del prossimo. Amore tutto soprannaturale; abbiamo detto. Ma in pari tempo, impulso di un cuore naturalmente buono. Perciò noi crediamo che sotto un'apparenza un po' greggia, Suor M. Marta abbia sofferto della propria rozzezza. Essa, così profondamente affettuosa avrebbe gustato una vera gioia nell'essere più amabile e più amata. Ma la santa gelosia dello Sposo non glielo permise. Egli le diceva un giorno nella Santa Comunione: "Vieni, Figliuola, voglio donarti le due virtù del mio Cuore: la dolcezza e l'umiltà. Con queste tu compenserai il mio Cuore adorabile. Ciò nonostante, ti lascerò cadere ogni tanto, in qualche mancanza visibile, a riguardo del prossimo, per tenerti nascosta”.
Un'altra volta, Gesù le faceva la medesima promessa, accompagnata dalla stessa riserva: "Io ti accorderò le virtù del mio Cuore dolce e umile; ma le vedrò Io solo.... Quanto a te, Figliuola, resterai coi tuoi difetti apparenti, per rimanere nascosta e umiliata”.
Parole incoraggianti per tutte le anime. Per ciò che riguarda la Privilegiata della quale noi ci occupiamo, noi conosciamo già lo scopo di N. Signore. Preservarla da ogni assalto dell'orgoglio e rassicurare così le guide dell'anima sua: "Tutto questo deve ben provare ai tuoi Superiori che ciò che accade in te, proviene da Dio, poiché da te sola, sei ben misera ed imperfetta”.
Si comprende come Gesù abbia rifugiato la sua "violetta”, all'ombra dell'umiltà e dell'abiezione, e abbia circondato il suo "giglio" di spine affinché la creatura non potesse troppo avvicinarlo.
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