Teofania
§ 12 a) Lo scoppio di un tuono mi sorprese, perché all’una, al ritorno dalla chiesa, avevo visto il cielo stellato e limpido; ma non mi impaurii benché fosse ‘preceduto da una specie di soffio’. Sembrava fosse caduta una folgore sull’orto davanti alla finestra dello studio. Non era un suono secco come quello del fulmine, ma un tuono il cui rombo andava ripetendosi con molte eco che si disperdevano lontano, come quelli che provengono dall’atmosfera.
b) Cessata l’eco del tuono, un terremoto sussultorio e ondulatorio mi fece una certa impressione. Il pavimento tremava sotto i miei piedi e mi inclinavo per stare in equilibrio, spostando i piedi ora a destra ora a sinistra. Le pareti ed il soffitto scricchiolavano e mi aspettavo di veder cadere calcinacci e polvere e sfasciarsi tutto. Ma niente cadde. Ero preoccupato.
“Se esco così svestito, divento la favola del paese” pensai.
c) Cessato il terremoto, sentii un fortissimo sibilo come di vento impetuoso che entrasse da tutte le parti, anche dalle pareti. Mi aspettavo di veder volar via tutte le mie scartoffie. Invece nulla.
Non sono superstizioso né timido, ma di fronte ad un pericolo di cui non conosco la causa né gli eventuali effetti, la prudenza mi suggerisce di scappare. Era quello che volevo fare, ma non potei muovermi.
Feci il gesto di scappare ma non vi riuscii, non per paura ma perché i piedi parevano incollati a terra da una forza esterna, misteriosa.
d) Cessato il vento mi accorsi di una luce rosea, non di un colore caldo come quello del fuoco che ha diverse gradazioni dal bianco al rosso al giallo, ma di un rosso tenue, più simile al rosa che all’arancione.
Questa luce rosea che aveva invaso la stanza non era tremula come quella della fiamma, ma continua, quasi lattiginosa come una leggera nuvola.
– Anche il fuoco adesso? – dissi allarmato. Annusai ripetutamente. Nessun odore di gas, né di bruciato. Mi tastai le mani nel timore che fosse una radiazione nucleare. Tutto normale.
Mi venne il dubbio allora che il tuono fosse stato provocato da una bombola di gas che, scoppiando, avesse fatto esplodere altre bombole vicine, imitando il rimbombo del tuono. Volli muovere un passo verso la finestra. Potei alzare il tallone ma non la gamba, sebbene avessi incominciato a protendermi innanzi.
§ 13 Una Voce di uomo adulto disse: – IO SONO. – Voglio spiegarmi meglio: quella sensazione non mi veniva solo dall’esterno. La Voce “IO SONO” mi risuonava dentro, così che non era come se mi sentissi in compagnia di qualcuno, ma quel Qualcuno mi circondava, mi compenetrava, mi possedeva tutto e mi faceva sentire molto piccolo alla Sua Presenza.
Dopo qualche secondo la Voce mi disse dentro: – RESTA. È TUTTO BENE. – Dovetti restare. Provai a sollevare nuovamente l’uno e l’altro tallone e ad alzarmi in punta di piedi. Nessun impedimento, gli arti funzionavano regolarmente ma le punte dei piedi erano ancora incollate al pavimento.
§ 14 La Voce, in tono normale di conversazione, vicinissima al mio orecchio destro, mi disse: – DA UN SEGNO. – Sentii le parole, ma non il fiato che avrebbe dovuto accompagnarle. Rigido nella persona, girai lentamente il capo verso la spalla destra. Nulla. Nella stessa direzione osservai la lampadina sotto il paralume di porcellana bianca pendente dal centro del soffitto.
Mi aspettavo di vederla avvolta entro una carta velina color rosa che mi faceva vedere la luce rosea nella stanza.
Quella luce rosea non era ancora molto densa e mi lasciava intravedere i contorni dei mobili e degli oggetti. Non c’era anima viva. Silenzio assoluto, quando la Voce mi disse ancora dentro, cioè senza interessare gli organi dell’udito:
– È LA RISPOSTA ALLA TUA DOMANDA. – Con tutto quello che era accaduto nel frattempo, avevo dimenticato di aver fatto una domanda nel prendere in mano
la Bibbia (cioè: “Come ha fatto Adamo a trovare la Donna che sarebbe diventata sua moglie?”), né pensavo che le mie parole fossero state prese in considerazione da chicchessia.
Compresi. Pieno di commozione e di rispetto chiusi lo sportello di destra dicendo: – Ma che tipo di segno? – Allungai poi il braccio sinistro e chiusi l’altro sportello che, aperto, era aderente alla parete e che si apriva di misura verso il fianco della cartelliera.
A poco a poco la luce rosea si fece più intensa avvolgendo mobili e oggetti che scomparvero in essa: vedevo bene solamente la Bibbia che avevo in mano, ma non vedevo più nemmeno la mia mano.
(Nota della curatrice) A questo punto don Guido interrompe il racconto per dar spazio ad una descrizione del suo appartamento perché la visione, durata più di mezz’ora, si è spostata, in senso antiorario, lungo le pareti ed i mobili del suo studio e della cucinapranzo. Questo semplice espediente voluto dal Signore gli ha permesso, in un secondo tempo, di ricostruire non solo la sequenza delle immagini e degli episodi, ma anche di derivarne l’orientamento e di farne una mappa. Perciò il lettore che volesse velocemente proseguire nel racconto, può tranquillamente saltare il § 15.
§ 15 Prima di proseguire mi sembra opportuno descrivere l’ambiente dove le scene della visione si sono manifestate e fare una ‘composizione di luogo’ visualizzando oggetti e mobili dentro le mie stanze per ricostruire con la memoria le varie fasi di questa grande visione nell’ordine in cui si sono succedute perché, ad ogni sfondo, corrispondeva una scena della visione partendo dallo studio fino alla cucina.
Fra quelle mura ebbi infatti una visione durata mezz’ora che mi inseguì nei miei movimenti su ben nove posti, lungo le pareti meridionali e orientali delle due stanze.
Per la precisione, le prime scene furono verso la parete Sud e la parete Ovest della canonica, cioè verso la casa adiacente e verso l’orto; l’ultima, la più importante, fu verso Est. Il lato Est, che guarda la strada, è lievemente girato verso Nord’
Quanto descrivo non è una perdita di tempo perché le immagini e le scene che ho veduto avevano, nell’ambiente naturale, e questo lo capii solo in un secondo tempo, lo stesso orientamento delle scene che vedevo proiettate sui mobili delle due stanze. Questo aiuto datomi dal Signore mi permise di ricostruire non solo la sequenza delle scene, ma anche l’orientamento di quell’habitat e disegnare in seguito la mappa di quei luoghi mettendoli in rapporto di successione fra loro, così che oggi, se mai dovessi visitare quella regione, sarei in grado di riconoscere quei posti perché erano abbastanza singolari.
Venendo dalla camera, devo passare per il corridoio e, dal corridoio, per la cucina per entrare nel mio studio, o biblioteca, che misura 3 metri per 2,80.
Entrando in cucina dalla porta che si trova quasi al centro della parete, alla mia sinistra vi è la parete Est con due finestre che guardano la strada. Di fronte, sempre all’entrata della cucina, vi è la parete Sud nella quale si apre, a sinistra, una portiera con vetro smerigliato che dà sulle scale che scendono alla cantina e due metri più in là, a destra, l’altra portiera, simile alla prima, che porta nello sbratta-cucina. Tra una portiera e l’altra è collocata la credenza con l’alzatina dalle antine in vetro che abitualmente chiamo ‘vetrina’. Al centro della cucina il tavolo da pranzo. Alla mia destra, al centro della parete Ovest, c’è la portiera della mia biblioteca dove entrai.
Appena dentro la biblioteca, alla mia sinistra, addossata alla stessa parete che divide la cucina dalla biblioteca, vi è una libreria alta due metri con due sportelli simmetrici con vetro stampato. Di fronte a questa vi è, sulla parete Ovest, la seconda libreria, identica alla prima. Entrambe hanno il fianco addossato alla parete Sud. Sulla parete Sud è sistemata, al centro, una cartelliera a cassetti sottili alta m 1,50 che occupa di stretta misura lo spazio tra lo sportello aperto della libreria che sta alla mia sinistra e lo sportello aperto dell’altra libreria gemella collocata di fronte alla prima.
A fianco di quest’ultima, al centro della parete Ovest, c’è l’unica finestra del mio studio che guarda verso l’orto.
Siamo sul piano rialzato di una casa costruita nel 1740 su un terreno in forte pendenza.
Quasi al centro della stanzetta adibita a biblioteca vi è un tavolo ingombro di libri, di riviste e di fascicoli di appunti. Al lato Nord, una stufa al kerosene, sedie coperte di riviste e giornali, scatoloni, pieni delle stesse cose, che impediscono di aprire la vecchia porta verso il corridoio. Disordine solo apparente: so trovare le mie cose se altri non le toccano.
Dagli scritti di Don Guido Bortoluzzi
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