domenica 14 novembre 2021

ESISTENZA E NATURA DI DIO - I limiti della nostra conoscenza di Dio.

 


E per quanto l‘ordine naturale possa illuminarci su Dio, l‘intelletto nostro, il quale ha coscienza del suo punto di partenza e del suo proprio oggetto, sa perfettamente che non ci porterà se non alla soglia, per così dire, della intima essenza di Dio. Dio trascende ogni essere creato e ogni nostra cognizione. I concetti che possiamo avere di lui e i nomi con cui esprimiamo tali concetti, desunti dal creato, sono concetti e nomi che convengono a Dio analogamente, non univocamente, sebbene non equivocamente (q. 13, aa. 1-3). Dalla equivocità nascerebbe l‘impossibilità totale di conoscere Dio (agnosticismo); dalla univocità- intendendo con questo termine una somiglianza sostanziale delle realtà significate — nascerebbe una panteistica confusione dell‘essere increato con l‘ente creato; dall‘analogia risulta una possibilità reale di conoscerlo, ma in modo imperfetto. Tali nostri concetti ce lo significano in modo proprio e non puramente metaforico o simbolico; ma per poterli appropriare esclusivamente a lui, dobbiamo affrettarci a includere in essi, oltre l‘elemento positivo che contengono, anche un elemento negativo, escludente i limiti e le imperfezioni, con cui la realtà espressa dai concetti viene attuata nelle creature. In forza del principio di causalità noi siamo perfettamente autorizzati ad attribuire a Dio tutta la perfezione che è negli effetti; ma poichè Dio è causa libera, agente per intelletto e volontà, analoga agli effetti e non univoca ad essi, trascendente cioè la specie e il genere degli effetti (non come il padre è causa del figlio, ma come 1‘ ingegnere è causa della macchina), per questa ragione al concetto di Dio, desunto dai rapporti reali che le cose hanno con lui, dobbiamo aggiungere la differenza del suo essere da quello delle cose. E questa differenza, che è l‘elemento più importante, non è per noi che una negazione. Dobbiamo accontentarci di dire che la sua perfezione non è essenzialmente quella delle cose, ma soltanto simile e proporzionale; in sè è infinitamente superiore, trascendente, e sostanzialmente a noi ignota (q. 12, aa. 2, 12).  24 — Ma la nostra cognizione di Dio, sebbene imperfetta, è vera e preziosissima. La dottrina dell‘analogia degli enti, che si estende a tutto il campo dell‘essere, non escluso Dio che è il «Sommo Analogato » dell‘essere e delle perfezioni dell‘essere, è fondata, nel sistema di S. Tommaso, ben più saldamente che nel sistema di Aristotele. Perchè S. Tommaso beneficia della preziosa dottrina della creazione, ignorata o non considerata da Aristotele, secondo la quale ogni ente deriva, da Dio; il molteplice, per quanto vario ed esteso, deriva dall‘ Uno e necessariamente porta nel suo seno la immagine o il vestigio dell‘ Uno: dell‘ Uno com‘ è in se stesso, nella sua natura intima, la quale non può non essere in qualche modo simile ai suoi effetti, poiché causare è rendere altri partecipi del proprio essere, anche se questa partecipazione, ai limiti del creato, non sia più che un‘ombra (I, q. 44; q. 4S., a. 7; q. 93).  Pertanto nella nostra conoscenza di Dio la via remotionis et negationis, deve integrare le vie causalitatis ad excellentrae perché mette in più chiara evidenza la radicale distinzione di Dio da ogni cosa creata, togliendoci la tentazione di confonderlo con l‘essere vago e astratto che si trova, come realtà universalissima, nella mente, quando fonde in concetti semplici le differenze delle cose, o le considera come enti. Pensatori valenti, antichi e moderni, hanno fatto questa deplorevole confusione. Per questo S. Tommaso insiste su questo aspetto negativo della nostra conoscenza di Dio: « Di lui — egli scrive — sappiamo piuttosto ciò che non è, anziché ciò che è» (q. 3, prol.) ; e mai così bene — egli nota — noi pensiamo di Dio, come quando lo distinguiamo da tutte lo cose create, negando energicamente che Egli sia qualcosa di identico ad esse. Così il pensiero di S. Tommaso armonizza profondamente, nella sua metafisica evidenza, con quanto definisce il Concilio Lateranense IV: « Tra Dio e la creatura non si può notare una somiglianza tanto grande, senza notare, insieme, una dissomiglianza ancora più grande» (cfr. DENZ., 132).  

S. Tommaso rigetta entrambi gli opposti errori dell‘agnosticismo e dell‘antropomorfismo ma se potesse avere una preferenza tra due errori, sarebbe certo per l‘agnosticismo, tanta è la sua preoccupazione di non materializzare l‘essere divino, per sè sussistente (q. 13, a. 5.). Per cui l‘Angelico ritiene « più alta e più sicura» la via negationis, per arrivare alla cognizione propria di Dio, finché noi siamo in terra. Così infatti scrive nella  (3 Cont. Gent., c. 39:  «Oltre la conoscenza di cui si è parlato, ve n‘ è un‘altra più alta, che si ha di Dio per mezzo di dimostrazione, con la quale ci avviciniamo meglio alla cognizione propria di lui. Infatti mediante la dimostrazione si rimuovono da lui molte cose, per cui riusciamo ad intendono distinto dagli altri. Con la dimostrazione si fa chiaro come Dio sia immobile, eterno, incorporeo, semplice, del tutto unico, e dotato di simili proprietà che già abbiamo veduto. Ora si giunge alla cognizione proprio. di una cosa non solo per la via delle affermazioni, ma anche per quella delle negazioni; poiché se è cosa propria dell‘uomo essere animale ragionevole, così è proprietà di lui ancora non essere inanimato, né irragionevole; ma questa è la differenza fra i due modi di conoscenza, che avuta la conoscenza propria di una cosa medi ante le affermazioni. si sa che cosa sia, [positivamente] la cosa, e come sia distinta dalle altre; invece avendo la conoscenza propria della cosa mediante le negazioni) sì sa come sia distinta dalle altre, ma ci resta sconosciuto qua! che è in se stessa. Tale è la cognizione propria di Dio che acquistiamo con le dimostrazioni».  2 — Questa teologia negativa si distingue però radicalmente da quella dei neoplatonici, i quali insegnavano l‘ incapacità assoluta della mente umana a determinare qualsiasi cosa circa Dio; e da quella, affine e peggiore, del movimento teologico eterodosso capitanato da Barth, ispirato alla concezione pessimistica di un decadimento irrimediabile della ragion umana per la colpa d‘origine, per cui Dio e i misteri divini in nessun modo sarebbero esprimibili in concetti umani. Infatti la teologia negativa di S. Tommaso ci notifica qualche cosa di ben prezioso circa Dio, e cioè la sua distinzione o separazione netta dalle cose. E così viene perfezionata I‘ imperfetta cognizione positiva che dì lui possiamo avere per la via della causalità, per la quale lo determiniamo mediante concetti che sono analogicamente comuni a Dio e alle creature L‘elemento dissomiglianza, che è incluso nei concetti analogici, non potendo noi determinano positivamente in sè, lo determiniamo negativamente, in rapporto sempre alle creature, col vantaggio prezioso di evitare lo scoglio panteistico e di conservare Dio in tutta la sua trascendenza. senza tuttavia cadere nell‘agnosticismo.  Da notare infine che, pur nell‘ambito della fede cattolica, altri teologi sono meno energici nel rilevare la distinzione dei due ordini di conoscenza: ordine increato essenzialmente divino e in sè a noi inconoscibile coi mezzi naturali, e ordine creato proporzionato alla nostra facoltà intellettiva. Infatti l‘ente creato è concepito da alcuni piuttosto univocamente all‘ente increato (Scoto); oppure l‘analogia è definita più per l‘elemento di somiglianza (Suarez) che per l‘elemento di dissomiglianza, come invece fa abitualmente e nei rapporti tra l‘ente creato e Dio in modo speciale, S. Tommaso.  

di P.Tito S. Centi  e P. Angelo Z.

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