L'APPELLO ALLE ANIME
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Un'altra prova della predilezione di quel Cuore adorabile l'aspetta ancora. La data del 27 dicembre segnerà due volte la breve vita di Josefa con un impronta speciale. Si tratta di una parentela di grazie con l'Apostolo S. Giovanni
, il prediletto, di cui non tarderà a ricevere le visite celesti.
La forma dei resoconti varia poco. Quel giorno, lunedì 27 dicembre 1920, ella nota la preghiera che incessantemente rivolgeva a Gesù: «dopo la Comunione chiedevo l'amore!», preghiera a cui il Signore risponde sempre, anche nell'oscurità della fede. Essa lo sa. Ma oggi il Maestro dell'Amore si compiace di dargliene la prova, colmandola di grazie come raramente ha fatto finora.
«Gesù venne - ella scrive con la consueta semplicità - e mi sono trovata come la prima volta, il 5 giugno, nella ferita del Suo Cuore!... Non mi ha detto nulla: tuttavia mai ho avuto l'anima così inondata di felicità! Poi, tutto è scomparso!».
E subito dopo aggiunge:
«Quella stessa sera Gesù mi ha lasciata sola!».
Occorre ancora rilevare questo metodo divino con cui Nostro Signore la distacca bruscamente da quegli stessi godimenti soprannaturali e purissimi, che non sono quaggiù se non un lampo per rischiarare lo scosceso cammino che sale verso le altezze?
«Il giorno dopo - ella continua - l'anima mia si è trovata così arida e fredda che dovevo fare un grande sforzo per dire qualche parola a Nostro Signore. Mi provavo tuttavia a moltiplicare gli atti di amore e di fiducia, ma presto non riuscì più a dominare le tentazioni che insorgevano nell'anima mia».
Ella narra umilmente i particolari di questa lotta in cui le sembra che il coraggio venga meno. Infatti, benché gli assalti del demonio varino ben poco quanto all'oggetto, perché sempre diretti contro la sua vocazione, nondimeno assumono un'acutezza tale che Josefa ne è scossa.
«Ho vissuto così dal 27 dicembre fino alla domenica 9 gennaio - prosegue - soffrendo più di quanto possa dire. Svegliandomi quella mattina il mio primo pensiero fu che non potevo più sostenere una simile lotta. Trascorsi la meditazione in un'agonia inesprimibile».
Tuttavia, nonostante il suo abbattimento, non cessa di cercar forza nell'obbedienza che sola può difenderla e con commovente fedeltà si prova a seguire i consigli che vorrebbero sollevarla e mantenerla fedele.
«Ho promesso a Nostro Signore - scrive - di fare oggi molti atti di umiltà per attirare su di me la Sua Misericordia, e, alla Messa, al momento della Consacrazione, ho ripetuto il mio atto di offerta con tutta la forza della mia volontà. Ad un tratto, prima dell'Elevazione del calice, ho visto Gesù col volto pieno di bontà, il Cuore molto infiammato. Mi sono prostrata per implorare il Suo perdono ed umiliarmi ai suoi piedi».
«- L'Amore non si stanca mai di perdonare - Egli disse».
E con una compassione incomparabile proseguì:
«- Ma tu non Mi hai offeso, Josefa! Come tu dici, i ciechi inciampano... Vieni, accostati al mio Cuore e riposati in Lui! Se tu potessi capire quanto Mi hai consolato nei giorni scorsi!... Ti tenevo così vicina al mio Cuore, che non avresti potuto cadere se non in Lui!».
E siccome ella Gli chiede perché permette tale oscurità e tante tentazioni:
«- Ti sembra di non vedere niente e di cadere in un precipizio - rispose - ma che bisogno hai di vedere se sei guidata? Devi dimenticarti, abbandonarti, e non opporre resistenza ai miei disegni. Per merito degli atti da te compiuti durante la sofferenza parecchie di quelle anime, che più tardi vedrai, si sono avvicinate al mio Cuore. Erano lontane... anzi lontanissime... ora sono vicine e presto verranno a Me».
«Gli dissi che quando mi trovo così tentata e sola, Lo cerco da tutte le parti, ma non Lo trovo».
«- Quando non Mi trovi in nessuna parte cercami presso la tua Madre. Abbandonati a lei, poiché ella ti conduce a Me. Te l'ho data per questo e sappi che se tu fai ciò che ti chiede, tu Mi piaci come se obbedissi a Me direttamente. Ama, soffri, obbedisci, così potrò realizzare i miei disegni in te».
La sera stessa, con una di quelle deliziose «lezioni simboliche» quali Gesù si compiace dare alle anime semplici, le rinnova le raccomandazioni più care al suo Cuore. Le appare mentre ella prega davanti al Tabernacolo.
« Tenendo nella mano destra - scrive - una catenina di brillanti da cui pendono tre chiavine, dorate e graziosissime».
«- Guarda - dice - una... due... tre... sono d'oro. Sai che cosa rappresentano queste chiavi? Ciascuna custodisce un tesoro, di cui voglio che tu ti impossessi.
«Il primo di questi tesori è un completo abbandono a tutto quello che ti chiederò direttamente o indirettamente, affidandoti continuamente alla bontà del mio Cuore che sempre ha cura di te. Riparerai così i peccati di tante anime che dubitano del mio Amore.
«Il secondo tesoro è una profonda umiltà che dovrà consistere nel riconoscere che tu sei nulla, nell'abbassarti davanti a tutte le tue sorelle e, quando te lo dirò, nel chiedere alla tua Madre che voglia umiliarti. Così riparerai l'orgoglio di tante anime.
«Il terzo è il tesoro di una grande mortificazione nelle parole e nelle azioni. Voglio che ti mortifichi nel corpo, tanto quanto l'obbedienza ti consentirà, e che riceva con vivo desiderio le sofferenze che Io stesso ti invierò. Così riparerai l'immortificazione di molte anime e Mi consolerai delle offese che Mi vengono da tanti peccati di sensualità e di godimenti cattivi.
«Infine, la catenina da cui pendono le tre chiavi è l'amore ardente e generoso che ti aiuterà a vivere abbandonata e immolata, umile e mortificata».
Josefa conserverà un incancellabile ricordo di quelle chiavine simboliche e più volte Nostro Signore si compiacerà di usare con lei queste semplici similitudini, che abbondano nel Vangelo e nascondono gli insegnamenti più profondi!
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Suor Josefa Menéndez
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