(Vol. 3°, 2 Marzo 1900)
Questa mattina, avendo fatto la santa Comunione, il mio dolce Gesù si è fatto vedere crocifisso ed internamente mi sono sentita tirata a specchiarmi in Lui, per potermi rassomigliare a Lui, e Gesù si specchiava in me, per tirarmi alla sua somiglianza.
Mentre così faceva, io mi sentivo infondere in me i dolori del mio crocifisso Signore, che con tutta bontà mi ha detto: “Il tuo alimento voglio che sia il patire, non come solo patire, ma come frutto della mia Volontà. Il bacio più sincero che lega più forte la nostra amicizia è l’unione dei nostri voleri, e il nodo indissolubile che ci stringerà in continui abbracci sarà il continuo patire”.
Mentre ciò diceva, il benedetto Gesù si è schiodato, ha preso la sua croce e l’ha distesa nell’interno del mio corpo, ed io sono rimasta pure tanto distesa che mi sono sentita slogare le ossa; per di più, una mano, ma non so dire certo di chi fosse, mi ha trapassato le mani e i piedi, e Gesù che stava seduto sulla croce distesa nel mio interno, tutto si compiaceva del mio patire e di colui che mi trapassava le mani, e ha soggiunto:
“Adesso mi posso riposare tranquillamente, non ho da prendermi neppure il fastidio di crocifiggerti, perché l’ubbidienza vuole operare tutto essa, ed Io liberamente ti lascio nelle mani dell’ubbidienza”.
E sfuggendo da sopra la croce, si è messo sopra il mio cuore per riposarsi. Chi può dire quanto sono rimasta sofferente, stando in quella posizione? Dopo essere stata per lungo tempo, Gesù non si brigava di sollevarmi come le altre volte, per farmi ritornare nello stato mio naturale. Quella mano che mi aveva messo sulla croce non la vedevo più. Lo dicevo a Gesù, che mi rispondeva: “Chi ti ha messo sulla croce? Sono stato forse Io? È stata l’ubbidienza, e l’ubbidienza ti deve togliere”.
Pare che questa volta avesse voglia di scherzare e di somma grazia ho ottenuto che il benedetto Gesù mi liberasse.
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