Don Guido, Curato a Casso
(in provincia di Pordenone, ma nella diocesi di BL)
Nel 1945 fu mandato Curato a Casso, un paesino che si trova sopra la diga del Vajont, ai confini della provincia di Belluno con quella di Pordenone.
Al tempo della Repubblica Veneta, Casso era stato per secoli un luogo di confino, un bagno penale della Serenissima, dove venivano mandati i detenuti politici e comuni, le prostitute, gli indesiderabili di ogni provenienza e gli ex-galeotti dàlmati che non potevano più esser impiegati come rematori sulle galere. I confinati non potevano uscire dal limite territoriale ben picchettato e sorvegliato dai soldati della Repubblica. Dentro questi limiti potevano fare ciò che volevano, anche giustizia personale.
Gente difficile dunque, di un paese povero, poverissimo, dove si allevavano i cinghiali al posto dei maiali, dove le case non erano intonacate, dove talvolta famiglie di due o tre generazioni vivevano in un’unica stanza e dove poteva accadere che ragazzine di dodici anni partorissero figli illegittimi, talvolta frutto di incesti.
In questo contesto don Guido ebbe molto da lavorare e ovviamente gli fu opposta molta resistenza. La sua sincerità dal pulpito gli procurò non pochi nemici. Molti furono gli attentati alla sua vita, ma nessuno riuscì. Ne ricordo uno.
In una notte piuttosto buia gli fu teso un tranello. Fu invitato ad uscire dalla canonica col falso pretesto di un’Estrema Unzione. Ignaro del pericolo che lo attendeva, si avviò passando per un vicolo stretto tra un alto muro e una casa. All’improvviso vide un’ombra scura e minacciosa sul muro.
Fece un passo indietro e una figura alta, forte, pesante, balzò giù con un impeto tale che sbattè la testa con un botto sordo contro la casa. L’attentatore cadde svenuto e rimase in coma per alcuni giorni. Il destinatario dell’impatto doveva essere don Guido. L’indomani la gente scrutava il Curato incredula e sorpresa chiedendosi quale stella mai lo avesse protetto. Segno che era stata una piccola congiura.
Durante la sua esistenza don Guido subì ventitrè attentati, in ognuno dei quali rischiò di perdere la vita. Da questo si può capire quanto grande fosse il progetto che Dio aveva su di lui e quanto lo amasse per dargli tanta protezione.
La parrocchia, per quanto turbolenta, era piccola, per cui a don Guido restava molto tempo per studiare. Risparmiando in ogni spesa, cominciò ad acquistare libri e pubblicazioni che parlavano della comparsa dell’uomo sulla Terra e delle scoperte scientifiche riguardo all’evoluzione. Dedicava tutto il tempo libero alle sue ricerche.
1945: la visione della catastrofe del Vajont, che avverrà nel 1963
Nel primo anno del suo ministero a Casso egli ebbe un sogno profetico.
Vide, con 18 anni d’anticipo, l’enorme frana staccarsi dal monte Toc, invadere il bacino del lago del Vajont e l’acqua tracimare con forza oltre la diga e incanalarsi spaventosamente per la stretta e ripida valle che porta a Longarone. Vide la massa d’acqua scendere precipitosamente a zig-zag verso il paese e spazzare via case, strade, piazze, chiesa, municipio, cimitero... quindi l’enorme distesa piatta e gialla di limo ricoprire ogni cosa appiattendo tutto. Vide i morti e quelli che stavano per morire mentre annaspavano disperatamente fra gli spasimi cercando di salvarsi. Ne riconobbe molti, fra i quali anche l’Arciprete di Longarone mons. Bortolo Làrese e il suo cappellano e parente don Lorenzo Làrese. Sconvolto, cercò di responsabilizzare i paesi interessati inviando ai rispettivi sindaci e parroci lettere circostanziate. Descrisse perfino la linea di demarcazione tra le case che sarebbero state travolte e quelle che sarebbero rimaste illese. Ma, a quell’epoca, la diga e il lago del Vajont non c’erano ancora e, dunque, non fu preso seriamente. Tutti ne risero, ma molti di costoro persero la vita diciott’anni dopo.
Incominciava così per don Guido il calvario di essere considerato un personaggio strano.
Don Guido però non rivelò nelle sue lettere e nei suoi appunti la descrizione di una scena che, nella medesima visione, precedeva la catastrofe e che mi raccontò a viva voce. Vide snodarsi lungo le vie di Longarone una processione formata da alcuni giovinastri che portavano infilati su bastoni i genitali di bovini raccolti al macello comunale intonando frasi blasfeme e irripetibili sull’aria delle Litanie Lauretane: “Santa..., ora pro nobis” con evidente atteggiamento di scherno. Dedusse che l’episodio avvenne qualche ora prima della caduta della frana dalla luce del tramonto della scena che vide.
Il fatto che il Signore abbia fatto vedere a don Guido la catastrofe in stretta sequenza logica con quella infelice e blasfema processione ci spinge a credere che fra i due eventi ci fosse un nesso per far capire a noi uomini come un nostro comportamento irrispettoso possa alienarci la protezione di Dio.
Dio non castiga: Dio, quando viene respinto, solamente si astiene dalla Sua protezione nel rispetto della libertà che ha dato all’uomo.
Don Guido tuttavia ripeteva:
“È improprio chiamarlo castigo di Dio perché Dio non è vendicativo. Non è Dio che manda i castighi, anche se questo è il termine che usa la Bibbia per far intendere che tra due fatti c’è un nesso di causa-effetto. Il castigo ce lo diamo noi stessi perché è la naturale conseguenza dell’allontanamento dalla protezione di Dio. Purtroppo in questi casi vengono coinvolti degli innocenti. Ma la colpa non è di Dio. Anzi, stiamone certi, Dio è vicino alle vittime innocenti e spiritualmente le sostiene. Dio ha a cuore la salvezza di tutti, quella eterna. Inoltre, la parte più pesante della sofferenza, specialmente quella degli innocenti, la porta Lui stesso. Certo è che se il Signore mal sopporta che Lo si bestemmi, non permette che s’insulti la Vergine Immacolata!”.
Ovviamente il cedimento del Monte Toc era già in corso da mesi. È chiaro che non si può attribuire a Dio l’improvviso franamento.
La protezione di Dio non evita le calamità naturali, ma può evitare che si assommino gli errori umani e, in particolare, che le persone arrivino alla conclusione della loro vita impreparate.
Al tempo della sciagura del Vajont, avvenuta nella tarda serata del 9 ottobre del 1963, don Guido da dieci anni era partito da Casso ed erano passati diciott’anni dalla visione. Molti avevano dimenticato la sua profezia ed erano andati incontro alla morte.
Don Guido Bortoluzzi
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