sabato 2 ottobre 2021

GENESI BIBLICA EVOLUZIONE O CREAZIONE? CAINO E’ LA CHIAVE DEL MISTERO

 



Don Guido, Curato a Casso  

(in provincia di Pordenone, ma nella diocesi di BL)  

Nel 1945 fu mandato Curato a Casso, un paesino che si trova sopra la diga del Vajont, ai  confini della provincia di Belluno con quella di Pordenone.  

Al tempo della Repubblica Veneta, Casso era stato per secoli un luogo di confino, un  bagno penale della Serenissima, dove venivano mandati i detenuti politici e comuni, le  prostitute, gli indesiderabili di ogni provenienza e gli ex-galeotti dàlmati che non  potevano più esser impiegati come rematori sulle galere. I confinati non potevano uscire  dal limite territoriale ben picchettato e sorvegliato dai soldati della Repubblica. Dentro  questi limiti potevano fare ciò che volevano, anche giustizia personale.  

Gente difficile dunque, di un paese povero, poverissimo, dove si allevavano i cinghiali  al posto dei maiali, dove le case non erano intonacate, dove talvolta famiglie di due o tre  generazioni vivevano in un’unica stanza e dove poteva accadere che ragazzine di dodici  anni partorissero figli illegittimi, talvolta frutto di incesti.  

In questo contesto don Guido ebbe molto da lavorare e ovviamente gli fu opposta  molta resistenza. La sua sincerità dal pulpito gli procurò non pochi nemici. Molti furono  gli attentati alla sua vita, ma nessuno riuscì. Ne ricordo uno.  

In una notte piuttosto buia gli fu teso un tranello. Fu invitato ad uscire dalla canonica  col falso pretesto di un’Estrema Unzione. Ignaro del pericolo che lo attendeva, si avviò  passando per un vicolo stretto tra un alto muro e una casa. All’improvviso vide un’ombra  scura e minacciosa sul muro.  

Fece un passo indietro e una figura alta, forte, pesante, balzò giù con un impeto tale  che sbattè la testa con un botto sordo contro la casa. L’attentatore cadde svenuto e  rimase in coma per alcuni giorni. Il destinatario dell’impatto doveva essere don Guido.   L’indomani la gente scrutava il Curato incredula e sorpresa chiedendosi quale stella mai  lo avesse protetto. Segno che era stata una piccola congiura.  

Durante la sua esistenza don Guido subì ventitrè attentati, in ognuno dei quali rischiò di  perdere la vita. Da questo si può capire quanto grande fosse il progetto che Dio aveva su di  lui e quanto lo amasse per dargli tanta protezione.  

La parrocchia, per quanto turbolenta, era piccola, per cui a don Guido restava molto  tempo per studiare. Risparmiando in ogni spesa, cominciò ad acquistare libri e  pubblicazioni che parlavano della comparsa dell’uomo sulla Terra e delle scoperte  scientifiche riguardo all’evoluzione. Dedicava tutto il tempo libero alle sue ricerche.  


1945: la visione della catastrofe del Vajont, che avverrà nel 1963  

Nel primo anno del suo ministero a Casso egli ebbe un sogno profetico.  

Vide, con 18 anni d’anticipo, l’enorme frana staccarsi dal monte Toc, invadere il  bacino del lago del Vajont e l’acqua tracimare con forza oltre la diga e incanalarsi  spaventosamente per la stretta e ripida valle che porta a Longarone. Vide la massa  d’acqua scendere precipitosamente a zig-zag verso il paese e spazzare via case, strade,  piazze, chiesa, municipio, cimitero... quindi l’enorme distesa piatta e gialla di limo  ricoprire ogni cosa appiattendo tutto. Vide i morti e quelli che stavano per morire mentre  annaspavano disperatamente fra gli spasimi cercando di salvarsi. Ne riconobbe molti, fra i  quali anche l’Arciprete di Longarone mons. Bortolo Làrese e il suo cappellano e parente don Lorenzo Làrese. Sconvolto, cercò di responsabilizzare i paesi interessati inviando ai  rispettivi sindaci e parroci lettere circostanziate. Descrisse perfino la linea di  demarcazione tra le case che sarebbero state travolte e quelle che sarebbero rimaste illese.  Ma, a quell’epoca, la diga e il lago del Vajont non c’erano ancora e, dunque, non fu preso  seriamente. Tutti ne risero, ma molti di costoro persero la vita diciott’anni dopo.  

Incominciava così per don Guido il calvario di essere considerato un personaggio strano.  

Don Guido però non rivelò nelle sue lettere e nei suoi appunti la descrizione di una  scena che, nella medesima visione, precedeva la catastrofe e che mi raccontò a viva voce.  Vide snodarsi lungo le vie di Longarone una processione formata da alcuni giovinastri che  portavano infilati su bastoni i genitali di bovini raccolti al macello comunale intonando  frasi blasfeme e irripetibili sull’aria delle Litanie Lauretane: “Santa..., ora pro nobis” con  evidente atteggiamento di scherno. Dedusse che l’episodio avvenne qualche ora prima  della caduta della frana dalla luce del tramonto della scena che vide.  

Il fatto che il Signore abbia fatto vedere a don Guido la catastrofe in stretta sequenza  logica con quella infelice e blasfema processione ci spinge a credere che fra i due eventi ci  fosse un nesso per far capire a noi uomini come un nostro comportamento irrispettoso  possa alienarci la protezione di Dio.  

Dio non castiga: Dio, quando viene respinto, solamente si astiene dalla Sua protezione  nel rispetto della libertà che ha dato all’uomo.  

Don Guido tuttavia ripeteva:  

“È improprio chiamarlo castigo di Dio perché Dio non è vendicativo. Non è Dio che  manda i castighi, anche se questo è il termine che usa la Bibbia per far intendere che tra  due fatti c’è un nesso di causa-effetto. Il castigo ce lo diamo noi stessi perché è la  naturale conseguenza dell’allontanamento dalla protezione di Dio. Purtroppo in questi  casi vengono coinvolti degli innocenti. Ma la colpa non è di Dio. Anzi, stiamone certi,  Dio è vicino alle vittime innocenti e spiritualmente le sostiene. Dio ha a cuore la salvezza  di tutti, quella eterna. Inoltre, la parte più pesante della sofferenza, specialmente quella  degli innocenti, la porta Lui stesso. Certo è che se il Signore mal sopporta che Lo si  bestemmi, non permette che s’insulti la Vergine Immacolata!”.  

Ovviamente il cedimento del Monte Toc era già in corso da mesi. È chiaro che non si  può attribuire a Dio l’improvviso franamento.  

La protezione di Dio non evita le calamità naturali, ma può evitare che si assommino  gli errori umani e, in particolare, che le persone arrivino alla conclusione della loro vita  impreparate.  

Al tempo della sciagura del Vajont, avvenuta nella tarda serata del 9 ottobre del 1963,  don Guido da dieci anni era partito da Casso ed erano passati diciott’anni dalla visione.  Molti avevano dimenticato la sua profezia ed erano andati incontro alla morte. 

Don Guido Bortoluzzi

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