(Dal suo libro “Notas íntimas”, pag. 241-242)1
“... È vero che Nostro Signore ha realizzato un’opera meravigliosa nella mia anima (…) Ho avuto una strana sensazione, una santa soddisfazione; ma tanto di più, molto di più, ho provato vergogna e perplessità. Non voglio vedere questo né posso spiegarmelo.
Per fuggire alla vergogna mi rifugio nelle mie miserie; con esse mi sento a mio agio, in pace, al centro di me stesso. La mia soluzione è chiudere gli occhi a ciò che avviene nella mia anima e aprirli per guardare i miei poveri cenci 2.
Ma come mettere d’accordo la strana rivelazione con la realtà indiscutibile delle mie miserie? (…) Vidi la soluzione del problema: avevo tra le mie mani l’Ostensorio; vicino ai miei occhi c’era l’Ostia Santa. E la mia anima si riempì di luce. Se dentro di me sta la Purezza infinita e la suprema Benedizione, come non dovrebbero diffondersi attorno a me la purezza e le benedizioni?
Ma questo tesoro del Cielo è nascosto in un vaso di miserie: Dio sia benedetto! Benedette siano queste miserie, che ai miei occhi come un velo coprono il divino che mi lascerebbe cieco 3. No potrei vivere senza di esse, perché sono la pace della mia vita, la calamita con cui attiro il Signore e ciò che rende possibile vivere sulla terra avendo nell’anima la Vita di Dio.
Come tutte le volte che provo una viva emozione, mi sono sentito costretto a esprimerla in versi, non proprio come è, ma per quanto è possibile al povero linguaggio umano.
2 - “I cenci”: gli stracci con cui si copre un povero, cioè le miserie.
3 - In spagnolo è: “que me deslumbraría”. Significa: che mi lascerebbe abbagliato per la grande luce, cioè, cieco, e allo stesso tempo: che mi farebbe inorgoglire, il che è la cecità spirituale.
Vieni, scendi amorevole nella mia miseria,
fin nel buio profondo del mio insondabile nulla,
che il fulgore sovrano dell’eterno Sguardo
nelle ombre risplenda per prodigio d’amor.
Vieni e vivi nell’angusta dimora dell’anima,
che attraverso la rozza, la misera stanza,
sulla terra diffonda la squisita fragranza
della tua regia purezza, del celeste amor.
E sarò, se Tu vivi nel fondo dell’anima,
del tuo Verbo Divino l’araldo potente,
del tuo agire il ministro e il felice confidente
della tua tenerezza, del tuo immenso dolor.
Ma non mi spogliare dei miei poveri cenci;
se di luce mi vestissi, o di ricca purità,
mi sentirei confuso; la mia innata povertà
con i suoi propri cenci soltanto è felice.
Lasciami, sì, vestito dei miei vili stracci:
il mio vanto di gloria, l’incanto squisito
con cui attiro trionfante l’Amato infinito
e lo costringo a nascondersi nel mio misero cuor.
I miei cenci richiamo: senza di essi potrebbe
sopportare la mia miseria quella segreta delizia
di portare nella vita il fulgore della tua Vita,
l’ineffabile mistero del mio e del Tuo amor?
Con la gioia nell’anima e i cenci di fuori
nascosto a tutti passerò per il mondo,
porterò della tua Anima il mistero fecondo,
diffondendo l’aroma senza che sappiano perché.
Sotto il logoro manto della mia immensa miseria
serverò i tesori del tuo Amore e della tua Vita
e la gloria del Cielo, nascosta nel nulla,
resterà per sempre, perché Tu vivi in me.
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