mercoledì 25 agosto 2021

RIPOSA SICURA TRA LE MIE BRACCIA

 


Il dì 17 febbraio 1815, giorno di venerdì, così Giovanna Felice: nella santa Comunione fui invitata ad accompagnare il buon Gesù al Calvario. Non mi è possibile spiegare la pena, l’affanno che soffrì la povera anima mia nel contemplare le sue pene. L’anima mia partecipava delle sue acerbissime pene, per mezzo della viva compassione; l’amor doloroso faceva mie le pene sue, e struggendomi di amore e di compassione cresceva a dismisura la pena mia. Credevo veramente ogni momento di finire dal dolore la vita. Questo fatto durò dalle ore 16 e mezza circa fino alle ore 22, il mio corpo in questo tempo ora perdeva ogni idea sensibile, e ora restava affatto alienato dai sensi, tutto il resto della giornata poco e niente fui presente a me stessa.

Il dì 18 febbraio 1815, Giovanna Felice nella santa Comunione: il Signore mi ha dato a vedere la povera anima mia sotto l’immagine di pecorella. Mio Dio! qual pena mi recava questa povera pecorella, perché aveva diversi mali: la testa era inferma, nel fianco destro vi era un brutto sfregio sanguigno, ma grazie a Dio non era né marcio né piagato, aveva della lana mancante sopra il suo dorso, in una parola questa povera pecorella faceva compassione per la sua miseria. Nel vedermi così imperfetta e male acconcia, piangendo amaramente, feci ricorso al mio buon Signore, e con umile sentimento gli dicevo: «Sana animam meam, quia peccavi tibi», e piangendo e pregando mi disfacevo in lacrime, quando ho veduto apparire il buon Gesù sotto la forma di pastorello, che tutto amore verso di me si approssimava, e, presa ad accarezzare l’amata sua pecorella, la curò dei suoi malori; ma quello che con mio sommo stupore osservai, fu la diversità dei rimedi che applicò per guarirla.

Tre erano i mali a cui andava soggetta la suddetta pecorella, e di tre diversi rimedi si servì il buon pastore per guarirla. La testa la curò con la sua preziosa saliva, per così dimostrarmi che la mia ignoranza viene curata dalla sua infinita sapienza; il fianco destro lo curò con il suo prezioso sangue, astergendolo leggiadramente; poi impose all’anima mia di lambire il fianco infermo, per così dimostrare l’obbligo che mi corre di cooperare alla sua grazia. Al momento restò sanata la testa e il fianco. Il caro pastorello, compiacendosi della guarigione della povera pecorella, la prese ad accarezzare, nell’accarezzarla andava crescendo la lana nei luoghi mancanti, e la rendeva quanto mai bella, e compiacendosi in questa, per poterla più comodamente accarezzare, si adagiò in magnifico sedile, la invitò a riposare nel casto suo seno. Collocata che si fu l’anima mia nel paterno suo seno, oh cosa mai sperimentò il mio povero cuore di amore, di rispetto, di venerazione verso l’amato Signore, che amorosamente mi andava accarezzando, e sciogliendo la sua lingua in santi affetti, così prese a consolare la povera anima mia: «Figlia diletta», diceva, «riposa sicura nelle mie braccia. La pace, la tranquillità ti accompagneranno fino alla tomba. Non temere i tuoi nemici. E se io sono con te, chi sarà contro di te? chi ti potrà nuocere? chi ti potrà sovrastare? Figlia, diletta mia, riposa in pace tra le mie braccia», e prendendo un’alta compiacenza nel beneficarmi, mi stringeva amorosamente tra le sue braccia.

Beata Elisabetta Canori Mora


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