lunedì 9 novembre 2020

FONDAMENTI DELL’UMILTÀ

 


L'umiltà poggia sopra due fondamenti: il primo è la verità, il secondo, la giustizia; verità e giustizia, due attributi divini; quali deve regolarsi la nostra vita.

La verità ci dà la conoscenza di noi medesimi, che è il grande e solido fondamento dell'umiltà; perché qualsiasi sentimento di umiltà che non abbia per fondamento una seria convinzione di ciò che siamo, non è che apparenza ed illusione; e chi credesse di acquistare l'umiltà senza una tale conoscenza si ingannerebbe e non riuscirebbe a nulla. La ragione sta in questo, che tutto quanto vediamo in noi e tutto quanto facciamo, tutto ci serve di motivo e d'occasione per la propria stima, principalmente quando si tratta di qualche bene, se prima non abbiamo bene stabilito qual'è il principio del bene come del male che vediamo in noi.

Non già, come abbiamo detto sopra, che questa conoscenza sia l'umiltà; molti, infatti, per quanto siano presuntuosi, sono pure costretti a constatare che non sono nulla e non valgono nulla. I demoni sono costretti ad una tale confessione, ma non hanno neppure un principio di santa umiltà. La conoscenza di se stesso deve solamente venire presupposta come un prin-cipio, dal quale si traggono poi le conseguenze onde comportarsi secondo lo spirito dell'umiltà. Orbene, la verità insegna all'uomo a conoscere ciò che è in se stesso, e ad aver di la stima che si merita e non di più; così pure la giustizia esige che tratti sé medesimo per quello che è, e non sopporti altro trattamento differente di quello che merita.

La verità insegna all'uomo che esso non è altro che niente; che da se non è oggi dappiù da quello che fosse cento anni fa, e che sarebbe ancora se Dia ritirasse da lui quelll'essere che ne circonda il nulla. Questo essere è una partecipazione dell'essere medesimo di Dio, è l'essere di Do reso sensibile in qualche modo nell'uomo. Tutte le creature, infatti, non sono altro, per così dire, che Dio medesimo reso visibile; sono come sacramenti o come visibili involucri dell'essere invisibile di Dio, il quale è nascosto sotto di essi; sono segni di Dio che esprimono in modo svariato ciò che Egli è in se stesso. In una parola, tutto quanto vi è al mondo è come una dilatazione e una espressone di Dio fuori di Lui medesimo, come un effluvio di Dio, il quale esprime esternamente ciò che Dio è in se medesimo.

Ma d'altra parte la creatura considerata in se stessa e nel suo fondo, fuori dello stato di Dio di cui essa è partecipe, rimane un samplice niente che implica la privazione di ogni essere, come Dio contiene il possesso di tutto l'essere: Dio è un abisso di perfezione, il nulla invece un abisso di imperfezione. Quando pure vi si starebbe occupati sino alla fine dei secoli, non si saprebbe esporre in particolare le privazioni e i difetti che si contengono nel niente, né disprezzi che gli sono dovuti; parimenti quando pure sino al dì del giudizio che vi si impiegassero le creature tutte, non riuscirebbero a numerare tutte le grandezze e le perfezioni di Dio. Il niente merita oblio; disprezzo .e noncuranza, come Dio merita ogni ammirazione; ogni adorazione e ogni lode da parte, di tutto il mondo.

La giustizia adunque, poichè vuole che si dia a ciascuno ciò che gli appartiene, insegna alla creatura a tributare a se stessa ciò che si merita nel suo fondo e a subire quel trattamento che è dovuto a così grande viltà, come pure a rendere a Dio ciò che gli è dovuto, ossia ogni onore e ogni lode.

Se guardo me stesso, nel mio fondo, ossia nel mio nulla, veggo che non merito che: confusione e disprezzo; se, invece contemplo Dio sia in se medesimo come fuori di sè, nella sua essenza come nella sua diffusione nei suoi effetti, in me come fuori di me; trovo che Egli merita ogni lode e ogni onore. A Dio, dice S. Paolo, siano rese benedizioni, lodi, onori e azioni di grazie di ogni creatura; per quello che Egli è in sè e per tutto ciò che Egli ha operato fuori di se medesìmo. Vedo adunque e riconosco che a Dio deve essere reso ogni onore come all'autore e possessore di ogni perfezione; e, al contrario il niente, che in se stesso è privo di tutto, deve essere disprezzato, abbandonato, trascurato e dimenticato.

Il niente è così miserabile che non si saprebbe neppure pensare, a lui, e se ne diciamo qualche cosa o ne abbiamo qualche idea, è sotto qualche forma presa a prestito e che non gli conviene, tanto è incapace di produrre qualche stima di sè. Se si pensa a lui, non sarà che per deplorare il suo stato, per riconoscere ciò che gli manca e ciò che non ha. Nulla può essere vile e abbietto come il niente, nè si saprebbe esprimere tutta la sua, abbiezione. E questa è la condizione vera della creatura nella sua sostanza, in ciò che era da se medesima prima che Dio la rivestisse di se stesso; nè cessa di essere tale anche dopo la. comunicazione che Dio le fa del suo essere.

Dio merita ogni onore per la sua perfezione, il niente non merita che disprezzo per la sua imperfezione. Benchè nascosto sotto l'essere più perfetto, il niente non lascia mai di meritare per se stesso tale trattamento; all'operaio bisogna lasciare l'onore dell'opera sua, come al pittore la gloria del suo quadro. Al pittore è dovuto l'o nore e non alla tela. che porta il suo di-pinto; 1a tela non merita che diprezzo; se potesse parlare e fosse sensibile al sentimento della giustizia, esssa direbbe: «Ono rate colui che mi ha sceIta per farne il soggetto dell'opera sua, onorate colui che merita di essere onorato, che mi ha tratto dallo stato in cui mi trovavo, per fare su di me tali meraviglie. Guadate il rovescio del quadro e vedrete che non sono adatta che a fare un cencio qualunque; non ero buona a nulla, ora invece sono posta sugli altari e si adora ciò che porto e rappresento; ma questo non è mio, nè vi ho parte alcuna: non dimentico la mia primiera condizione, so bene quel'è il mio fondo e non l'ho ancora perduto di vista. Più, l'amore che nutro per il mio padrone e per l'operaio che mi ha scelta ad onta della mia viltà perchè fossi l'oggetto della sua opera ed ha operato in me una sì grande meraviglia, mi obbliga ad onorarlo ed a procurargli, la gloria che egli si merita e ad avvertire tutti coloro che vedendomi, nella loro illusione si attaccano a me, di rivolgere i loro occhi e i loro omaggi a colui che ha compito quest'opera preziosa».

Così la Madonna, sempre convinta del suo nulla, sempre convinta della sua bassezza, esclamava ad alta voce: « Colui che è potente ha fatto in me grandi case ». Egli, ha scelto questa povera sua serva, ha scelto la mia povertà e la mia viltà per imprimervi l'opera del suo amore, della. sua sapienza e della sua onnipotenza. Ha compiuto in me il suo capolavoro e la sua meraviglia; ha fatto in me il suo ritratto col rendere sensibile il suo Verbo. Ha scelto questo povero piccolo niente, per imprimere sopra di esso i più perfetti e più splendidi lineamenti della sua grandezza e della sua maestà. Lui medesimo in me fa rendere a se medesimo onori ch'io non merito e non mi appartengono. State bene attenti a rendere a Dio la sua gloria e in me adorate la sua opera e le sue meraviglie ».          

Per questo motivo la santa Chiesa, tanto per la propria edificazione come per quella di tutti i fedeli che ricevono grazie da Dio, si prende cura dir far cantare ad alta voce e anche in piedi, per obbligarci ad un'attenzione particolare, il bel cantico del Magnificat; così vuole insegnarci ad onorare il Signore come la Madonna lo esaltava in se stessa e in tutte le opere di Dio, perchè tutto quanto è fuori di Dio, viene da Dio; tutto è derivazione, effusione e come dilatazione di Dio, il quale diffonde nel suo essere in modo visibile sopra la creatura. E' questo lo Spirito che copriva le acque, il mantello che copre ed avvolge il niente; il niente rimane sempre spregevolissimo in se stesso, il mantello che lo copre merita solo di essere onorato: Dio adunque sia glorificato e il niente sia dimenticato a dispregiato

Quel sentimento di umiltà chie risplendeva così santamente nella Vergine Santissima, per il quale essa voleva che non si facesse nessuna attenzione alla sua persona per quante grazie vi si scorgessero, ma si guardasse unicamente a Dio che ne era l'autore, era molto più perfetto ancora in Nostro Signore; perchè, egli era pieno di verità, e voleva adempiere ogni giustizia. Questo sentimento lo portava a correggere colui che lo aveva chiamato buono; Egli come uomo, rifiutava. questo titolo perché in quanto era uomo, non gli apparteneva. Come uomo, infatti, anche Gesù Cristo era una creatura, e quindi in tale qualità era niente; ciò che vi era in Gesù, tutto gli veniva da Dio, fonte universale di ogni bene, che l'aveva tratto dal nulla e gli aveva comunicato i suoi tesori. Ma solo ciò che è merita il titolo di buono; orbene, Dio solo è; tutto il reso non è niente all'infuori di ciò che esso da Dio ha ricevuto; perciò Nostro Signore, come uomo, vedendosi indegno di questo titolo di buono, non poteva sopportare che venisse attribuito ad altri che a Dio.

Ecco la fonte dell'umiltà nel Figlio di Dio; ecco perchè Egli era umile e più umile di tutti gli uomini assieme. Perché meglio di tutti gli uomini, con vivissima luce, conosceva il niente della creatura, Gesù incomparabilmente più di tutti stava dimesso, umiliato e abbassato ai propri occhi e davanti alla maestà del Padre suo, di cui tanto perfettamente conosceva la grandezza. Egli vedeva chiaramente che, in quanto creatura, al pari degli altri uomini, da se medesimo non era niente, e che il Padre suo l'aveva tratto dal nulla onde renderlo depositario di tutti i suoi beni. Per questo Egli stava continuamente annientato davanti a Lui, nel riconoscimento del proprio nulla, sempre pieno di stupore per tanti favori e gratitudine per tanti benefizi. Egli stava senza posa inabissato in una lode altissima e in un amore ardentissimo verso Colui che l'aveva tanto amato da tutta l'eternità, preparandogli doni. così grandi, senza neppure la possibilità di nessun merito da parte sua.

La riconoscenza per una tale bontà lo portò a mettere nelle mani degli uomini il sacrificio dell'azione di grazie, l'adorabile sacrificio dell'altare. Nel medesimo sentimento di gratitudine. Egli scelse pure una Chiesa numerosa, perchè con le lodi ed i sacrifizi Egli potesse in essa offrire al Padre suo degni ringraziamenti per il beneficio inconcepibile di averlo tratto dal nulla onde elevarlo alla dignità della filiazione divina. Così faceva Gesù Cristo per un sentimento di verità e di giustizia. Nella verità riconosceva ciò che era Egli stesso come uomo, cioè un niente, e ciò che era suo Padre, cioè tutto l'Essere; nel sentimento della giustizia, profondamenite s. annientava davanti alla santa Maestà del Padre, e si effondeva in amore e adorazione, in lodi e azioni di grazie.          ,

Tali sono i veri fondamenti dell'umiltà, che eono oltremodo stabili e fermi quando Nostro Signore si compiaccia d stabilirli solidamente in un'anima. Ma è da sapersi che per operare secondo tutta l'estensione, della luce divina che ci discopre il.nostro nulla, è necessario ancora di vedere il nulla in tutte le creature. Noi dobbiamo essere ben convinti che all'infuori di Dio, tutto non è che niente, vanità, ombra, figura, e come un involucro e un sacramento sotto il quale, come abbiamo detto sopra, Dio si nasconde per rendersi sensibile a noi.

Questa proposizione, che all'infuori di Dio tutto è niente, deve essere così unico e che nulla ne venga eccettuato, nè i più gran Santi, nè la Vergine Santissima e neppure l'adorabilissima umanità di Gesù Cristo Nostro Signore. Ogmi cosa, eccettuato ciò che di Dio vi è in essa, è niente e null'altro: è questa la condizione essenziale ed indispensabile di qualsiasi creatura.

In ogni creatura adunque, non bisogna mai considerare che Dio, puramente e semplicemente Dio solo. Come. è santo questo modo di operare! Come ci allontana da mille illusioni, nelle quali i pìù spirituali si lasciano prendere ed impacciare, quando non vi siano ben fissati! Inoltre, come ci porta a Dio e ci riempie di Lui!

Se saremo sempre animati da questo sentimento, dappertutto noi troveremo e vedremo Dio; ed è questo uno dei mezzi più semplici e più utili per tenerci sempre alla sua divina presenza. Diversamente, si ha la mente tutta occupata delle creature; e le cose esterne che non dovevano servire che a portar Dio nel nostro cuore, l'idolo infame che così viene onorato nel tempio di Dio.

E' un difetto questo che s'incontra ordinariamente nella direzione delle anime, quando il confessore, o perchè non conosce questo pericolo, o perchè non si prende cura di aprire gli occhi a quelle anime che il Signore gli ha affidate perchè le conduca a Lui, così egli lascia che si fermino alla sua persona per il lustro delle apparenze che notano in lui, invece di far loro considerare che per quanti doni possa avere in se medesimo egli non è niente, e quindi non merita nessun onore perché a Dio solo appartiene ogni gloria.

Si deve aver gran cura di fare intendere bene alle anime.che il direttore o confessore in se stesso è un niente, e che lo debbono considerare come un puro niente che come tale deve essere dimenticato; ma pure, perchè Dio si nasconde in lui per manifestare i suoi ordini e le sue volontà sante, bisogna portargli un gran rispetto, come a chi rappresenta Dio e ne tiene il posto.

Dal confessore bi ogna andare con purezza d'intenzione e non cercare che Dio in lui, senza pensare alla scorza e al velo con cui Dio si copre. Bisogna, con la fede andar oltre ciò che attira, ferma e illude i nostri sensi, trascurando e disprezzando ciò che appare agli occhi della carne, e tutto quanto agli occhi ingannati del mondo è grande e degno di considerazione.

Siamo dunque fedeli, come Dio lo vuole a mantenerci nella verità, e guardiamoci dal cadere nel peccato del demonio, il quale, secondo la parola di S. Giovanni: Non è rimasto nella verità. Riconosciuta così la verità e per la luce della fede essendocene ben convinti, osserviamo la giustizia; quindi rendiamo a noi e ad ogni creatura ciò che è dovuto alla creatura, a Dio che è tutto tributiamo la riverenza, la religione, l'amore e le lodi che le sue grandezze si meritano.

Ecco i due fondamenti dell'umilltà in ogni creaturra: verità e giustizia; ma queste, in noi, si applicano a molti altri soggetti di umiliazione, perchè, come abbiamo visto, siamo in noi medesimi ogni miseria, ogni corruzione, ogni peccato.

Ma perchè la verità e la giustizia richiedono che, nella nostra qualità di peccatori, non solamente trattiamo noi stessi con disprezzo, ma ancora ci dedichiamo alla penitenza, alla mortificazione e all'odio di noi medesimi, di questi punti parleremo più a lungo quando tratteremo di queste virtù.


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