Dove va l'anima
L’anima si stacca dal corpo...
La morte è il castigo del peccato, comminato da Dio nell'Eden, ed è comune a tutti gli uomini. Per quanto si possa essere miscredenti, non si può sfuggire alla realtà della morte. Tutti dobbiamo morire, lo sappiamo, ma raramente troviamo chi se ne preoccupi, anche quando si è giunti all'estrema vecchiezza.
Io pure sono vecchio, ho 77 anni, so di essere vicino alla morte, ma non sento in me la morte, sento la vita, anche quando, per la vecchiezza, mi accorgo di non avere la forza di fare certe cose. La ragione di questo fenomeno interno, sta nell'anima e nella sua immortalità. Noi abbiamo l'anima che è immortale, e come tale è sempre giovane.
Se notate, noi abbiamo l'impressione di una doppia fisionomia: quando ci consideriamo in noi stessi, abbiamo l'impressione di avere un volto e un corpo assai diverso da quello che è per la vecchiezza. Se ci vediamo nello specchio o in fotografia, abbiamo una sorpresa sconcertante, perché notiamo il deperimento e la inesorabile caduta del corpo. E’ questa una fisionomia tanto diversa da quella che sentiamo internamente. Anche questo fenomeno è una testimonianza della realtà dell'anima immortale.
Il corpo è uno strumento dell'anima, come i ferri del proprio mestiere sono strumenti delle mani che agiscono e dell'anima che dirige l'azione. Quando lo strumento è corroso e serve malamente, si cerca di restaurarlo. Quando non serve più, lo si elimina. Voi, per es., scrivete con il pennino innestato alla penna. Se il pennino è buono, e l'asta lo sorregge bene, voi scrivete facilmente. Se il pennino... si fa vecchio e scrive male, voi tentate di aggiustarlo, e tentate di riavvicinare... le punte aperte, che non scrivono più, e potete tirare ancora avanti, non senza scomodo, perché il pennino o s'inceppa sulla carta, o prende male l'inchiostro. Quando finalmente ad un nuovo tentativo di aggiustarlo, esso si spezza, allora lo buttate via nei rifiuti, dove s’arrugginisce. Potrebbe ridiventare pennino, solo quando fosse rifuso nella massa di acciaio che si liquefa nel forno, e sarebbe come una resurrezione dalla morte.
Quest'esempio fa capire che cosa è la nostra morte naturale: il corpo, strumento dell'anima, decade, comincia a diventare inetto. Si cerca di curarlo, e può servire ancora, ma meno di prima. Poi decade ancora, fino al gradato disfacimento degli organi, finché, non potendo più essere strumento dell'anima, questa lo abbandona, e sopraggiunge la morte. Verrà la resurrezione del corpo, è di fede ed è la nostra speranza, quando la potenza divina rianimerà anche un suo più piccolo residuo, e, come seme di morta pianta, risboccerà da quel residuo come da germe che rivive.
Gli sforzi fatti per sfuggire alla morte con i medici e le medicine, spesso l'accelerano, come gli sforzi fatti per accomodare un pennino spesso lo spezzano. Il corpo diventa sempre più inadatto all'attività dell'anima; muore già a parte a parte, a misura che gli organi interni si disfanno. Il cuore comincia a cedere, la circolazione si altera, il respiro diventa affannoso perché i polmoni mancano di forza, diventa stentato, e per lo stento si accumula l'acido carbonico nell'organismo, avviene il collasso, avviene la morte, l'inesorabile morte.
E l'anima che fa? Siccome essa informa tutto il corpo e ciascuna parte del corpo totalitariamente, rimane tutta nel corpo e col corpo, finché c'è anche una cellula sola ancora viva, cioè ancora capace di essere attivata dall'anima. Dopo, quando anche questa cellula diventa inetta, e col corpo si avvia al disfacimento, allora l'anima si distacca dal corpo.
I singoli dolori del corpo infermo sono dovuti non solo alla sensibilità degli organi, la quale per i nervi, si rifonde nel cervello, e per il cervello nell'anima che lo vivifica, ma sono dovuti anche alla mancanza dell'azione dell’anima, quando non può agire completamente per gli organi del corpo. Quei dolori sono come una morte parziale che può passare dal dolore allo spasimo, come avviene, per es., quando ci si cava un dente cariato. La morte perciò è un dolore totale, ed il distacco dell'anima dal corpo è uno spasimo terribile, che è temperato solo dall'agonia.
Sembrerebbe un paradosso, eppure è così. La mancanza del respiro, accumula nei polmoni e quindi nel corpo, l'acido carbonico, e questo ha una funzione anestetizzante, per cui i dolori si avvertono meno. Perciò il fare nell'agonia di un morente iniezioni eccitanti, di canfora e simili, è un errore che può causare al morente spasimi terribili per il risveglio della sensibilità, e questo risveglio potrebbe condurre il morente alla disperazione.
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